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Diabolik colpito alle spalle, Calderon accusato di omicidio: «Guerra tra boss criminali»

Il Mattino

Diabolik colpito alle spalle, Calderon accusato di omicidio: «Guerra tra boss criminali»

Giovedì 15 Settembre 2022 di Michela Allegri

Una guerra tra gruppi criminali che volevano spartirsi le piazze di spaccio e le zone d’influenza nella Capitale, e una lunga scia di sangue, culminata con l’agguato costato la vita a Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, capo ultrà della Lazio, ma anche re dei narcos di Roma. Ora, il killer che il 7 agosto del 2019 ha premuto il grilletto al parco degli Acquedotti di Roma, freddando il Diablo alle spalle mentre era seduto su una panchina, rischia il processo con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal metodo mafioso: i pm Corrado Fasanelli e Rita Ceraso, coordinati dall’aggiunto di Dda Ilaria Calò, hanno chiuso le indagini a suo carico e il prossimo passo della Procura potrebbe essere una richiesta di rinvio a giudizio.

Quel giorno, vestito da runner, si è avvicinato a Piscitelli e gli ha sparato in testa, prendendo la mira senza nemmeno interrompere la corsa. Si tratta di Raul Esteban Calderon, 52 anni, argentino, con precedenti per rapina, sicario considerato responsabile anche di un altro fatto di sangue: l’omicidio dell’albanese Selavdi Shehaj, soprannominato “Passerotto”, ucciso il 22 settembre 2020 a colpi di pistola sul lungomare di Torvaianica, vicino al chiosco “Bora Bora”. Anche in questo caso Calderon era vestito da runner, con il volto travisato e i tatuaggi coperti da una bandana. Per la morte di Shehaj, sono state chiuse le indagini con l’accusa di omicidio aggravato dal metodo mafioso pure a carico di Enrico Bennato e Giuseppe Molisso. Mentre una persona non identificata faceva da palo – si legge nel capo di imputazione – Calderon e Bennato avrebbero agito in pieno giorno, con il volto coperto da mascherine: avrebbero sparato due colpi di pistola da distanza ravvicinatissima colpendo la vittima al collo. Poi, sarebbero scappati a bordo di un motorino rubato, indossando caschi integrali. Molisso avrebbe aiutato Calderon a pianificare l’agguato e, secondo l’accusa, avrebbe procurato ai due una pistola – diversa da quella usata per l’omicidio – e lo scooter. A consegnare a Claderon il mezzo e l’arma sarebbero stati, rispettivamente, Luca De Rosa – accusato solo di ricettazione – e Guido Cianfrocca – accusato di detenzione di armi -, insieme a un terzo soggetto – detto “Il messicano” – che non è stato ancora individuato.
I due procedimenti sono stati riunificati: secondo gli inquirenti entrambi gli omicidi sono serviti ai boss della malavita per ridisegnare gli equilibri criminali della Capitale. I punti oscuri sono ancora molti. A partire dai mandanti dell’omicidio Diabolik. E non solo: nel capo di imputazione si legge che Calderon ha agito «in concorso con altra persona allo stato non identificata». In entrambi i casi si trattava di azioni pianificate nei dettagli.

Nell’agosto 2019, al parco degli Acquedotti, Calderon, in tenuta sportiva, ha «rallentato la corsa» – scrivono i pm – e ha esploso un solo colpo, a bruciapelo, prendendo alla testa dell’ex capo degli Irriducibili. Un’azione, scrivono i pm, chiaramente premeditata. Pochi mesi dopo l’omicidio, i soci del Diablo erano stati arrestati, con l’operazione “Grande raccordo criminale”. A gestire il giro di narcotraffico, oltre a Piscitelli, c’era Fabrizio Fabietti, che per questa vicenda è stato condannato in primo grado a 30 anni di reclusione.