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Fiction e geografia del potere criminale  

Fiction e geografia del potere criminale

14 GENNAIO 2018

di Marcello Ravvedut

Fino alla prima metà degli Anni Duemila le narrazioni sulla mafia delle serie televisive avevano come protagonista Cosa Nostra, una sorta di termine ombrello in grado di dare senso a qualsiasi fenomeno di criminalità organizzata. Nella fiction italiana, infatti, la mafia siciliana è presente, nel decennio 1998-2008, in oltre la metà delle produzioni (57 titoli su 100). Le altre organizzazioni trovavano uno spazio d’attenzione ridotto, meno di un terzo dei titoli raccontava storie di Camorra e ‘Ndrangheta.

La serialità televisiva si è adeguata molto lentamente alla nuova geografia del potere criminale che ha ridistribuito le leve del potere mafioso tra ‘Ndrangheta e Camorra a causa sminuita centralità di Cosa Nostra nel panorama del crimine organizzato.

La rottura è cominciata con Gomorra (il libro) e tutta la letteratura successiva, scientifica e divulgativa, che ha creato i presupposti di una narrazione plurima delle mafie e della globalizzazione mafiosa, capace di incrinare il valore totemico della mafia siciliana e di dare luogo a un immaginario contemporaneo, in Italia e all’estero, dentro cui agiscono vecchi e nuovi miti e stereotipi meta-letterari.

Se confrontiamo, per esempio, “Gomorra”, “Narcos” e “La mafia uccide solo d’estate” ci accorgiamo che: la prima risponde ai criteri del noir; la seconda è più simile ad un poliziesco all’americana; la terza ricalca la struttura pedagogica dello sceneggiato con una sceneggiatura originale che la distingue dalle opere antecedenti.

In generale, il successo delle “mafia stories” è determinato da un dispositivo di “ritorno del già noto”: un terreno di riferimenti autoreferenziali – protagonisti, situazioni, azioni, linguaggi, paesaggi, eccetera.. – la cui riconoscibilità e credibilità poggia su un repertorio già familiarizzato e collaudato. La verosimiglianza – di un boss, di una mentalità, di un gergo – è misurata secondo criteri di somiglianza rispetto a personaggi, atteggiamenti e modi di espressione che contribuiscono a orientare gli spettatori verso la riconferma di esperienze simili. La peculiarità della pratica mafiosa e l’universalità dell’immaginario collettivo creano un effetto di “inversione della realtà” trasformando la fiction in pietra di paragone del reale.

La serialità è permeabile agli influssi dell’attualità, sottoposta al dominio dell’immaginario: la cronaca scatena un gioco di evocazioni attraverso un intrigante meccanismo di allusioni al reale. Nonostante ciò è pur sempre possibile distinguere al suo interno da un lato le trame di pura immaginazione, dall’altro gli intrecci che richiamano in maniera esplicita personaggi reali ed eventi contemporanei o del passato.

Ma al di là di questa classificazione binaria, la gran parte delle storie di mafia risultano essere il frutto dell’immaginazione; non di rado di una immaginazione che usa convenzioni e stereotipi per costruire la “drammaturgia degli eccessi”, tipica del melodramma.

Gomorra” narra la violenza attuale e quotidiana di Napoli in forma di metafora metropolitana globalizzata; “Narcos” si pone come la ricostruzione della saga del boss che ha reso il narcotraffico uno dei pilastri della globalizzazione economica; “La mafia uccide solo d’estate” sfrutta l’uso pubblico della memoria, umanizzando i protagonisti, per sintonizzarsi con i sentimenti dell’audience.

Quest’ultima, in verità, merita più attenzione delle altre poiché è in linea con l’evoluzione del discorso pubblico nazionale: la lotta a Cosa Nostra non è solo affare di magistrati e poliziotti ma richiede l’impegno della società civile rispettosa delle libertà costituzionali. È il tentativo della tivù di Stato di sollecitare una religione civile attraverso il collante culturale dell’antimafia, tracciando uno spazio ideale in cui si vuole sviluppare la lealtà alla Repubblica.

L’identità repubblicana antimafia sottolinea l’appartenenza dei siciliani (dei meridionali in genere) ad un’unica storia di lotta civile: il presente è il ripensamento del passato. Un’ossessiva catena di punti critici connessi dalla memoria collettiva che elabora riti di espiazione e di riparazione.

 

Fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/