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Foia, esperti e associazioni all’Anac: “Le sue linee guida affosseranno la legge”

Il Fatto Quotidiano, Venerdì 9 dicembre 2016

Foia, esperti e associazioni all’Anac: “Le sue linee guida affosseranno la legge”

In vista del collaudo della nuova legge sull’accesso, previsto per il 23 dicembre, l’autorità di Cantone e il Garante della Privacy hanno stilato due schemi di “linee guida operative” per le Pa che mettono in allarme il mondo della trasparenza: “Sono ancora di una vaghezza pericolosa, rischiano di pregiudicare efficacia e diritti della norma”. Ecco i nodi scoperti. L’Anticorruzione: “Massimo impegno per garantire l’applicazione e l’applicabilità della legge”

di Thomas Mackinson

Una corsa contro il tempo, non priva di rischi, perché la trasparenza non resti uno slogan o peggio un gigantesco “pacco”. Giusto all’antivigilia di Natale, il 23 dicembre, va a pieno regime il decreto che disciplina il Freedom of information act, le norme sull’accesso civico introdotte nel 2013 e perfezionate con il “decreto trasparenza” del maggio scorso. A partire da quel giorno le Pa dovranno gestire le richieste dei cittadini, forti dei diritti/doveri disciplinati da una legge in materia di pubblicità e trasparenza che sulla carta promette di allineare il nostro Paese alle democrazie più avanzate in materia, tanto che la sua sola emanazione è valsa un balzo avanti dell’Italia nel rating mondiale di accesso all’informazione di accesso pubblico a dati, documenti e informazioni: siamo passati dalla 97sima posizione alla 55esima.

Il collaudo è ormai alle porte, mancava l’ultimo passaggio: la definizione di linee guida da parte dell’Anticorruzione e del Garante per la Privacy per le amministrazioni, con le indicazioni espresse su quali richieste accogliere o rigettare in caso di  accessi documentali e “generalizzati”, le due chiavi a disposizione del cittadino per ottenere i documenti che chiede. La prima per atti la cui pubblicazione è obbligatoria, la seconda per tutti gli altri, con le uniche limitazioni del “rispetto della tutela degli interessi pubblici e/o privati” e “delle norme che prevedono specifiche esclusioni”. Le linee guida non hanno efficacia vincolante, né dalla loro violazione potrebbero scaturire conseguenze in punto di diritto. Tuttavia, non si esclude che la loro inosservanza possa essere considerata in sede di valutazione giurisdizionale.

In ogni caso non di accessori si tratta, ma del vero libretto d’uso del Foia, quello che in definitiva può mettere in moto il meccanismo virtuoso della democrazia civica partecipata o suggellarne la morte in culla, decretando la sua definitiva collocazione tra gli arnesi difettosi di una “burocrazia difensiva” che prevale ancora e sempre sul diritto a conoscere dei cittadini. Anac ha predisposto due schemi di linee guida a consultazione pubblica. Quella sul primo, relativo alla definizione delle “esclusioni e dei limiti all’accesso civico” si è conclusa il 28 novembre, la seconda, relativa gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione è in corso e terminerà il 14 dicembre. Il 23, come detto, entrambe dovranno trovare una forma definitiva che accoglie o rigetta osservazioni e proposte di modifica giunti da tutti i soggetti interessati. E sono molte, fa sapere la stessa Anac: solo sul primo fronte ne sono giunte una quarantina relative a oltre 100 punti.

Critiche sono piovute dalle associazioni che due anni fa sono riuscite a imporre al governo Renzi di instradare una legge d’ispirazione anglosassone per poi rincorrere il legislatore sui tanti difetti emersi nel corso della sua travagliata gestazione. Restano, nei testi definitivi, molti punti deboli rilevati allora dai promotori, dal Consiglio di Stato, dall’Anac e dal Parlamento: la genericità e l’ampiezza delle eccezioni al principio generale della full disclosure (sicurezza, difesa, relazioni internazionali, politica e stabilità finanziaria ed economica…), la mancanza di sanzioni per le amministrazioni pubbliche inadempienti (pur richieste dalla norma di delega), l’esclusione di tutti gli organi costituzionali (le Camere, il Quirinale, Consulta etc), i costi per il ricorso al Tar in caso di diniego (500 euro) e altri ancora. Ma questa è già storia.

La partita aperta oggi, come detto, è sulle linee guida per le Pubbliche amministrazioni. E come sono? A detta delle stesse associazioni peggiorano ulteriormente il quadro, assestando il colpo di grazia all’accesso civico. Foia4Italy, quella che ha fornito un contributo decisivo alla definizione di una buona legge, le definisce “al di sotto delle attese in quanto troppo vaghe e non funzionali”. Tali da consentire alle amministrazioni di “esercitare un amplissimo potere discrezionale, contribuendo, così, a ingenerare disomogeneità nelle risposte che verranno fornite”. Una vaghezza addirittura “pericolosa”, che può spingerle a rifiutare arbitrariamente l’accesso a documenti con decisioni impugnabili solo davanti ai Tar, con conseguente aggravio per i richiedenti, laddove la ratio del Foia era quella di “permettere l’accesso alle informazioni da parte dei cittadini in maniera rapida, immediata e senza aggravio di spese”. Perché l’accesso fosse la norma e il diniego l’eccezione, unicamente dettata dalla necessità di evitare “un pregiudizio concreto” agli interessi pubblici e privati. Ecco i rilievi principali alle linee guide.

Non basta una mail: chiedere costa
Non basta una semplice mail per l’accesso generalizzato, come per quello civico: servono firma digitale, “spid” o posta elettronica certificata, “allegando copia del documento di identità”. Scelta in contrasto col principio del Foia per cui non tocca al signor Rossi dimostrare di avere titolo per ottenere informazioni ma alle Pa di avere motivi validi per negarle. E dunque poco rileva che l’identità del richiedente sia accertata con strumenti onerosi, scelta che rischia di tagliare fuori una larga fetta di cittadini dalla partecipazione e dalle forme di controllo dell’operato pubblico.
Conoscere prima di sapere: il paletto da protocollo
Il richiedente deve conoscere prima dell’accesso e “chiaramente” il documento che cerca (il numero di protocollo, una data certa etc…), un controsenso per dati e atti che per definizione non sono stati divulgati, col rischio grottesco di un diniego motivato da una imprecisa definizione dell’oggetto della richiesta. Quell’avverbio era stato espunto dal testo finale su richiesta del Consiglio di Stato. L’Anac sembra non averne tenuto conto.
Non chiedere “troppo”
Il diniego può avvenire quando il cittadino sa bene cosa chiedere ma chiede troppo. La formula è generica: “un numero irragionevole di documenti che imponga un carico di lavoro tale da paralizzare il buon funzionamento dell’amministrazione”. Il principio è condivisibile, ma chi decide la portata di quel “troppo”? Anche qui si offre agli uffici istruttori margini di discrezionalità assai ampi, anche per lo stato in cui versano le piante organiche degli uffici che potranno sempre essere accampate a pretesto per non soddisfare le richieste.
Diritti contrapposti, quale prevale?
Le linee operative risultano deboli anche in caso di diritti contrapposti, come nei documenti portatori di “interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, proprietà intellettuale, diritto d’autore e segreti commerciali”. Ma allo stesso tempo il copyright non può essere usato per negare totalmente l’accesso. Soluzioni? Negli Usa, ma anche secondo le nostre norme sul diritto d’autore, dirimente è l’uso che viene fatto dei documenti, che dovrà essere conformato alle limitazioni di legge. Ergo: si conceda in linea generale  l’accesso e lo studio di una copia, con limitate e ben individuate eccezioni.

Più di un’associazione, a questo punto, inizia a chiedersi se non ci sia una volontà da parte dell’Anac di affossare il Foia, facendo sponda alle scappatoie e tradendo lo spirito autentico della misura volto al massimo accesso con il minimo dei vincoli. Insomma, un’Anac che frena, se proprio non “sabota” la legge. Dagli uffici di Cantone assicurano che così non è, che si è anzi profuso “il massimo impegno per garantire l’applicazione e l’applicabilità della legge, offrendo a tutti i soggetti interessati l’opportunità di fare rilievi scritti e dando corso ad audizioni, non previste, perché potessero meglio esporre le proprie ragioni”. Le “osservazioni” pervenute, del resto, “saranno oggetto di analisi e riflessione”. Insomma, si può migliorare. I margini ci sono. Ma il tempo stringe, al 23 dicembre mancano una manciata di giorni.

Nel frattempo, però, la caduta del governo Renzi ha fatto venir meno un azionista importante della legge su cui fare pressione. Quando venne fuori il decreto governativo, con tutte le sue pecche, le associazioni promotrici bombardarono Renzi di tweet perché costringesse il ministro Madia a rimetterci mano. E in parte il decreto fu migliorato, in parte. Ora non c’è proprio nessuno da bombardare. A questo punto resta solo l’Anac a poter salvare il Foia italiano da se stesso.