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Esclusivo – Quattro donne coinvolte nelle stragi del ’93: ecco i loro identikit

L’Espresso

Esclusivo – Quattro donne coinvolte nelle stragi del ’93: ecco i loro identikit

Testimonianze sino a oggi trascurate svelano un loro ruolo sui luoghi degli attentati di Milano e Firenze. Presenze femminili in azioni cruciali sono del tutto inusuali per le abitudini mafiose. E questo sarebbe un’ulteriore prova del coinvolgimento di entità esterne a Cosa nostra nella strategia eversiva di destabilizzazione

DI LIRIO ABBATE

13 novembre 2020

Sono quattro le donne che nell’estate del terrore del 1993 parteciparono, ognuna con un ruolo diverso, a piazzare le bombe a Firenze e a Milano. I loro identikit, realizzati subito dopo le esplosioni di via dei Georgofili, nei pressi della Galleria degli Uffizi, e in via Palestro, poco distante dalla sede del Pac (Padiglione d’arte contemporanea), è stato possibile ricostruirli grazie a testimonianze oculari. Quattro persone hanno visto in faccia queste ragazze che si muovevano attorno alle autobombe delle stragi poco prima che venissero fatte esplodere.

Il volto disegnato di tutte e quattro non è stato mai pubblicato, si è parlato al massimo della presenza di una sola ragazza bionda, e mai nessuno durante i processi alla cupola mafiosa per gli attentati ha fatto cenno a queste testimonianze raccolte subito da carabinieri e polizia che portano dritte a presenze “esterne” alla mafia durante la fase esecutiva. Solo adesso si scopre, attraverso l’inchiesta riaperta dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo e dagli aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco, che le sospettate sono quattro.

Le attività d’indagine per accertare la loro identità sono in avanzato sviluppo e tutto porta a sostenere che non facciano parte di Cosa nostra.

L’organizzazione mafiosa è stata accusata davanti ai giudici di avere ordinato gli attentati, facendo eseguire un piano segreto conosciuto solo da alcuni boss che facevano parte della “super cosa” voluta da Salvatore Riina. Un cerchio magico di cui facevano parte oltre al “capo dei capi” anche Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro. Il vero motivo degli attentati però venne taciuto a tutti gli altri capimafia e agli esecutori materiali che hanno avuto un ruolo limitato nella fase finale dell’operazione, tanto che alcuni mafiosi presenti a Milano e Firenze non hanno mai saputo chi ha innescato le bombe.
Sono elementi che dimostrano come queste non siano soltanto stragi di mafia. I boss sono stati utilizzati e affiancati, come le indagini puntano ad accertare, da soggetti portatori «di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergono finalità diverse», come scrisse subito dopo qualche mese dagli attentati in un appunto riservato al ministro dell’Interno l’allora capo della Dia, Gianni De Gennaro. Ora c’è la novità del ruolo svolto dalle donne. Per la mafia è un’assoluta novità, non si conoscono precedenti. A ventisette anni di distanza una delle sospettate sarebbe stata individuata dagli investigatori della Dia del centro operativo di Firenze. Ed è un altro colpo di scena: si tratterebbe di una donna nata nel 1957, riconducibile al circuito dell’organizzazione paramilitare di Gladio.

LE TESTIMONIANZE DI VIA PALESTRO
«La sera del 27 luglio 1993 stavo percorrendo via Palestro, e giunta quasi davanti al museo del Pac, ho notato una donna accanto a una Fiat Uno che apriva la portiera destra e aveva scatti repentini per guardare chi c’era intorno», dichiara a verbale una testimone. «La donna si è chinata all’interno dell’auto, dava l’impressione di sistemare qualcosa dentro l’abitacolo, ma una volta che si è accorta della mia presenza si è alzata di scatto, forse addirittura urtando con la testa il tetto dell’auto, si è tirata fuori e guardandomi con aria sorpresa ha velocemente richiuso lo sportello, senza usare la chiave, e si è diretta verso un’altra Fiat Uno di colore bianco che la attendeva con il motore acceso e la portiera destra aperta sulla quale è salita».

La testimone aggiunge che per questo motivo ha avuto la possibilità di intravedere alla guida dell’auto su cui è fuggita un uomo che aveva capelli lunghi neri, legati sulla nuca a codino, con all’orecchio destro un piccolo orecchino a forma di anello, «mi ha colpito in particolare la conformazione del naso particolarmente sporgente ed appuntito». La Uno bianca si è allontanata velocemente. «Ho avuto modo di vedere la donna molto bene in viso e pure come era vestita. Posso dire che mi colpì una sorta di fascia di caucciù o di stoffa larga un paio di centimetri che aveva al collo e sul davanti, al centro, aveva una targhettina color argento con un cammeo di colore scuro, un tipo di monile usato dalle donne greche e albanesi. Le scarpe che portava mi hanno incuriosito perché erano di quelle con il tacco alto, con il cinturino alla caviglia. I capelli erano biondi, corti, a caschetto». L’auto nella quale è stata vista armeggiare poco prima di mezzanotte esploderà e ucciderà cinque persone.

Un altro testimone oculare in via Palestro si chiama Luca. Quella sera ha percorso la strada due volte, insieme a un amico, avanti e indietro. «All’andata la mia attenzione è stata richiamata dal fatto che dalla Uno che era parcheggiata con il muso rivolto verso via Manin, contromano, era scesa una bella ragazza bionda, sui trent’anni, dava l’idea di un fisico ben fatto e belle gambe». Dopo alcuni minuti, facendo ritorno in via Palestro nella direzione inversa alla precedente, Luca ricorda che «c’era un’auto dalla quale usciva del fumo, ed era quella da cui aveva visto scendere la bionda. Quando sono passato ho visto che attorno alla Uno si affaccendavano Vigili Urbani e Vigili del Fuoco intenti con gli estintori a spruzzare nel bagagliaio da cui usciva fumo. Sono certo che si trattava della stessa auto da cui avevo visto scendere la donna». Luca ricorda pure che c’era un uomo in auto che attendeva la ragazza bionda.

Quella sera del 27 luglio l’agente di polizia locale Alessandro Ferrari aveva notato che dalla Fiat Uno (rubata qualche ora prima) fuoriusciva fumo biancastro. Aveva chiamato i Vigili del fuoco, che giunti sul posto avevano scoperto la presenza di un ordigno nell’auto. Subito dopo, l’esplosione. Muore Ferrari, morirono i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto, Stefano Picerno e Moussafir Driss, di origine marocchina, colpito da una lamiera mentre dormiva su una panchina.

LA RAGAZZA DEI GEORGOFILI
A Firenze è il portiere di uno stabile a raccontare e descrivere agli investigatori gli uomini che ha visto muoversi attorno al “Fiorino” che poi è stato fatto esplodere il 27 maggio 1993 in via dei Georgofili, e a svelare l’immagine della donna intervenuta a guidare una parte del commando. «Una Mercedes si è fermata accanto a due uomini che erano in attesa su un marciapiede, uno parlava con leggera inflessione dialettale. Dall’auto guidata da un uomo è scesa una ragazza dall’apparente età di 25 anni, che aveva capelli scuri e corti, lisci, indossava un “tailleur” scuro, che quando ha raggiunto i due uomini ha detto una bestemmia e poi ha aggiunto: “ci vogliamo muovere o no?”. I due allora hanno preso una grossa e pesante borsa da viaggio e l’hanno depositata nel sedile posteriore della Mercedes che è quindi ripartita, con a bordo la ragazza, seguita subito da un furgone “Fiorino” (rubato poche ore prima ndr) che stava in sosta a pochi metri dalla donna, mentre i due si allontanavano a piedi dalla parte opposta».

Il Fiorino è stato imbottito di 277 chili di esplosivo, anche a Firenze muoiono cinque persone: i coniugi Fabrizio Nencioni (39 anni) e Angela Fiume (31 anni) con le loro figlie Nadia (9 anni) e Caterina (di 50 giorni) e poi lo studente Dario Capolicchio (22 anni). Una quarantina sono i feriti.

Le bombe piano fanno parte di una strategia di destabilizzazione portata avanti con grande lucidità. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, tutto ha inizio in coincidenza della svolta segnata dal governo presieduto da Carlo Azelio Ciampi, esecutivo dove siedono (per poche ore) tre ministri che provengono dall’ex partito comunista. La sinistra avanza verso il potere e i mafiosi temono la rottura di equilibri consolidati. Il governo Ciampi ottiene la fiducia e pochi giorni dopo, il 14 maggio 1993, c’è l’attentato fallito contro Maurizio Costanzo. L’azione innesca la catena di bombe al Nord, prima a Firenze e poi a Milano e dopo ancora nella Capitale. Iniziano anche i preparativi per l’attentato contro i carabinieri in servizio allo stadio Olimpico previsto per il gennaio 1994, dove per fortuna la strage sarà evitata perché il telecomando che doveva innescare l’esplosivo non ha funzionato.

In parallelo c’è la nascita di una nuova forza politica guidata da Silvio Berlusconi, che vincerà le elezioni nel 1994. Il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza parla di contatti in quel periodo fra Giuseppe Graviano, latitante, e uno dei padri fondatori di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, che si sarebbero incontrati a Roma. Secondo il pentito, i mafiosi con l’aiuto di «quello del canale5», intendendo Berlusconi, «si erano messi il Paese in mano». A distanza di alcune settimane da quel colloquio, Giuseppe Graviano viene sorpreso dai carabinieri e arrestato in un ristorante a Milano dove si era trasferito per proseguire il progetto politico-mafioso. Il boss di Brancaccio era ricercato all’epoca per l’omicidio di padre Pino Puglisi, del quale è stato riconosciuto responsabile. Nei mesi scorsi durante il processo a Reggio Calabria sui collegamenti stragisti con la ’ndrangheta, in cui è stato condannato come richiesto dal pm Giuseppe Lombardo, Graviano si è spinto a rilasciare dichiarazioni spontanee. «Io sono stato tradito. Volete sapere chi sono i veri mandanti delle stragi? Andate a cercare quelli che mi hanno fatto arrestare», ha detto il boss ai giudici. E quando Graviano afferma queste cose indica qualcuno che con Cosa nostra ha fatto un patto su cui si sta indagando.

BERLUSCONI E LE STRAGI
Accanto alla posizione investigativa delle donne coinvolte nelle stragi, c’è pure quella che riguarda Silvio Berlusconi. L’ex premier è indagato dalla procura di Firenze per 23 reati. Accuse che comprendono le stragi di Roma, Firenze e Milano e l’attentato a Costanzo, allora impegnato in una serie di trasmissioni tv contro la mafia. Ancora, il fondatore di Forza Italia è indagato in concorso con i vertici della mafia per il tentativo di uccidere il collaboratore di giustizia Salvatore Contorno e per la mancata strage dell’Olimpico. In passato già per due volte Berlusconi è stato indagato a Firenze per le bombe, e ne è uscito con l’archiviazione. Adesso le indagini sono state riaperte dopo che Graviano è stato intercettato in carcere mentre parlava dell’ex premier. «Mi ha chiesto questa cortesia… per questo c’è stata l’urgenza. Lui voleva scendere (in campo ndr)… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa», diceva il capomafia ad un altro detenuto. Il linguaggio è criptico ma per i pm siciliani che hanno disposto le intercettazioni è una chiara allusione alle stragi che avrebbero visto l’allora imprenditore pronto per scendere in campo come ispiratore, e la mafia come esecutrice, nel tentativo di dare una spallata alla vecchia politica.

A BRACCETTO
Una delle donne ritratta negli identikit che pubblichiamo è stata vista alcuni anni dopo accanto ad un personaggio molto opaco della nostra storia recente. Si tratta di Giovanni Aiello, ex poliziotto della squadra mobile di Palermo negli anni Settanta, finito al centro di recenti inchieste perché ritenuto essere l’uomo fra mille trame che in codice i mafiosi e i testimoni di delitti chiamavano “Faccia da Mostro”. Aiello ha il volto sfregiato da una fucilata che avrebbe ricevuto durante un addestramento in un campo in Sardegna e gli inquirenti ipotizzano che si addestrava nella base Gladio di Capo Marrargiu, come ha pure detto l’ex mafioso Giuseppe Di Giacomo. È stato accusato di diversi omicidi, fra cui quello del poliziotto Nino Agostino e della moglie avvenuto nell’agosto 1989 a Palermo. Aiello si muoveva sullo sfondo delle stragi di mafia tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90. I magistrati hanno portato alla luce il suo ruolo e non molto dopo, improvvisamente nell’agosto 2017, è morto per un infarto in Calabria, dove viveva. I collaboratori di giustizia, a cominciare dai calabresi Nino Lo Giudice e Consolato Villani raccontano di averlo visto insieme a una donna bionda, la cui immagine ci riporta alle stragi del 1993. E a molti degli altri delitti irrisolti degli ultimi quarant’anni, sulle cui scene compaiono “faccia da mostro” e una ragazza bionda. Personaggi misteriosi in azione per conto di apparati deviati a braccetto con le mafie.