La storia di chi ha sfidato l’organizzazione criminale, nel podcast “Le Onorate”. Donne con le loro testimonianze e magistrate con il loro lavoro
Pubblicato il: 11/04/2023 – 7:30
REGGIO CALABRIA Con il suo coraggio scrisse la storia. Andò a Platì, Natile, San Luca, sfidando apertamente gli ‘ndranghetisti, per parlare con le donne del luogo e tentare di trovare il figlio rapito. Quella di Angela Montagna è la storia di una “donna coraggio”, non solo “mamma coraggio” come venne ribattezzata dopo il gesto disperato che la portò da Pavia alla Locride. Una storia, che insieme a quelle di altre donne che hanno sfidato e combattuto la ‘ndrangheta nei modi più diversi, – diventando per esempio testimoni di giustizia come nel caso di Lea Garofalo, Tina Buccafusco, Giuseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola – è raccontata nel podcast, “Le onorate. Donne dentro e contro la ’ndrangheta”, prodotto dal Post in collaborazione con Disney+ in occasione dell’uscita della serie originale The Good Mothers, e realizzato dal giornalista Stefano Nazzi e Anna Sergi, docente in criminologia all’Università dell’Essex.
Il coraggio di Angela Casella
Era il 18 gennaio 1988 quando Cesare Casella, figlio di Angela e Luigi Casella venne rapito a Pavia mentre stava uscendo di casa. Il periodo era quello dei sequestri di persona da parte di quella che era conosciuta come “Anonima sequestri calabrese”, quando gli ostaggi venivano portati in Aspromonte. Fu così che Angela Casella decise di recarsi nei paesi della Locride come Platì e San Luca per parlare con le donne del posto consapevole del fatto che fossero loro, per conto degli uomini, a prendersi cura del figlio. Arrivò ad incatenarsi e a vivere in una tenda sotto gli occhi di tutti, pur di andare avanti nella ricerca del figlio. Angela Casella, spiega Anna Sergi, «si pone da madre e chiede alle madri. Non va a chiedere agli uomini di liberare il figlio. Si rivolge alle madri cercando di fare leva su quell’amore universale che tiene insieme l’amore materno».
Un gesto disperato che ben presto suscita scalpore e attenzione mediatica, mettendo in evidenza il grande coraggio di una donna che dal Nord era arrivata in Calabria per sfidare a viso aperto quella ‘ndrangheta di cui ancora si sapeva ben poco, ma di cui si conosceva la crudeltà che si esplicitava nella pratica dei sequestri di persona. Il sequestro di Cesare Casella durò esattamente 743 giorni: nel gennaio del 1990 il ragazzo venne liberato a Natile di Careri.
Le donne e la lotta alla ‘ndrangheta
A sfidare apertamente la ‘ndrangheta è stata anche Denise Cosco, figlia di Lea Garofalo. La sua testimonianza è stata fondamentale per incastrare il padre Carlo Cosco, condannato insieme ad altre persone per l’omicidio della donna che aveva deciso di raccontare le dinamiche di ‘ndrangheta del suo paese di origine, Petilia Policastro, nel crotonese.
Donne comuni, ma anche magistrate che con il proprio lavoro hanno contribuito a combattere attivamente l’organizzazione mafiosa più potente al mondo. Una di loro è Alessandra Dolci, coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano – ricorda nel podcast Stefano Nazzi – che «ha inferto colpi durissimi alla ‘ndrangheta e alla criminalità organizzata in generale». E poi ancora, accanto alle donne che hanno deciso di diventare collaboratrici di giustizia, Alessandra Cerreti che «riceve le dichiarazioni di Giuseppina Pesce e riesce a instaurare con lei non solo un rapporto tra pm e collaboratrice, ma tra donna e donna», e Marisa Manzini che fa lo stesso con Tita Buccafusca finché decise di collaborare. «Parlare di donne di ‘ndrangheta – spiega Anna Sergi – è fondamentale perché bisogna ricordare che questa organizzazione criminale che riesce a entrare nei tessuti criminali, nei gangli della società e dell’economia è fatta di persone reali. Leggere le loro dinamiche interne aiuta a leggere anche le dinamiche esterne, a capire come alcune famiglie di ‘ndrangheta siano entrate a livelli di penetrazione della società così avanzata». (redazione@corrierecal.it)