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Fatelo capire bene al Ministero degli Interni ed ai Prefetti.

Bastano gli «indizi» per sciogliere un Comune per mafia

di Antonino Porracciolo

Per la pronuncia di incandidabilità a seguito dello scioglimento dei Consigli comunali per infiltrazione mafiosa bastano elementi sintomatici di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata. Lo afferma il Tribunale di Palermo (presidente Grimaldi di Terresena, relatore Corsini) in un decreto del 23 dicembre 2014.

La vicenda
Con Dpr del marzo 2014, emesso in base all’articolo 143 del Tuel (Dlgs 267/2000), un Consiglio comunale in provincia di Palermo era stato sciolto dopo che erano «emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata». Così il ministero dell’Interno ha chiesto al giudice siciliano (come previsto dal comma 11 dello stesso articolo 143) di dichiarare la incandidabilità degli amministratori responsabili delle condotte che avevano causato lo scioglimento. Il Tribunale osserva, innanzitutto, che la decisione non ha carattere sanzionatorio, «ma resta un provvedimento di natura preventiva». Questo perché per la sua pronuncia sono sufficienti elementi che rivelino l’esistenza di «collegamenti o forme di condizionamento che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità».

Indizi e prove
Inoltre, non è richiesta la prova di una responsabilità penale degli amministratori, giacché «il rapporto di ingerenza inquinante» si può ricostruire anche in base a circostanze che presentino «un grado di significatività e di concludenza di livello ben inferiore» a quello che giustifica l’esercizio dell’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza. Il giudice rileva quindi che dalla relazione prefettizia era emerso che, nel corso di un colloquio intercettato dagli investigatori, si era parlato della spartizione di denaro tra il sindaco, un assessore e il reggente della cosca mafiosa locale. «La caratura e lo “spessore” del personaggio» con cui il sindaco «aveva rapporti confidenziali» sono dunque «indice sufficiente e ben attendibile – si legge nella motivazione – di illecite interferenze» nell’attività dell’amministrazione comunale, che sarebbero continuate senza l’intervento risolutorio degli inquirenti. Inoltre, il sindaco era risultato «assiduo frequentatore», in occasione di precedenti consultazioni, di altro soggetto condannato per associazione mafiosa. Infine, il primo cittadino aveva partecipato a una cena insieme a un indiziato di favoreggiamento a Cosa nostra.Anche altri amministratori erano presenti alla cena, mentre un consigliere aveva «frequentato assiduamente» un soggetto, genero e cognato di mafiosi. Tali rapporti costituiscono quindi, secondo il Tribunale, «indici sintomatici di una realtà amministrativa fortemente condizionata da “Cosa nostra”»; ragioni che lo inducono, dunque, a dichiarare la incandidabilità di quegli amministratori.