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DOCUMENTI. C’é un grosso problema in Italia per quanto riguarda la lotta alle mafie:il comportamento di molti prefetti. Negano,negano,negano,anche di fronte all’evidenza dei fatti.Se non si affronta e si risolve questo problema rischiamo di fare un buco nell’acqua.E’ necessario ed urgente rivedere il ruolo delle Prefetture.

 

 Arezzo: la piovra mette i tentacoli. La mafia è arrivata ma il prefetto nega

Arezzo: la piovra mette i tentacoli. La mafia è arrivata ma il prefetto nega

“Il Fatto Quotidiano” mette sotto riflettori la nostra città, a seguito della denuncia della fondazione Caponnetto. È una delle città con la qualità della vita più alta. Qui la cultura garantisce il 9% del pil. Ma in vent’anni ci sono state 120 indagini che hanno toccato 34 cosche. I cittadini stentano ad ammettere la presenza di infiltrazioni. Perfino il rappresentante del Governo dice: “Allarmismi non condivisibili”

Alcuni degli stralci piu’ significativi tratti dal “Fatto Quotidiano” di oggi, a firma Lorenzo Tosa

Non realizzi finché non senti quell’odore. Fino a che non lo annusi nell’aria, te lo ritrovi la mattina al bar, accanto alla tazzina di caffè. E ad Arezzo quell’odore non c’è. O, perlomeno, non ancora. “Qui tutto avviene in silenzio, sottotraccia. C’è come un clima di auto-omertà: appena la gente percepisce qualcosa, si chiude a riccio per non affrontarlo”.

Salvatore Calleri è il presidente della Fondazione Antonino Caponnetto, che ad inizio dicembre ha presentato il report 2014 sulla criminalità organizzata in città e provincia. 97 pagine fitte di notizie, dati, statistiche, l’elenco delle operazioni svolte dalle forze dell’ordine e dalla DIA. E, soprattutto, i nomi. Quelli che da queste parti in pochi hanno voglia di fare, come se il silenzio possa in qualche modo esorcizzarne lo spettro. “La mafia? Non scherziamo, qui non esiste”. Passeggiando, la domenica mattina, per i portici di piazza Grande, è difficile intuire dove finisca l’orgoglio degli aretini onesti e dove cominci la paura di sapere, capire.

Ma a sorprendere di più è la reazione di una parte delle istituzioni. Quando il rapporto della Fondazione è stato reso pubblico, il prefetto di Arezzo, Saverio Ordine, ha liquidato la questione come “allarmismi non condivisibili”. “La guardia va tenuta altissima, ma questa non è una terra di mafia – ribadisce Ordine Non a caso, nel report della DIA del primo semestre 2014 la parola Arezzo non compare mai”. Una presa di posizione che suona come una stecca in un coro di timori bipartisan. “Una svirgolata enorme” l’ha definita Marco Manneschi, consigliere regionale, pronto a scrivere una lettera per chiedere spiegazioni al prefetto.

Dietro questa ricca città etrusca, dove l’oreficeria è un’arte e con la cultura si mangia davvero (ha un’incidenza di valore aggiunto del 9%, prima provincia in Italia), si nascondono i tentacoli della piovra: dagli anni ’90 ad oggi, sono circa 120 le operazioni di polizia e i provvedimenti dell’autorità giudiziaria (e 6 beni confiscati) nei confronti di 34 cosche mafiose. Di queste, ben 20 sono affiliate alla camorra, 11 alla n’drangheta, 2 a cosa nostra e una alla sacra corona unita pugliese. “In questo momento i più attivi sul territorio sono i casalesi della fazione Bidognetti, nonché alcune n’drine legate ai Mancuso, gli Anello e i Gallace” spiega Renato Scalia, l’autore del report su Arezzo.

Gomorra è già qui, nascosta tra le carte degli appalti pubblici, nei finanziamenti alle imprese in crisi, dentro i capannoni industriali sorti a decine a cavallo tra l’autostrada del Sole e la Direttissima ferroviaria. “La criminalità organizzata – spiega Scalia – utilizza la provincia di Arezzo come base per il riciclo di denaro sporco, senza puntare, per ora, al controllo del territorio e limitando al minimo i metodi violenti”. Una sorta di pax con cui gli affiliati tessono alleanze e collaborazioni, costituendo vere e proprie holding imprenditoriali. Dove un tempo c’erano le botteghe degli orafi, oggi spuntano come funghi negozi di Compro Oro. Giovanni Falcone diceva: “Segui i soldi e troverai la mafia”. Ad Arezzo, se vuoi capire qualcosa, devi seguire l’oro. E dentro ci troverai i soldi dei clan, riciclati e ripuliti. Lo aveva capito anche l’ex cassiere di Pablo Escobar che, negli anni ’90, bussava a Porta San Clemente per convertire i narcodollari del cartello di Medellin nel metallo più pregiato.

Ma è solo la punta dell’iceberg di un sistema che ha cominciato a mettere radici negli anni ’60 e ’70, quando sono stati trasferiti qui 33 mafiosi in soggiorno obbligato. Da allora gli interessi dei clan si sono stratificati, fino a toccare tutti i settori, leciti o illeciti: dalla droga al gioco, dall’immobiliare al movimento terra, sino ai rifiuti. Non è un caso che l’eco-mafia sia nata proprio ad Arezzo, a villa Wanda, dove negli anni ’80 alcuni imprenditori del centro-nord e Gaetano Cerci, uomo di fiducia del boss Francesco Bidognetti, avrebbero siglato i primi accordi sullo smaltimento illecito di rifiuti tossici, con la mediazione di Licio Gelli e la potente massoneria toscana.

Arezzo è da sempre una realtà agiata e, perciò, molto appetibile per la malavita organizzata. E la crisi, invece di rallentare, ha addirittura accelerato le infiltrazioni sul territorio, come racconta Scalia: “Negli ultimi tempi molte aziende hanno chiuso, i disoccupati sono in aumento. E in questa zona grigia che si sono inseriti i clan, offrendo opportunità di credito a imprenditori che non possono più contare sulle banche”.

Se Roma “scopre” la mafia, sulle sponde dell’Arno rischiano di ritrovarsi “nelle mani di nessuno”. Come in quel romanzo di Gianni Palagonia, il nome falso di un poliziotto vero che ha combattuto dall’interno i clan e ha raccontato tutto in un libro, ambientato in un Arezzo troppo vera per essere solo fiction. Troppo reale per poterci credere. È stato lo stesso Palagonia ad accertare il transito in città di ben 64 persone con precedenti per associazione mafiosa, le cui foto segnaletiche sono state ritrovate anni dopo in un cassonetto della spazzatura. Mentre la gente comune comincia lentamente a prendere consapevolezza, qualcuno preferisce continuare a credere che si tratti solo di un romanzo. Almeno fino a quando non si respirerà quell’odore nell’aria. “Per ora siamo solo a livello di infiltrazioni – guarda avanti Scalia – Ma, se si sottovaluta il problema, il bubbone scoppiato a Roma potrebbe esplodere ad Arezzo e poi a Udine, Trento, Bolzano e così via. Interrompiamo il sistema, prima che mafia Capitale non si trasformi in mafia nazionale”.

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