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Quando don Tano fu “posato”

Quando don Tano fu “posato”

C’è, infine, da vedere quando esattamente è stato «posato» Badalamenti avendo questa circostanza una diretta relazione con l’assassinio di Peppino Impastato.

Leggiamo quanto ha detto Giovanni Falcone a Marcelle Padovani: Gaetano Badalamenti, resosi conto di quanto si sta tramando contro di lui, decide di eliminare un certo numero di persone, in particolare Francesco Madonia della famiglia di Vallelunga (Caltanissetta) con cui Leggio appare legato a doppio filo. Nel gennaio 1978 Salvatore Greco detto « Cicchiteddu » (uccellino), giunto dal Venezuela dove risiede, ma che ha conservato tutta la sua influenza su Cosa nostra, incontra in una riunione a Catania Gaetano Badalamenti. Questi, accompagnato da Santo Inzerillo, suo amico fedele, solleva il problema dell’eliminazione di Francesco Madonia, aggiungendo che Giuseppe Di Cristina, capo della famiglia di Riesi, è disposto ad occuparsene. Ma Chicchiteddu consiglia di soprassedere, di rimandare ogni decisione a data successiva e invita anzi Di Cristina a lasciare la carica di capo famiglia e di « andare a riposare in Venezuela » con lui. Ripartito per Caracas, vi muore prematuramente, per cause naturali, il 7 marzo 1978. Il 16 marzo Francesco Madonia viene ucciso, secondo le dichiarazioni di Antonino Calderone, da Giuseppe Di Cristina e Salvatore Pillera (inviato di rinforzo dal catanese Giuseppe Calderone). Il 30 aprile 1978 è il turno però di Giuseppe Di Cristina, assassinato nonostante un suo tentativo di mettersi in contatto coi carabinieri. Il 30 settembre 1978 viene ucciso Giuseppe Calderone e, fatto più importante, Gaetano Badalamenti viene «posato» dalla sua famiglia.

La scansione temporale fatta da Falcone è di estremo interesse perché ci dice come Riina abbia abilmente stretto il cerchio attorno a Badalamenti e a Bontate per poi dividerli evitando che Bontate potesse andare in soccorso di Badalamenti. Prima viene ucciso Di Cristina, poi viene ucciso Calderone – eliminando, così, due amici di Bontate e di Badalamenti – poi, alla fine, viene « posato » Badalamenti con un argomento così forte da paralizzare la reazione di Bontate.

L’anno è il 1978, il mese dovrebbe collocarsi tra ottobre e dicembre, dopo l’assassinio di Calderone e dopo la morte di Impastato che è del 9 maggio.

Quando i miseri resti di Peppino Impastato sono stati trovati attorno ai binari della ferrovia, Badalamenti è ancora in sella alla sua famiglia di Cinisi e a Cosa nostra, seppure con un potere di vertice traballante a livello provinciale anche se il fatto è difficile che sia a conoscenza dei picciotti di Cinisi.

C’è una conferma di tutto ciò nelle cose dette da Antonino Calderone il quale ha raccontato come suo fratello Giuseppe, o Pippo come veniva da lui chiamato, abbia subito nel luglio 1978 un attentato e come subito dopo i due fratelli si siano recati a Trabia, vicino Palermo, « per discutere con Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Rosario Riccobono. Esponemmo i fatti e io non riuscii a trattenere uno sfogo contro di loro, questi grandi mafiosi palermitani che non si rendevano conto della strategia dei corleonesi di fare piazza pulita in periferia – a Catania a Caltanissetta ad Agrigento – per poi concentrarsi sull’attacco diretto alle posizioni degli avversari nella capitale dell’isola ».

È immaginabile una riunione del genere con un Badalamenti «posato»? È difficile pensare che uomini di mafia così esperti e navigati come Bontate e Riccobono si sarebbero esposti a tanto conoscendo le regole che, per quanto mutevoli potessero essere, hanno sempre fatto divieto di parlare dei fatti interni dell’organizzazione con uno «posato» anche se il divieto non ha implicazioni dirette negli affari, soprattutto quelli legati al traffico di droga.

Lo stesso Buscetta «si era mostrato piuttosto scettico che il Badalamenti, benché ‘posato’, fosse coinvolto nel traffico di stupefacenti con altri uomini d’onore; senonché, venuto a conoscenza delle prove obiettive acquisite dall’ufficio, si è dovuto ricredere ed ha commentato che “veramente il denaro ha corrotto tutto e tutti”.

Questa circostanza conferma, se mai ce ne fosse bisogno, il potere di Badalamenti e la sua spregiudicatezza che non gli hanno mai fatto difetto, nemmeno in passato. E l’esempio più evidente di ciò sta nel fatto che nel 1963, nonostante la decisione di sciogliere le famiglie, don Tano non abbia sciolto la sua e, anzi, proprio in quel periodo, abbia affiliato alla famiglia di Cinisi un personaggio importante come il dottor Francesco Barbaccia, medico dell’Ucciardone, il carcere di Palermo.

«La cerimonia di iniziazione avvenne a Ciaculli, nella tenuta Favarella ».

Ancora di recente sono emersi particolari importanti che vanno nella direzione dell’ipotesi avanzata. Il Tribunale di Palermo che ha giudicato il senatore Andreotti ha accertato che «Antonino Salvo fornì al Bontate, per circa due mesi, un’Alfetta blindata in un periodo molto critico per Cosa Nostra: quello – collocato attorno alla fine del 1978 – in cui il Badalamenti era stato espulso dalla Commisione ».

Nel corso di quel dibattimento il mafioso Francesco Marino Mannoia diventato collaboratore di giustizia ha risposto così ad una domanda del pubblico ministero: «Badalamenti ha rivestito la carica di capo della Commissione e quindi era la persona più importante, in seno a Cosa nostra, fino a quando ne ha fatto parte, appunto, fino alla fine, credo, del ’78».

La storia di Badalamenti dagli anni cinquanta al 1978, ci racconta anche la storia di come i capi mafia di quel periodo abbiano potuto affermarsi grazie alle complicità, alle sottovalutazioni e incomprensioni degli organi dello Stato, periferici e nazionali. Su questo la Commissione antimafia ha pronunciato parole nette e inequivocabili già in passato, con la relazione firmata dal presidente Cattanei nel 1971: Le sentenze nei confronti dei mafiosi sono assolutorie, nel migliore dei casi, per insufficienza di prove; i rapporti di polizia sono inadeguati e talvolta contraddittori; le concessioni amministrative a loro favore sono a dir poco stupefacenti; il credito bancario è loro concesso con larghezza; hanno libero accesso agli uffici dello Stato e degli enti locali; possono assicurare il successo, direttamente o indirettamente, ai candidati nelle elezioni politiche o amministrative. Per anni, magistrature, polizia, organi dello Stato e forze politiche hanno troppo spesso mostrato di ignorare l’esistenza della mafia. Questo spiega, per esempio, perché dai killers non si sia cercato quasi mai di risalire ai mandanti dei crimini… è quindi fuori luogo parlare di ricerca della rispettabilità per alcuni di essi, come mezzo per captare più agevolmente favori da parte delle autorità. I favori li ottengono tutti, nessuno escluso. Quando si pensa alla facilita` con cui la Questura di Palermo rilascia passaporti e licenze di porto d’arma c’è da allibire. Le protezioni riguardano tutti i mafiosi di cui abbiamo fatto la storia, non solo quelli che potevano sembrare rispettabili. Navarra, dopo che è tornato al confino da Joiosa Jonica, avendovi scontato solo una parte della pena, perché la misura era stata revocata, viene proposto per il cavalierato al merito della Repubblica e lo ottiene.

Le assoluzioni non si contano, le concessioni di credito neppure.

Le responsabilità dei pubblici poteri sono nette «perché nei confronti di quasi tutti questi mafiosi si riscontrano inspiegabili omissioni, scarsa coscienza della gravita` del fenomeno, tolleranza che talvolta rasenta la connivenza insieme a comportamenti coraggiosi e risoluti, a seconda dei periodi e delle circostanze».

È in questo quadro che si avviano gli anni settanta; e per comprendere quanto è successo con le indagini attorno alla morte di Peppino Impastato occorre andare a quell’andazzo, a quel modus operandi degli apparati dello Stato, a quel periodo nel corso del quale il nemico principale sono i terroristi rossi e non i mafiosi, perché i primi sono pericolosi per lo Stato, i secondi no.

E a Cinisi il corpo estraneo era sicuramente un giovane come Peppino Impastato che perfino il padre ha cacciato di casa e non un uomo rispettato come don Tano Badalamenti.

Peppino Impastato si scontra con il potente don Tano, uno dei personaggi più ambigui e più indefinibili di Cosa nostra. Dice di lui Antonino Calderone: «Non ha senso chiamare ‘vecchio’ o ’nuovo’ uno come lui», perché, si potrebbe aggiungere, è stato contemporaneamente, a seconda delle convenienze, vecchio e nuovo, sempre a cavallo di diverse realtà.

La storia di don Tano Badalamenti, così come è sommariamente descritta nelle pagine precedenti, si ferma al 1978, poco dopo la morte di Peppino Impastato. Quando il giovane militante di Democrazia proletaria viene ucciso in quel modo atroce Badalamenti è ancora a capo della famiglia di Cinisi e, nonostante sia alla vigilia di essere «posato», ha ancora un potere immenso; tanto immenso che, pur essendo « posato » egli, come se nulla di rilevante fosse successo, continua ad interessarsi attivamente del traffico degli stupefacenti.

Peppino Impastato aveva ben compreso la pericolosità di Tano Badalamenti e Tano Badalamenti aveva ben compreso la pericolosità di Peppino Impastato. Erano, entrambi, pericolosi l’uno nei confronti dell’altro.

Peppino Impastato non si era sbagliato. Badalamenti continuerà ad essere pericoloso ben oltre il 1978. Esemplare, da questo punto di vista, è la condanna a una lunga pena detentiva subita negli Stati Uniti d’America e il carcere che lì sta scontando. La condanna riguarda l’imputazione di traffico internazionale di stupefacenti, l’antica attrazione che Badalamenti ebbe fin dalla gioventù quando fu tra i primi a comprendere che con quel commercio poteva guadagnare tanto denaro e con il denaro ottenere tanto potere.

21 Aprile 2020

Fonte:https://mafie.blogautore.repubblica.it/