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E Buscetta avvertì: dopo Falcone e Borsellino, la mafia colpirà i monumenti

E Buscetta avvertì: dopo Falcone e Borsellino, la mafia colpirà i monumenti

04 LUGLIO 2020

In “C’era una volta il pool antimafia. I miei anni nel bunker”, il magistrato Leonardo Guarnotta ricostruisce le strategie criminali di Riina e soci per mettere lo stato in un angolo. E constringerlo alla cosiddetta trattativa con Cosa nostra

DI ENRICO BELLAVIA

Tommaso Buscetta sapeva. Conosceva abbastanza da poter escludere che, dopo Falcone e Borsellino, Cosa nostra proseguisse nella strategia di morte e terrore in Sicilia. Il pentito che aveva svelato i misteri delle cosche era abbastanza sicuro da prevedere che la strategia di Riina e soci avrebbe puntato sul “patrimonio artistico monumentale del Paese”. Con gli attentati della primavera-estate del 1993 al Nord, con le bombe di Firenze (Georgofili), Roma (San Giorgio al Velabro e a San Giovanni in Laterano) e Milano (via Palestro), quella indicazione si sarebbe rivelata esattissima. Chi lo aveva informato? Domanda non da poco se a porsela è un magistrato del calibro di Leonardo Guarnotta, ultimo giudice istruttore di quello che fu il pool antimafia. Rimasto nella stanza di Giovanni Falcone, ben oltre la morte di quest’ultimo, a spegnere la luce del bunkerino in cui nacque il monumentale atto d’accusa contro Cosa nostra: ovvero il maxiprocesso di Palermo.

A cinque anni dal pensionamento, Guarnotta manda alle stampe un libro (“C’era una volta il pool antimafia. I miei anni nel bunker”, Zolfo con prefazione di Attilio Bolzoni) asciutto nella sua compostezza, senza retorica, ma tagliente nel ristabilire verità appannate dal revisionismo interessato, complice il tempo e gli interessi che vedono ora gli epigoni del variegato fronte di fermi oppositori di Falcone inneggiare al suo metodo e alla sua figura, elevandolo al rango di eroe postumo, vilipeso in vita ed osannato da morto. Guarnotta tiene a ristabilire la verità da testimone privilegiato e protagonista di quegli anni, ammesso alla ristretta cerchia degli uomini che hanno fatto la storia dell’antimafia.

Un esempio? Nessuna riconciliazione possibile tra un Borsellino impropriamente chiamato in causa da Leonardo Sciascia nell’articolo sui “professionisti dell’antimafia” del gennaio del 1987, come l’accomodante storiografia tende ad accreditare. La prova per Guarnotta sta nel discorso testamento del giudice ucciso del 25 giugno 1992: riferendosi a Falcone disse che cominciò a morire alla data di pubblicazione di quell’articolo, ispirato allo scrittore proprio dai suoi detrattori con la toga addosso.

Su tutto c’è la rivelazione a margine dell’interrogatorio reso da Buscetta in Canada nell’aprile del 1993, ben prima che i boia di Cosa nostra trasferissero al Nord l’onda stragista, provocando dieci vittime innocenti e “creando le condizioni per quella che processualmente, sarà nota come la trattativa Stato-mafia”.

Guarnotta ammette di aver creduto che “Buscetta avesse espresso soltanto una opinione personale e non una vera e propria previsione che sarebbe stata confermata”. E non tenne per sé quella rivelazione, la riferì “a chi di dovere”. Non se ne fece nulla.

E così il libro finisce per rivelare l’ennesimo atto mancato delle indagini sulle stragi. Il giudice si fa delle domande. “Pensai che o eravamo di fronte a un personaggio dall’intuito straordinario oppure qualcuno, che magari gli offriva protezione, gli aveva sussurrato questa possibilità. Ma se gli americani, che avevano Don Masino in custodia, erano al corrente di una simile “svolta” da parte di Cosa nostra rispetto alle sue sperimentate iniziative, possibile che nessuno avesse pensato ad avvisare per tempo i servizi italiani? Oppure la notizia partì dall’Italia, dove qualcuno si sentì forse in dovere di chiedere l’opinione di un esperto come Buscetta su un simile cambiamento di strategia?”.

Insomma, Guarnotta da addetto ai lavori non crede affatto alla coincidenza. Buscetta parlava con cognizione di causa. Qualcuno lo aveva di certo informato e il giudice non pensa neppure per un attimo ai vecchi sodali. Quanto piuttosto agli apparati. Italiani o americani. O entrambi. Loro sapevano e lasciavano che i boia andassero avanti. Del resto, quelle bombe al Nord erano l’ultimo tassello per “mettere all’angolo lo Stato italiano, costringerlo a venire a patti”. Accadde.

 

Fonte:https://rep.repubblica.it