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Dubai regno della camorra: summit in Procura, dieci nomi nel mirino

Il Mattino, 13 gennaio 2020

Dubai regno della camorra: summit in Procura, dieci nomi nel mirino

di Leandro Del Gaudio

Dieci nomi da monitorare, dieci persone incensurate, che nella vita – almeno in chiaro – fanno i commercianti o i piccoli imprenditori. Erano seduti in voli diretti dall’Italia e dalla Francia verso Dubai, la capitale degli Emirati Arabi, mai come in questo periodo finita al centro dell’attenzione investigativa della Procura di Napoli. Inchiesta per riciclaggio, si lavora partendo dalla prima regola investigativa, un principio condiviso dalle polizie di tutto il mondo: quello che ti impone di seguire i soldi, di battere la pista dei canali dell’economia, per capire in che modo vengono ripuliti i proventi della camorra. Napoli, Nizza, Dubai. E tanto altro, a giudicare dai moventi e dal giro di contatti riscontrati in questi mesi nel corso di alcuni personaggi chiave: non solo Raffaele Imperiale, ricercato dal 2015 ma candidamente in azione a Dubai; non solo Bruno Carbone, arrestato lo scorso 20 dicembre, perché trovato in possesso di documenti falsi (come avvenuto anche nel 2017, salvo riuscire a scappare in modo tutto da chiarire); non solo Cerrone e Liuzzi (principali soci di Imperiale), al centro delle indagini della Procura di Napoli. C’è tanto altro, a giudicare dal summit che si è tenuto in questi giorni – nel pieno della pausa natalizia – tra magistrati della Dda e il meglio dei reparti investigativi del distretto napoletano. Un vertice in piena regola, per esplorare l’ultima frontiera del riciclaggio, a partire da una domanda su tutte: che fine fanno i soldi della camorra? Come vengono ripuliti i soldi dei clan? Una scenario investigativo aperto in questi anni dai pm Maurizio De Marco e Vincenza Marra, che hanno ottenuto gli arresti di Imperiale, ma anche il rinvenimento di due tele di Van Gogh, rubate ad Amsterdam all’inizio dello scorso decennio e ritrovate in zona stabiese, nella disponibilità di alcuni affiliati di Imperiale.

Oggi c’è una nuova pista, in questo caso battuta dai pm che si occupano dell’Alleanza di Secondigliano (sempre sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli), che prende le mosse dagli spostamenti di soggetti del calibro di Gennaro Trambarulo. In almeno cinque occasioni, prima di essere arrestato, il braccio destro dei boss dell’Alleanza si sarebbe recato a Dubai. Stesso tragitto percorso da alcuni soggetti che ricadono sotto la sua sfera di influenza, quanto basta comunque a dare inizio ad un’inchiesta di «sistema». Usura e racket, c’è chi dalla scorsa primavera è partito per Dubai per dare inizio ad attività commerciali. È questa la convinzione della Dda di Napoli, che – non a caso – sta visionando alcune iniziative imprenditoriali. Ed è in questo scenario che sono finite nel mirino almeno dieci persone, soggetti incensurati, tutti impegnati nella nascita di pizzerie e di negozi legati al ristorazione, al «food» napoletano. Quanto basta a portare avanti uno screening delle liste di clienti di alcuni voli partiti da Napoli (ma anche da Nizza) negli ultimi mesi, nel tentativo di unire nomi a imprese commerciali, business a soggetti in odore di camorra. Inchiesta che fa sempre e comunque i conti con la difficoltà di dialogare con le autorità degli Emirati, paese da sempre molto attento a custodire la riservatezza di imprenditori e soggetti in grado di depositare moneta cash nei conti correnti delle banche locali. Esistono contatti tra Imperiale e i nuovi arrivati? Domanda doverosa, se si vuole scavare sui rapporti tra Napoli e Dubai. E soprattutto: al netto dell’ordine di cattura che lo vede latitante (e in esilio dorato) a Dubai, quali sono le mosse di Raffaele Imperiale? Indicato come potente broker della droga, sembra che non si sia lasciato impressionare dalle indagini condotte dalla Procura di Napoli. Anzi. A leggere le accuse del pentito Andrea Lollo (che risalgono ad almeno due anni fa), Imperiale avrebbe avuto la forza di spostare uomini, capitali e droga in Ecuador, nei Paesi Bassi e in Europa dell’Est. Noto come «pasta» (è il suo nickname, secondo il pentito), avrebbe addirittura avuto la forza di corrompere le persone giuste, per consentire al suo collaboratore Bruno Carbone di ritornare in libertà: Carbone era stato arrestato a Dubai nel 2017, perché viaggiava con documenti falsi in aerei privati, ma venne rilasciato per fare ritorno nei paesi dell’est europeo, grazie a una «mazzetta pagata a quelli dell’Interpol», secondo il racconto di Lollo. Parole tutte da verificare, in un’inchiesta che ora punta a salire di livello. Un salto di qualità per verificare l’origine dei soldi di una decina di piccoli e medi imprenditori che in questi mesi sono andati a Dubai ad aprire pizzerie, paninoteche, magari facendo lo stesso percorso di gente in odore di camorra.