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Dopo i boss i manager. Così la camorra cresce

Offensiva. L’arresto di tanti capi ha indebolito le cosche ma restano in campo complici e professionisti del crimine

Gli ultimi colpi la stanno finalmente fiaccando. Perde sangue, la Bestia. Le lance che le si sono conficcate nella carne la indeboliscono ogni giorno di più. C’è un pericolo, però, nel considerare quasi del tutto sconfitta la camorra, dopo gli arresti (che pure ci sono stati) dopo le inchieste (che pure non mancano) dopo le condanne (che magari fossero più lunghe e pesanti); dopo, insomma, l’offensiva che magistratura e forze dell’ordine ha scatenato contro la struttura militare delle organizzazioni criminali. Un’offensiva che, statistiche alla mano, ha messo in ginocchio alcune delle cosche più potenti e temute della Campania. Qualche esempio: il clan Di Lauro, un tempo capeggiato dal boss Ciruzzo ‘o milionario, è stato completamente sgominato; dei mille soldati del crimine stipendiati un decennio fa, oggi ne sopravvivono una trentina. Gli altri sono in galera, o sottoterra. La famiglia Sarno, che un tempo comandava nel misero quartiere Ponticelli di Napoli, si è sfaldata sotto il suo stesso peso, con una serie di pentimenti a catena. I Casalesi, la potente mafia casertana, è stata disarticolata da uno sforzo investigativo senza precedenti, anche grazie al contributo del Governo e del ministro Roberto Maroni che ha inaugurato il modello-Caserta per unire, sotto un’unica regia, i livelli operativi di prevenzione e repressione. Eppure, spazzati via pedoni e fanti dalla scacchiera della malavita, c’è il pericolo che re e regine, torri e alfieri restino nelle retrovie; ovvero che, eliminati i manovali della camorra, restino a piede libero i fiancheggiatori, i manager, i professionisti del «Crimine spa». In galera ci sono centinaia e centinaia di semplici affiliati, di killer, di capizona e kapò. In galera ci sono decine di boss e qualche capo dei capi. Mancano, stranamente, quelli che hanno amministrato e amministrano, tutt’oggi, i milioni di euro di questi delinquenti incalliti. Coloro, in pratica, che pur maneggiando denaro sporco di sangue e cocaina hanno l’ufficio di rappresentanza nelle metropoli europee e che viaggiano in Ferrari e bevono Veuve Clicquot. Le indagini patrimoniali e finanziarie sono la parte mancante alla vittoria dello Stato sull’Antistato. Facciamo un salto indietro di qualche riga: i Di Lauro non hanno quasi più uomini al loro servizio, si diceva. Ma stiamo parlando di un clan che ha fatturato 15 milioni di euro al mese dal traffico di droga, per una decina di anni ininterrotti. Il che fa, occhio e croce, un miliardo e ottocento milioni di euro. Che fine hanno fatto questi soldi? E ancora: i Casalesi che controllano, in maniera diretta e indiretta, appalti, traffico di armi, droga, prostituzione, racket, usura, truffe alla Comunità europea e un’altra mezza dozzina di reati minori dove hanno investito i loro soldi? Chi li sta facendo lievitare, oggi? A leggere alcune informative delle forze dell’ordine, sembra che alcune città della Campania ormai abbiano un tessuto produttivo a capitale mafioso; sorgono, qua e là, ristoranti all’ultima moda, discoteche très chic, palestre di grido. Pochi sanno che ci sono i denari della Bestia dietro, denari che foraggiano imprenditori senza più coraggio e, cosa ancor più drammatica, senza quattrini propri da investire e da rischiare. I tentativi di arginare quest’onda lunga di connivenze, di complicità e di inquinamento del mercato e dell’economia sono stati pochi, ma non per questo marchiati dall’insuccesso. Le indagini di pm come Federico Cafiero de Raho, Antonello Ardituro, Cesare Sirignano sono andati a intaccare i santuari della finanza mafiosa ottenendo importanti successi. L’impegno e la tenacia profusi dalle forze di polizia giudiziaria in questo campo (una su tutte, la Guardia di Finanza guidata con mano ferma dal comandante regionale Giuseppe Mango) dimostrano che il pericolo camorra è molto più difficile da estirpare di quanto si possa immaginare, almeno se continuiamo a identificare la camorra con il solo picciotto che piazza gli esplosivi davanti alle botteghe che non pagano il pizzo. Ammazzata la Bestia, c’è da sgozzare anche i cuccioli.

Simone Di Meo

(Tratto da Il Tempo)