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Efficienza, non perdiamo il «piano anticorruzione»

Il Corriere della Sera

Efficienza, non perdiamo il «piano anticorruzione»

Pubblica amministrazione: si possono snellire le procedure e semplificare gli adempimenti, ma non va persa l’esperienza acquisita in tutti questi anni

di Anna Corrado | 23 luglio 2021

La strada per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni sembra inevitabilmente passare per la stesura di un «Piano». E così negli ultimi anni ne sono stati previsti più di venti per le amministrazioni pubbliche, quasi che il legislatore non sappia che la loro mission principale non è quella di fare piani ma di curare l’interesse pubblico e di erogare servizi al cittadino.

Ogni governo prevede piani che fiduciosamente ritiene daranno la svolta e i governanti successivi, incuranti del lascito amministrativo, ne aggiungono altri. Così si sono sommati nel tempo piani per le opere pubbliche, per le forniture e i servizi, per le pari opportunità, per la transizione tecnologica, per la formazione, per i fabbisogni del personale, della performance; e ancora piani esecutivi di gestione, piani finanziari, economico-patrimoniali, un piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio, un piano delle alienazioni immobiliari, un piano delle tariffe Tari, un piano generale degli impianti pubblicitari, un piano per la razionalizzazione fusione o soppressione delle società pubbliche, un piano di razionalizzazione e di riqualificazione della spesa, un piano di prevenzione della corruzione e della trasparenza, un piano di organizzazione del lavoro agile. Senza contare che c’era pure un piano per la pandemia.

L’elenco non è ovviamente completo, ma testimonia che in Italia c’è un piano per tutto, salvo poi rendersi conto che più che di strategie di efficienza amministrativa si tratta spesso di adempimenti burocratici. Nel solco di questa pulsione pianificatoria si inserisce il Piano integrato di attività e organizzazione, previsto dall’art. 6 del d.l. 80/2021, in fase di conversione. Questo piano, rispetto agli altri, sembra avere il vantaggio di porsi in un’ottica di alleggerimento e di semplificazione del «sistema» esistente, per cui alcuni piani potrebbero venire meno (o essere ridimensionati) una volta varato quello integrato (a prima lettura la novella dovrebbe interessare performance, personale, formazione, pari opportunità, lavoro agile, alfabetizzazione digitale, anticorruzione e trasparenza). La scelta, in questi termini, va salutata con favore se non fosse per il timore che con «l’acqua sporca si butti via anche il bambino». In questo caso, in particolare, il bambino è rappresentato dal piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza e dalla politica di contrasto alla corruzione più in generale.

Il piano triennale di prevenzione della corruzione (dal 2016 anche della trasparenza), nasce a fine 2012 con l’obiettivo di far emergere e monitorare le attività a rischio di corruzione nelle pubbliche amministrazioni. È esso stesso una misura di prevenzione della corruzione: attraverso la metodica della valutazione dei rischi di corruzione si cerca di individuare in particolare quelli a priorità alta, collegati alle attività amministrative, da presidiare e scongiurare; un’attività di gestione dei rischi, sia strategici che operativi che ha segnato un nuovo modo di operare dell’amministrazione, per risultati e non solo per adempimenti. Come è evidente, la disciplina di prevenzione della corruzione così come gli stessi piani triennali non hanno portato, a circa otto anni dalla loro nascita, all’eliminazione della corruzione nelle pubbliche amministrazione, ma certamente ci si è incamminati su di una strada dalla quale non si può tornare indietro.

Come spesso accade nei percorsi di cambiamento, è importante, prima ancora che raggiungere l’obiettivo, il percorso individuato per raggiungerlo. E le amministrazioni, dopo le difficoltà iniziali, stanno effettivamente imparando ad affrontare temi centrali quali l’organizzazione pubblica per processi, il conflitto di interessi, l’etica pubblica, le incompatibilità degli incarichi, le segnalazioni nell’interesse pubblico, la trasparenza diffusa dell’attività amministrativa. Tutte questioni con le quali ci si confronta quotidianamente, che con il tempo finiscono per incidere sul modus operandi e che non possono essere ridimensionate in un’ottica di semplificazione. Possono certamente essere alleggeriti gli adempimenti in tema di prevenzione della corruzione, anche in base alle dimensioni dei soggetti coinvolti, si possono riformulare alcune norme «incomprensibili», lasciate all’interpretazione degli operatori, si può puntare alla digitalizzazione delle banche dati e alla loro interoperabilità.

L’esperienza di questi anni non va sprecata, buttandola con «l’acqua sporca dei piani inutili», ma va piuttosto valorizzata, riconoscendo il percorso dei dipendenti pubblici, quotidianamente alle prese con i temi della prevenzione della corruzione, che impone loro di riguardare l’attività anche in chiave di strategia anticorruzione e che nel tempo, grazie anche al ricambio generazionale, potrà produrre i suoi frutti. In ragione della sua rilevanza organizzativa e «culturale» sarebbe, quindi, importante che questo piano non perdesse lo spazio conquistato.