Redazione
Frosinone – Con un’economia in crescita dopo anni di stagnazione e con tante imprese che tornano ad investire, il Lazio è un territorio molto appetibile per le organizzazioni mafiose che ormai non agiscono quasi mai con la violenza ma attraverso i colletti bianchi. Dalle vicende della città di Roma con l’inchiesta “Mafia Capitale”, all’appalto sui rifiuti della città di Frosinone, alle infiltrazioni camorristiche nel pontino, per arrivare alle dimissioni del presidente del X Municipio di Ostia per la presenza della mafia sul litorale, il fenomeno è reale. A livello regionale sono 88 i clan mafiosi presenti, 35 appartenenti alla ‘ndrangheta, 29 alla Camorra, 16 a Cosa Nostra, 6 locali e due alla sacra corona unita. “La mafia fa male all’economia, impedisce ai territori di crescere e danneggia le imprese sane, favorendo la concorrenza sleale. Non possiamo permetterle di distruggere quanto di buon striamo costruendo e non sono più ammissibili posizioni ambigue, che tendono a negare il problema e a non fare nulla per fermarlo. Tutti sono coinvolti, e ognuno è chiamato a fare la propria parte. A partire dai Comuni, ad esempio, che dovrebbero sottoscrivere un protocollo di legalità e rendere trasparenti e aperti tutti i loro dati.” Così Daniela Bianchi, consigliera regionale del gruppo “PD” in occasione della presentazione del rapporto “Le Mafie nel Lazio” a cura dell’Osservatorio sulla legalità della Regione Lazio.
Come emerge dal rapporto “Le mafie nel Lazio” a cura dell’Osservatorio sulla Legalità della Regione, per la provincia di Frosinone il pericolo maggiore arriva dal riciclaggio di denaro sporco (attraverso nuove attività economiche apparentemente legali) e dal narcotraffico. Tra le aree a maggior rischio troviamo quella di Coreno Ausonio, con il distretto del marmo, Cassino con l’indotto Fiat e l’area di Frosinone colpita dal traffico di stupefacenti. E non possiamo certo escludere che con l’avvio delle politiche di reindustrializzazione non si correranno gli stessi pericoli di infiltrazione anche nelle aree produttive del nord della provincia. Un quadro che non deve però scoraggiare, ma al contrario spingerci ad essere più vigili e decisi nelle nostre azioni. La Regione su questo è in prima linea: solo pochi mesi fa ha sottoscritto un protocollo con Cantone, direttore Anac, per il controllo preventivo su tutti gli appalti regionali. E’ stata inoltre introdotta per la prima volta la fatturazione elettronica, la centrale unica degli acquisti e un albo elettronico dei fornitori sicuri, la così detta “white list”. Molte altre azioni restano da fare e sono già in cantiere, come l’open data regionale (in particolare sulle spese sanitarie) per rendere accessibili con un click tutti i dati della regione (spese, progetti, investimenti) e una legge regionale sulla trasparenza.
La Regione però non può fare tutto da sola: senza l’attiva partecipazione delle imprese, degli enti locali, del mondo scolastico e della cultura e dei singoli cittadini sarà difficile emarginare le mafie dal Lazio. Per questo lo scorso dicembre è stato firmato “Patto per la Legalità e il contrasto all’economia criminale” che impegna la Regione ad aiutare le vittime di racket, prevedere nei bandi delle premialità per le imprese che investono in progetti sulla legalità e a promuovere azioni di contrasto all’abusivismo commerciale e alla contraffazione. Gli strumenti quindi ci sono: i Comuni, come detto, possono sottoscrivere il protocollo di legalità che permetterebbe una vigilanza antimafia anche sugli appalti sotto i 250 mila euro e a rischio infiltrazione oltre ad attuare politiche di trasparenza con gli open data. Le imprese in difficoltà possono rivolgersi agli sportelli anti usura e avere l’accesso al credito grazie ai vari fondi che la Regione dedica alla PMI e alle startup. Solo con questo profondo cambiamento, potremmo ambire non solo a cacciare le mafie da i nostri territori ma anche contribuire ad avere più lavoro, più imprese e più benessere.