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Visita in carcere di Verdi e Radicali, incontro anche col re delle ecomafie Cipriano Chianese

Di Redazione Internapoli – 18 giugno 2018

Visita in carcere degli esponenti del partito radicale. Come riporta una nota ufficiale diffusa a mezzo stampa, i radicali hanno incontrato i detenuti della Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere. Nulla di strano visto che da sempre il partito fondato da Marco Pannella si è interessato alla vita delle persone detenute. La cosa particolare è che i radicali, accompagnati dal consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli, hanno mostrato solidarietà all’avvocato Cipriano Chianese, re delle ecomafie.

Ecco il comunicato diffuso dai Radicali NapoliA 35 anni dell’arresto di Enzo Tortora, incontriamo i detenuti della Casa Circondariale di Santa Maria Capua l’etere (CE). Il Presidente Antonello Sannino e il compagno Silvestro Gallipoli, accompagnati  in occasione della mobilitazione nazionale indetta da Radicali Italiani per il 35° anniversario dell’arresto di Enzo Tortora, hanno scelto di fare visita ai detenuti della Casa Circondariale (C.C.) ” F.Uccella” di Santa Maria Capua Vetere. La C.C. si presenta come una struttura moderna dove, però, non vengono sfruttate a pieno le potenzialità dei senti, soprattutto, si segnala un grosso e inverosimile, ma ormai storico, problema strutturale: manca l’allacciamento alla reta idrica con seri problemi di qualità organolettica dell’acqua di pozzo utilizzata. Le altre problematiche rilevate, oltre a quelle strutturali e di organico della polizia penitenziaria e degli educatori, sono: la scarsità di attività comuni, gli insufficienti spazi di socializzazione per i detenuti, e le conseguenti difficoltà per i detenuti, costretti a passare il tempo inattivi. A ciò si aggiunge l’eccessiva restrizione nelle possibilità di spesa e il peso della burocrazia che rende ancora più afflittive le condizioni del carcerato. Nel corso della visita, la delegazione della “Ernesto Rossi” ha incontrato, tra gli altri detenuti, anche l’avv. Cipriano Chianese, già proprietario e gestore della discarica Resit di Giugliano, per la quale è stato coinvolto in un processo, attualmente in fase di appello, con rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, che lo vede imputato, insieme ad un intero sistema, dalla Provincia di Napoli, al Commissariato per l’Emergenza Rifiuti della Regione Campania, fino a vari professionisti. Ci auguriamo che lo Stato, incapace magari di individuare le responsabilità dei singoli esponenti della classe dirigente, non sia alla ricerca di “capri espiatori’, così come potrebbe essere nel caso dell’avv. Chianese, condannato in primo grado a 20 anni di carcere, già inquisito nel noto processo “Adelphi” nel 1994, e Assolto con formula piena dall’accusa di 416 bis, smaltimento rifiuti ed altro. Dopo la condanna in primo grado nel processo Resit, a luglio 2016, è stato associato al carcere di Santa Maria Capua Vetere per la sua presunta appartenenza al clan dei casalesi, testimoniata da un pentito come attiva fmo al 1996. Da allora, ogni richiesta di misure alternative è stata respinta. Nel processo Resit, come in altri casi (Xylella, Balia Capua solo per menzionare i più recenti e noti), la “prova scientifica”, anche se supportata da Enti ed esperti di provata autorevolezza, non ha trovato la stessa dignità processuale rispetto a ricostruzioni di stampo più mediatico, seppur non corroborate dai fatti. Ancora una volta si è sottovalutato il valore dei dati tecnici. La vicenda Chianese, pertanto, non può rappresentare la soluzione sia giudiziaria, che politica, per condannare una intera classe dirigente che non ha saputo realizzare un ciclo virtuoso dei rifiuti provocando, in tal modo, le ricorrenti “crisi rifiuti” che hanno funestato la Campania negli ultimi decenni.

LA DIFESA SINGOLARE

E’ singolare il fatto che ‘il capo’ dei Verdi campani difenda un personaggio inquisito nei processi più importanti inerenti l’inquinamento della terra dei fuochi.

Il processo, che vede imputato l’inventore delle ecomafie legate al clan dei Casalesi, è attualmente in fase d’appello con rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. “Nel processo Resit la prova scientifica, anche se supportata da Enti ed esperti di provata autorevolezza, ha trovato la stessa dignità processuale rispetto a ricostruzioni di stampo più mediatico, seppur non corroborate dai fatti. Ancora una volta si è sottovalutato il valore dei dati tecnici”, scrivono i Radicali, augurandosi che “lo stato, incapace di individuare le responsabilità dei singoli esponenti della classe dirigente, non sia alla ricerca di capri espiatori, così come potrebbe essere nel caso dell’avvocato Chianese”.

 

fonte:https://internapoli.it/