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Ecco le nostre indagini sui massacri di Palermo.LEGGETE BENE QUESTA TESTIMONIANZA DI UN ALTO E BRAVO MAGISTRATO CHE FU TRA GLI AUTORI DELLE INDAGINI DI QUEGLI EVENTI DOLOROSI. NON DIMENTICHIAMO MAI CHE LA MAFIA NON E’ ALTRO CHE IL BRACCIO ARMATO DEL POTERE.ESSA E’ NATA PER SERVIRLO,PER ESEGUIRE I SUOI ORDINI.

 

Ecco le nostre indagini sui massacri di Palermo

di Sergio Lari

 

Venerdì 12 Maggio 2017

Sono trascorsi venticinque anni dalla “stagione delle stragi” e coloro i quali nel 1992 non erano ancora nati o erano troppo giovani  probabilmente non possono rendersi pienamente conto di quali rischi abbiano corso, a quell’epoca, le nostre Istituzioni a causa della pericolosità sociale, economica e militare di Cosa Nostra al contempo di quanto grande debba essere il debito di gratitudine dei cittadini italiani nei confronti dei tanti, troppi, servitori dello Stato che hanno perso la vita  soltanto per avere fatto il proprio dovere fino in fondo.
Di questa consapevolezza non sono certamente privi gli appartenenti alla mia generazione, in specie quelli che, come me, per ragioni legate alla professione esercitata, non soltanto hanno vissuto da dentro le Istituzioni giudiziarie questi ultimi quattro decenni, ma hanno anche avuto l’opportunità di frequentare magistrati come Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino,  divenendo testimoni privilegiati delle loro vicende umane e professionali, fino al tragico epilogo delle loro esistenze.
Avendo vissuto questa esperienza, so bene che se gli artefici della uccisione di Falcone e Borsellino furono gli uomini di Cosa Nostra che identificavano in essi i due magistrati simbolo della lotta alla mafia, è anche vero che la loro vita professionale, in specie quella di Falcone, fu segnata da una quantità impressionante di delegittimazioni provenienti dal mondo delle Istituzioni cui essi stessi appartenevano.
Sarebbe, pertanto, semplicistico e non corrispondente al reale svolgersi degli eventi storici che hanno caratterizzato la loro vita, ridurre la testimonianza sugli anni che precedettero la loro tragica scomparsa al conflitto con la mafia sanguinaria dei corleonesi.
Ma,  piuttosto che rivisitare questa parte del loro vissuto, risalente al periodo compreso tra i primi anni ottanta ed il 1992, preferisco raccontare di quando, per ragioni legate alla mia professione, mi sono inaspettatamente dovuto cimentare in nuove e complesse indagini volte a ricostruire giudiziariamente l’epilogo del percorso esistenziale di Giovanni e Paolo.
Correva l’anno 2008 ed alla fine del mese di giugno trovai sulla mia scrivania di procuratore della Repubblica di Caltanissetta, incarico che ricoprivo da appena tre mesi, un verbale di colloquio investigativo di Gaspare Spatuzza, uomo d’onore di Cosa nostra, già reggente del mandamento mafioso di Brancaccio e fedelissimo dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, il quale aveva confessato di avere partecipato a tutta la campagna stragista avviata da Cosa Nostra il 23 maggio del 1992 con la strage di Capaci e terminata il 27 gennaio 1994, a Roma, con il fallito attentato all’Olimpico.
A seguito di numerosi interrogatori cui sottoposi lo Spatuzza, e dopo lo studio dei centinaia di faldoni relativi ai precedenti processi sulle stragi, mi resi conto che  le sue dichiarazioni, oltre ad essere in insanabile contrasto con molte delle precedenti acquisizioni investigative e processuali relative alla strage di Via D’Amelio, presentavano contenuti di rilevante novità rispetto a quanto già accertato giudiziariamente in relazione alla strage di Capaci.
In altri termini, se diceva la verità, si presentava dinnanzi a me ed ai magistrati che mi affiancavano uno scenario a dir poco allarmante.
Infatti, con riferimento alla strage del 19 luglio 1992, si profilava uno dei più clamorosi errori giudiziari o depistaggi della storia giudiziaria italiana, dovendo ipotizzarsi il pregresso mendacio di almeno quattro collaboratori di giustizia e la fallacia di tutte le connesse attività investigative e giudiziarie, con la conseguenza di dovere avviare nuove indagini destinate a mettere in discussione “verità” che ormai sembravano acquisite, essendo passate al vaglio di ben due processi (cosiddetto “Borsellino uno” e “Borsellino bis”) definiti con sentenze passate in giudicato.
In altri termini, non sarebbe bastato trovare le tessere mancanti di un mosaico (non reperite dalle precedenti indagini), ma sarebbe stato necessario uno sforzo investigativo di ben maggiore portata, consistente anche nella individuazione delle tessere false che qualcuno vi aveva inserito e nella rivalutazione delle precedenti acquisizioni investigative alla luce delle nuove emergenze probatorie.
La ricostruzione di quella vicenda si presentava, fin dal primo momento, di una complessità inaudita, poiché avrebbe richiesto la rivisitazione di tredici anni di indagini e processi, la ricerca di nuovi elementi di prova, l’individuazione di possibili interessi oscuri e di nuove responsabilità, ma anche di numerose  vittime di errori giudiziari, molte delle quali condannate all’ergastolo.
Avrei, altresì, dovuto mettere in conto una atmosfera mass-mediatica resa difficile da inevitabili polemiche da parte di coloro che, di fronte alla notizia delle nuove rivelazioni, avrebbero potuto nutrire aspettative, alimentate da personali convinzioni,  che rischiavano di essere deluse dall’esito di indagini necessariamente ispirate alla logica della rigorosa acquisizione della prova cui avrebbe dovuto attenersi il mio ufficio.
Con riferimento alla strage di Capaci, fortunatamente, non si profilavano errori giudiziari o depistaggi, ma si aprivano nuove ed inedite piste investigative, con collegamenti alle stragi del 1993 sul continente, anch’esse non facili da percorrere a distanza di sedici anni da quei tragici eventi.
Si può immaginare di quale responsabilità mi sia dovuto far carico insieme ai magistrati del mio ufficio, dovendo affrontare una indagine di tali proporzioni  senza avere neppure le risorse umane e materiali necessarie, poiché la Direzione distrettuaale antimafia. presentava, nel 2008, una rilevantissima scopertura dell’organico e non meno grave era la situazione della Dia di Caltanissetta, organismo investigativo del quale intendevo avvalermi.
Ed invero, per affrontare un compito così complesso, ho dovuto impegnarmi in prima persona nello espletamento delle indagini, pur essendo contemporaneamente onerato della direzione della Procura, ed  ho potuto contare  soltanto sulla collaborazione di pochissimi magistrati della D.D.A. i quali, tranne un sostituto che mi ha affiancato fin dal primo momento, sono subentrati in corso d’opera, a decorrere dal settembre del 2009, avvicendandosi nel corso degli anni in un continuo “ turn over”.
Non sarebbe stato, tuttavia, possibile portare a termine le indagini, senza  il contributo degli investigatori della Dia i quali hanno mostrato una professionalità, una conoscenza del fenomeno mafioso ed uno spirito di servizio a dir poco eccezionali.
Al fine di colmare i diversi “vuoti di conoscenza” ereditati dalle precedenti indagini e processi, le investigazioni svolte dal “pool stragi” della Dda  di Caltanissetta sono state condotte su un doppio binario.
Infatti, è stato necessario sia individuare gli errori giudiziari commessi e scagionare le persone ingiustamente condannate (che alla fine sono risultate complessivamente 11 di cui 7 condannate all’ergastolo), sia trovare le prove a carico dei nuovi responsabili della strage individuati complessivamente in 9 persone di cui 5 mai prima sospettate di avere partecipato all’eccidio.
Per quanto riguarda la strage di Capaci, è stato possibile trarre a giudizio, nell’ambito di due distinti processi, 8 persone, 7 delle quali appartenenti alla organizzazione mafiosa Cosa Nostra e segnatamente al mandamento di Brancaccio che ebbe il compito di procurare tutto il tritolo adoperato per l’eccidio del 23 maggio.
Quasi tutti i processi scaturiti da queste indagini sono ancora in corso, ma ciò che occorre evidenziare è che l’impianto accusatorio ha retto al vaglio della magistratura giudicante nei vari gradi di giudizio, per cui occorre riconoscere ai magistrati del “pool stragi” della Dda di Caltanissetta di avere operato con una professionalità che fa onore alla magistratura italiana.
In occasione di questo anniversario, rammentare l’impegno profuso per consentire l’accertamento della verità sulle stragi del 1992 e dimostrare, al contempo, che lo Stato italiano, malgrado il lungo tempo trascorso, non ha dimenticato i suoi caduti, costituisce il migliore omaggio possibile alla loro memoria.

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/