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Depistaggio via d’Amelio: tra ”non ricordo” e ”non so”, sentiti Di Gangi, Ricciardi e Giunta

Depistaggio via d’Amelio: tra ”non ricordo” e ”non so”, sentiti Di Gangi, Ricciardi e Giunta

di Aaron Pettinari

“Non so”, “non ricordo”, “non penso”. Sono queste le parole costanti delle testimonianze di alcuni poliziotti che si occuparono nel 1995 della gestione dell’ex pentito Vincenzo Scarantino nella località protetta di San Bartolomeo a Mare, appartenenti al gruppo Falcone e Borsellino, al processo che si è tenuto a Caltanissetta dove, davanti al Tribunale, presieduto da Francesco D’Arrigo, per il presunto depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio. Sotto accusa vi sono il funzionario di Polizia Mario Bo e i due sottufficiali Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.
A salire sul pretorio sono stati sentiti l’ex questore di Bergamo Vincenzo Ricciardi, e i sovrintendenti di Polizia Margherita Giunta e Giuseppe Di Gangi.
Proprio quest’ultimo, presente in un momento chiave come la colluttazione tra Scarantino e l’imputato Bo nel giorno in cui avvenne la ritrattazione televisiva del falso pentito, è stato il primo ad essere chiamato a rispondere alle domande del pm Stefano Luciani.
E sin dal primo momento non sono mancate le difficoltà nel momento in cui non venivano ricordate alcune attività svolte in quegli anni delle stragi, quando prestava servizio per la squadra F, ovvero il gruppo che indagava sulla morte di Falcone.
“Sulla strage di via d’Amelio ho fatto solo qualche accertamento, mi sono occupato delle intercettazioni per la cattura e qualche accertamento. Per esempio mi sono recato a Bologna per vedere se Gaetano Scotto era in quella città durante il periodo della strage – ha dichiarato Di Gangi –. Ma non ricordo sopralluoghi con Scarantino, non penso. Io mi sono occupato della strage di Capaci”.
A quel punto Luciani ha rappresentato come il 29 giugno 1994, “documentalmente risulta che il 29 tra i componenti della squadra F, ci fosse proprio lei e aveva fatto servizio 16-20 e 0-4, non ricorda?”. E Di Gangi ha replicato con un “no”. Poi, alla domanda se avesse avuto in carico Scarantino ha aggiunto: “Non ne ho ricordo, altrimenti glielo direi. Che motivo avrei?”. Così il sostituto procuratore ha evidenziato: “Dalle carte risulta che in otto circostanze ha prestato servizio con Scarantino. Nel ’94, ha pure trascorso il capodanno con Scarantino. Possibile che non ricordi?”. E a quel punto il teste è esploso: “Io sono veramente devastato da questa situazione, io sto male, sono in stato di depressione, non faccia ironia”.
Parlando del periodo vissuto a San Bartolomeo a Mare il teste ha riferito alla Corte che: “Pochi giorni prima la ritrattazione televisiva, non ricordo quando, arrivò un fax in cui si diceva di leggere a Scarantino il contenuto di un articolo di giornale, credo il Giornale di Sicilia. – ha dichiarato il teste – Si parlava della presenza di Scotto a Bologna il giorno della strage. Una cosa che poi accertai anche con il collega Ricerca. Dovevo leggere l’articolo e domandare su lui fosse sicuro della presenza di Scotto il giorno della strage. E questo ho fatto. Come l’ha percepita Scarantino? Probabilmente non bene. Chi era allora il dirigente? Bo”. Prima di allora, a detta del teste, non c’erano stati problemi. “Con la sua famiglia ero entrato in confidenza ma col senno di poi forse ho sbagliato. Lui nell’ultimo periodo aveva manifestato la volontà di non voler stare più a San Bartolomeo a Mare – ha proseguito il teste – Una volta sola mi disse che aveva paura di non essere creduto e io gli risposi se tu stai dicendo la verità non devi avere paura. E’ stata l’unica volta in cui ho parlato di qualcosa che riguardasse la strage. Non ci sono mai voluto entrare nelle dinamiche delle sue dichiarazioni. Noi eravamo lì per sopperire ai suoi bisogni. Quando portavamo Scarantino a fare degli interrogatori ce ne occupavamo insieme al personale della questura di Imperia. Se Scarantino aveva bisogno di qualcosa si rivolgeva al gruppo Falcone Borsellino. Noi eravamo lì per quello e per questo si rivolgeva a noi. Erano le disposizioni che ci erano state date”.
Secondo quanto attestato da alcuni documenti Di Gangi era presente a San Bartolomeo a Mare assieme ad altri due poliziotti, Mattei e Ribaudo, in un periodo dove, a detta del picciotto della guadagna, sarebbe stato istruito dai due poliziotti in vista della sua deposizione al processo. “Non ho mai visto verbali o documenti in casa di Scarantino e nessuno lo ha istruito – ha detto il teste – Dell’esistenza di quei verbali ho appreso tempo dopo. Non ho mai visto Scarantino studiare carte con i poliziotti Mario Bo o Michele Ribaudo”. Con il passare dei minuti, però, la deposizione è divenuta sempre più “complicata” dove non sono mancati i momenti di tensione dopo l’ennesimo “non ricordo” esposto tanto che Luciani è sbottato: “Ma non ricorda proprio niente, sovrintendente!”. E il poliziotto ha replicato a sua volta: “Io sono devastato da questa situazione, pubblico ministero. Sto molto male, soffro di depressione per questa vicenda. La prego di non fare facile ironia sulla mia situazione di salute. Sono qui per rispetto al Tribunale. Io sono stato trattato come con criminale di Stato, senza potermi mai difendere. Io non sono un criminale, li ho sempre arrestati i mafiosi, ne ho arrestati a centinaia. E questo lavoro mi rendeva felice”. ​
Rispetto al processo Borsellino quater, dove aveva escluso la presenza di telefoni nella casa di Scarantino in Liguria, il poliziotto ha detto di avere ricordato “solo da poco” la presenza del telefono a casa di Scarantino. Ciò sarebbe avvenuto a seguito delle notizie apparse sulla stampa. Durante il controesame dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, ha anche ricordato di aver intercettato il telefono di Scarantino: “Me lo sono ricordato in questo periodo. Per le notizie di stampa. Facevamo le intercettazioni nei locali della procura di Imperia. Non ricordo però colloqui con magistrati o con la Questura o telefonate in cui faceva riferimento al fatto che fosse innocente e che aveva fatto false accuse”.

La colluttazione
Il teste ha anche parlato del giorno in cui si verificò la colluttazione tra Scarantino e Bo. “In quel giorno il mio ricordo è che il funzionario venne la mattina. Andai io a prenderlo all’aeroporto. Venne per la vicenda che era successa. Andammo a casa di Scarantino e gli disse che la sera vi sarebbe stato interrogatorio con il dottor Petralia. Fu un dialogo tranquillo”. Anche in questo caso il pm Luciani ha contestato il ricordo, tenuto conto che la ritrattazione, in via ufficiale, sarebbe stata resa pubblica solo alle 18 con la messa in onda del servizio al tg Studio Aperto. Ma il ricordo del teste è rimasto confuso. “Se così è allora il mio ricordo non è limpido” ha ammesso Di Gangi. Per quanto riguarda l’episodio tra Bo e il picciotto della Guadagna il teste ha ribadito che “Scarantino uscì improvvisamente dalla macchina mentre Bo parlava con la moglie. Si avventò contro di lui così cercai di bloccarlo anche se fisicamente mi sovrastava. Non ricordo caddi nella colluttazione. Se estrassi una pistola? Assolutamente no. Nessuno estrasse pistole o le mise in bocca. Per farlo stare tranquillo lo abbiamo dovuto ammanettare”. Di quell’episodio, così come della precedente lettura dell’articolo di giornale, non è stata trovata alcuna relazione di servizio. “In quel periodo nessuno mi disse di farla. Non era abitudine fare relazioni per questo specifico servizio. E poi nel caso sarebbe stato compito del funzionario” si è giustificato ancora il poliziotto.

La testimonianza di Margherita Giunta
Successivamente a salire sul pretorio è stata la sovrintendente di polizia di Stato, Margherita Giunta. Quest’ultima ha ricordato il ruolo svolto a San Bartolomeo a Mare: “Accompagnavo la moglie di Scarantino, Rosalia Basile al supermercato o al mercato rionale o per portare i bambini a scuola. Venni mandata in Liguria da Scarantino perché veniva richiesta una figura femminile. E fummo prese da tutte le sezioni della Squadra mobile – racconta – Serviva una donna perché Scarantino era con la moglie e i figli, e la donna si interessava della tutela della signora di Scarantino in quanto lui era molto geloso e guardava negli occhi tutti i poliziotti maschi perché era convinto che guardassero la moglie Rosalia”. La poliziotta ha detto di aver saputo della ritrattazione di Scarantino solo “tramite notizie flash”, di non aver mai visto “Scarantino in possesso di documentazione o con verbali di interrogatorio”, di “non ricordare la presenza dell’utenza telefonica in casa” ma di aver saputo che “vi erano intercettazioni su Scarantino”. Chi svolgesse quel compito, però, ha riferito di non saperlo.
La teste ha poi descritto il falso pentito come una persona pesante: “Si comportava male con i figli. Li sgridava in continuazione ed era una cosa che non dirigevo. E poi aveva un atteggiamento animalesco. Spesso prendevo i bimbi e li portavo nella loro stanza. Era molto geloso della moglie. Guardava negli occhi i colleghi maschi per vedere se gli guardavano la moglie. Personalmente non vedevo l’ora di uscire da quella casa”.

“Su Candura mi sarei giocato lo stipendio”
Ultimo ad essere sentito dalla Corte è stato l’ex questore di Bergamo Vincenzo Ricciardi, che in passato era stato indagato proprio per il depistaggio ma poi la sua posizione venne archiviata.
Il funzionario nel 1992, dopo le stragi, venne aggregato a Palermo per partecipare alle indagini nonostante non si fosse mai occupato di indagini di mafia. “Anche il dottor La Barbera quando fu inviato a dirigere la mobile di Palermo non aveva alcuna esperienza mafiosa – ha detto il teste – E anche il dottor Marino, non credo che si guardassero i precedenti”.
L’esame si è concentrato anche sulla figura di Salvatore Candura, ovvero l’ex collaboratore di giustizia che aveva detto di aver consegnato la Fiat 126 utilizzata nella strage del 19 luglio 1992 a Scarantino. Dichiarazioni clamorosamente smentite molti anni dopo dall’ex boss di Brancaccio Gaspare Spatuzza.
“Le sue dichiarazioni per noi erano attendibili perché tutte riscontrate oggettivamente. La sua collaborazione nasce da un’attività tradizionale. Su Candura mi sarei giocato lo stipendio, così come ero sicuro io, lo erano tutti gli altri poliziotti”. Quindi ha riferito che solo nel momento in cui Candura disse “Non li ho uccisi io, non sono stato io” tra gli investigatori si pensò che “forse si era sbagliato”.
Diversamente, a suo dire, avrebbe dubitato delle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, che lo ha accusato anche alle scorse udienze di “minacce psicologiche” (“Gli dissi che ero innocente, lui mi ha fatto questa minaccia psicologica che ero lontano da mia moglie e dai miei figli che, per me, erano la cosa più importante della mia vita e quando toccavano questo tasto io rischiavo di impazzire”).
“Ho nutrito perplessità sulle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino e ricordo di averle esternate sia ad Arnaldo La Barbera che a Ilda Boccassini – ha raccontato rispondendo alle domande del pm – Ne ricordo una che mi faceva cadere le braccia. Quando mi disse che vendeva la droga a Berlusconi”. “Scarantino – ha aggiunto – cadeva spesso in contraddizione. Quando diceva qualcosa di cui era a conoscenza lo diceva chiaramente e senza giri di parole, quando diceva qualcosa di non vero gesticolava. Mi sembrava quasi che ci voleva mettere il cosiddetto ‘carico’ per rendere più credibili le sue parole. E a me questo non andava giù e lo dissi a La Barbera”.
E poi ancora: “Ho detto a Scarantino che doveva smetterla con questo atteggiamento. Anche in maniera alterata. Gli dissi di fare la persona seria e gli feci capire, insomma, che non gli davo tanta fiducia. Credo che questi dubbi li avesse avuti anche il dottore La Barbera junior”.
Alla domanda del magistrato sul perché non vi fossero state relazioni scritte ha spiegato che “Se avessi avuto degli elementi ne avrei fatte due di relazioni, non una, per mettere nero su bianco i miei dubbi sull’attendibilità di Scarantino. Ma ne avevo parlato a La Barbera, ne avevo parlato a un magistrato, che dovevo fare di più?”. Poi Ricciardi, sempre rispondendo al Pm che gli chiedeva della borsa di Borsellino, ha detto: “Di agende e di borse non ne ho mai sentito parlare, neanche indirettamente. Se avessi visto una borsa in quella stanza, quanto meno avrei detto: cosa ci fa qui? Dopo un anno che sono andato via da Palermo, sono rimasto fuori dall’amministrazione, in aspettativa. Ho subito un intervento al cuore, avevo altri problemi e non mi interessai più di Scarantino. Può sembrare strano, ma l’avevo proprio cancellato Scarantino, di queste indagini mi ero disinteressato. Se dovesse chiedermi il perché non glielo saprei dire. Contatti con il dottore Bo, con gli altri, con il dottor La Barbera non ne ho avuti più. Ma non c’era un motivo in particolare per cui questo accadde”.
Nel corso dell’esame anche all’ex Questore è stata domandata la presenza o meno del telefono nell’abitazione di Scarantino. E il teste ha risposto: “Non ho mai fatto una perquisizione nella casa di Scarantino per vedere se c’era un telefono. Credo l’avesse, perché non gli si doveva dare? Ma non lo ricordo”. Il processo è stato rinviato al prossimo 27 settembre per il controesame di Ricciardi.

11 settembre 2019

FONTE:http://www.antimafiaduemila.com