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Emiliano Morrone:«Le risposte che servono contro la ‘ndrangheta»

«Le risposte che servono contro la ‘ndrangheta»

di Emiliano Morrone

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28 gennaio 2021, 8:39

Roberto Saviano è stato l’iniziatore di una nuova letteratura impegnata dalle province del Sud. Dall’uscita di Gomorra più o meno all’avvento del governo Monti, lo scrittore ha rappresentato il simbolo di quella stagione di denunce e utopie animate dalla potenza del suo libro. L’esempio e la figura di Saviano hanno alimentato – anche in Calabria – una diffusa reazione al silenzio, alla paura e all’indifferenza dominanti, sospinta dalla comparsa di testi su angoli del Mezzogiorno oppressi e impoveriti dalle mafie, segnati dall’oblio parlamentare della «questione meridionale» e dal declino della politica come luogo della rappresentanza, della risoluzione di interessi contrapposti.

Il romanzo di Saviano era uscito nel 2006. L’anno seguente la Calabria si risvegliò da un lungo torpore, anche per la ribalta mediatica dell’inchiesta «Why not?», che allora, prima della sua sconfessione giudiziale, sembrava provare l’esistenza di un sistema di potere coperto ed invincibile, nemico della Calabria e responsabile – scrivemmo con Saverio Alesso in La società sparente – delle carenze, della marginalità, dell’emigrazione di massa e dello spopolamento della regione.

Grazie all’opera di Saviano, molti ragazzi e i loro genitori presero coscienza del fenomeno criminale e dei suoi effetti economici e sociali, il che non era avvenuto negli anni precedenti, malgrado certe immagini di sangue e vicende sconcertanti. Penso ai razzi di bazooka contro l’auto blindata di Carmine Arena, poi finito a colpi di Kalashnikov il 2 ottobre 2004. Rammento, ancora, l’assassinio a freddo di Franco Fortugno, avvenuto a Locri il 16 ottobre 2005, e la strage di Duisburg, datata 15 agosto 2007.

Le parole e i rischi di Saviano ci avevano toccato nel profondo, ci avevano aperto gli occhi, ci avevano disinibito nella contestazione della criminalità e della politica, che però riunimmo alla cieca, al punto da ritenerle coincidenti. Non capimmo l’errore: mescolammo tutto e tutti, sposammo le tesi sbrigative dei più noti commentatori del piccolo schermo, il loro racconto tragico e spettacolare della Calabria come terra infine governata dall’antistato, sottoposta al codice mafioso e perciò irrecuperabile. Ma, banalmente: se tutto è ’ndrangheta, nulla lo è.

Perdemmo cioè di vista le cause politiche e strutturali del divario della regione dal resto dell’Italia, cedendo alla ricostruzione parziale dei media nazionali e addirittura riverberandola via Internet. Dimenticammo le risorse, le ricchezze e le potenzialità del nostro territorio, le sue energie intellettuali soffocate dalla cultura – figlia di un’antropologia, se non di un’etologia, imposta dalla ’ndrangheta – della sudditanza e solidarietà meccanica nei confronti del più forte. In breve ci adeguammo alla voce monocorde della tv, che riduce il mondo alle sue trasmissioni e così orienta il giudizio soggettivo e collettivo.

Perciò passammo sopra le ingiustizie più gravi, come se non fossero tali e manco ci sfiorassero. A partire dalla più nascosta ed ignorata: in base ai criteri vigenti di ripartizione del Fondo sanitario, che avvantaggiano le regioni settentrionali, dallo Stato la Calabria riceve meno soldi di quelli che spende per la cura dei malati cronici. Si tratta di 150 milioni, altrove dirottati, che ogni anno mancano al bilancio della Sanità regionale, in disavanzo e dunque nelle mani del governo. Condivido la posizione di Saviano contro il commissariamento, espressa in una bella, recente intervista al nostro Corriere della Calabria. Ma aggiungo che esso dipende in larga misura dal riassunto problema, comune alle altre regioni meridionali, come dimostrano atti ufficiali e documenti parlamentari mai smentiti. E compendio: la narrazione, l’unica ammessa, sull’inquinamento mafioso dell’intero Servizio sanitario calabrese è servita a legittimarne il commissariamento perpetuo, ad affidarne le sue aziende a manager di solito estranei alla storia amministrativa dei singoli enti, alle dinamiche ed esigenze dei rispettivi territori.

Corroborata dal verbo di esponenti politici, la ’ndranghetizzazione mediatica della sanità calabrese – avulsa dal dato oggettivo sulla dimensione dell’ingerenza criminale e sul relativo peso nei bilanci di Asp e ospedali – ha consentito la ripetuta proroga della gestione straordinaria al posto dell’ordinaria, sul presupposto che la Calabria sia infiltrata sino al midollo e quindi irredimibile.

Per questa strada, la responsabilità politica locale è stata tolta e annullata in un tempo solo, a caro prezzo si è trasferita la pratica dei conti a un advisor internazionale, come se non vi fosse alternativa. Inoltre il tavolo interministeriale di verifica del Piano di rientro è stato risparmiato dal controllo politico, malgrado il significativo aumento del disavanzo sanitario dal 2014 al 2020. Allora è fondato dire, con Saviano e il Corriere della Calabria, che questo disavanzo dovrebbe coprirlo lo Stato, posto che i calabresi già pagano un mutuo trentennale con il Tesoro da 30 milioni annui, più il costo dei disservizi, dei viaggi della speranza, dei farmaci e delle visite, soprattutto dal privato. Ed è corretto affermare che sono una magra, inutile compensazione i 180 milioni complessivi per tre anni, stanziati nell’ultima «legge Calabria» in favore del Servizio sanitario della regione. Ancora, è bene preoccuparsi da subito per la distribuzione delle risorse europee che verranno destinate alla Sanità delle regioni, in genere rapportata alla popolazione residente, piuttosto che ai bisogni effettivi di assistenza territoriale e recupero strutturale, tecnologico ed organizzativo degli ospedali.

Spero che Saviano, di cui ricordo il vivo incoraggiamento riservatomi tempo fa, voglia sposare questa indispensabile battaglia di giustizia, perché il parlamento affronti il nodo del riparto del Fondo sanitario, da ricondurre, se la Repubblica è una, ai dati di morbilità e co-morbilità nelle diverse aree del Paese. Vincenzo De Luca lo chiede per la Campania, ma più spesso per canzonare i leghisti, da Giancarlo Giorgetti ad Attilio Fontana.

Infine pongo una questione cruciale, che, sono certo, l’amico Saviano saprà rilanciare con la sua autorevolezza. Come lui credo che vadano trasmesse in video le udienze del maxi processo Rinascita Scott. Tuttavia, in tema di lotta alla mafia mi domando che fine abbia fatto, in Calabria, la formazione di quel «movimento culturale e morale – auspicato da Paolo Borsellino – che coinvolga tutti, specialmente le nuove generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità, quindi complicità».

Se guardo alle mie spalle, vedo una progressiva dispersione delle coscienze, perché il movimento culturale calabrese del 2007, l’anno di «Why not?», fu cavalcato e diretto da un pezzo della politica e della tv, che poi scomparvero, con l’elezione a palazzo di alcuni portavoce dell’epoca. La questione calabrese cadde nel dimenticatoio e non ci fu verso di inserire nelle scuole l’insegnamento della Storia dell’antimafia, contemplato in una proposta di legge che nel mio piccolo contribuii a scrivere. Fummo annebbiati dall’amplificazione di un eroismo di creta e trascurammo l’esempio, la testimonianza, la pratica della legalità, che in Calabria vivono ogni giorno; anche in virtù dell’impegno di don Giacomo Panizza, di Antonino De Masi e di molti altri che lavorano lontani dai riflettori.

Al di là delle telecamere, e di ogni apparenza e convenienza, occorre fornire una risposta culturale, interdisciplinare, alla ’ndrangheta, incominciando dalla scuola. Intanto ci servono educatori, che rinunciando alla propaganda personale abituino i ragazzi al discernimento, al giudizio critico, al valore della solidarietà e della cooperazione, alla difesa del territorio, della bellezza, dei beni pubblici e comuni. Del resto, come profetizzava Gesualdo Bufalino, «la mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari».

Fonte:https://www.corrieredellacalabria.it/contributi/item/290642-le-risposte-che-servono-contro-la-ndrangheta/