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Democrazia, libertà e il caso Sperlonga: la giustizia postuma per l’ingegner Di Fazio

Democrazia, libertà e il caso Sperlonga: la giustizia postuma per l’ingegner Di Fazio

Anna Scalfati

17 Maggio 2021

C’è una situazione della Giustizia che riguarda tutti i Paesi del Mondo e che li distingue tra Paesi democratici e non. Una situazione che indica chiaramente il livello di giustizia di un Paese che non è l’impalcatura del sistema giudiziario ma quanto questo fa fronte alle reali esigenze di giustizia dei cittadini. Quanto le rappresenta e quanto si tratta di una Istituzione libera.

Ancor prima delle oscure e drammatiche vicende che stanno riguardando la nostra magistratura, dalle chat e cene di Palamara alle consegne” porta a porta” di Davigo alle estreme difese della dignità dei magistrati da parte di Di Matteo ma, andiamo indietro di qualche mese e anno, la polemica mai in profondo disvelata tra i due ottimi magistrati Lupacchini e Gratteri: prima di tutto questo c’è quel sistema giudiziario che sembra non garantire più nessuno.

Un sistema giudiziario dove la certezza di avere un Capo della Procura a Roma viene minata dalle decisioni del Consiglio di Stato. Vacilla il sistema ma è già pronto ad autotutelarsi. A richiudersi a riccio, a fare i conti in silenzio. Nel silenzio di una opinione pubblica ammutolita. Appena sotto queste vicende divenute show e pane per la televisione e per i sempre più determinanti social, quanto o forse più dei dibattiti tra virologi (che oggi si dotano anche di agenti), esiste la vita di tutti i giorni. Quel sistema nel quale se non ci fosse stata una eroica Ilaria Cucchi sarebbe precipitato Stefano Cucchi, senza memoria né giustizia. Simile dunque, non lo neghiamo, a quel sistema che in Paesi apparentemente lontani tiene in carcere Patrick Zaki e che di udienza in udienza perpetua la sua detenzione. O alle leggi dello Stato di Israele che certificano la possibilità per gli ebrei di rientrare in possesso delle case possedute prima del 1948 mentre è negata ai palestinesi. E, come afferma con competenza il collega Alberto Negri, “ si costruisce con l’ordine “liberale” del “diritto di proprietà” ogni ingiustizia.

Vale la pena fare questo tipo di riflessione intanto perché accreditare giustizia senza che questa corrisponda veramente a un senso democratico di convivenza è altamente pericoloso per la stessa democrazia. E poi vale la pena affrontare questo argomento per valutare meglio le conseguenze della perdurante impunità . Si passa dall’impunità ai “corvi”, andata e ritorno. Poca memoria e tante lavate di spugna.

E se poi vogliamo dire che “sentinella” della democrazia è la stampa vengono i brividi. Non solo per le concentrazioni, per la crisi economica dell’editoria addossata tutta ai giornalisti ma anche perché la Verità non è pane per tutti. Intanto è pane per gli onesti e gli intellettuali non schierati e certo non ha giovato in politica la contrapposizione ideologica tout court che non funzionava ai tempi del muro di Berlino e che oggi è pura finzione.

Tutta questa premessa per arrivare a quella che è la terra pontina, terra di nessuno, terra di indagini e di interdittive antimafia, terra di giornali che nascono e chiudono, di ricatti, di spie e di collegamenti- quelli sì con i “piani alti”- senza che nessuno sollevi sospetti su eventuali patti Stato-Mafia. I canali pieni di vermi nascono da quell’apri e chiudi di fabbriche fatte con i fondi per il Mezzogiorno negli anni ‘60 che hanno lasciato solo macerie. Adesso ci sono i fondi per riqualificarli e dare lavoro. Speriamo che la toppa non sia peggiore del buco. Terra pontina di bandiere blu piena di estorsioni, fallimenti, macchine bruciate e una sezione della DDA mai aperta anche se invocata a gran voce.

Poi guai a parlarne male di questa terra meravigliosa perché le amministrazioni hanno stuoli di legali a disposizione, se non professori universitari di sicuro livello che avendo gustato del mare blu sono pronti a redigere pagine su pagine in difesa della politica locale sostenendo così l’accusa nei confronti dei malcapitati e sparuti giornalisti che osano muovere una critica.

Ma, nei tempi appena passati, quando chi scrive sedeva in consiglio comunale a Sperlonga, un ingegnere, capo dell’opposizione- oggi deceduto perché incredibilmente “ caduto dalle scale”- ha mosso pesanti accuse all’allora sindaco del paese. In sostegno delle sue tesi è giunta una indagine dei carabinieri di ben 170 pagine molto dettagliate che dimostravano non solo la veridicità di quanto sostenuto dall’ingegnere Benito Di Fazio, questo il suo nome, ma basandosi su riscontri della Polizia Stradale certificavano con date e orari la presenza di numerosi clan mafiosi a Sperlonga.

L’ingegnere Di Fazio in verità si era impegnato a difendere Sperlonga dagli abusi e dalle illegalità molto prima che io sedessi in consiglio comunale accanto a lui ma la pedissequa ricerca della verità aveva coinvolto negli anni a seguire tutta la minoranza del Consiglio Comunale di Sperlonga.

Fatto è che già nel 2009 l’ingegnere puntava il dito su fatti che poi sono stati riscontrati dalle Forze dell’Ordine e su persone poi riconosciute colpevoli.

Di Fazio aveva centrato il problema prima di stampa e magistratura. Aveva svelato le connessioni tra politica e appalti fatti in dispregio delle reali necessità abitative dei cittadini.

Alla data odierna alcuni processi sono estinti perché prescritti, la famosa indagine si è fermata in qualche ufficio anche se pochi magistrati continuano a riproporla. E invece la querela postuma fatta nei confronti della Associazione Antimafia Antonino Caponnetto, nella persona del suo presidente Elvio di Cesare e nei confronti degli eredi del defunto consigliere comunale Benito di Fazio è andata avanti.

Una corposa richiesta di danni per una presunta lesione dell’onore dell’architetto Luca Conte.

Questa denuncia e questo processo con richiesta di danni per presunta lesione dell’onore è stata come un convitato di pietra in questi anni. Già la sconvolgente e improvvisa morte dell’ingegner Di Fazio al quale sconosciuti avevano imbrattato la porta di casa con la scritta “sei un infame” e poi la fatica dell’Associazione Caponnetto a muoversi in un territorio così difficile dove ogni tanto si spara ma è molto più efficace la silenziosa mutazione dei luoghi fatta grazie a fiumi di denaro del riciclaggio.

Ebbene tutto questo articolo per dire che alla fine una giudice monocratica la dott.ssa Maika Marini ha stilato una sentenza che per documentazione mettiamo come allegato a questo articolo. Una sentenza che riposiziona la verità e la mette al suo posto. Perché se opporre fatti in consiglio comunale può diventare reato addirittura da opporre agli eredi e ad associazioni antimafia, allora c’è da avere paura.

Ecco perché per le riforme della Giustizia e per i conseguenti fondi del recovery plan è necessario un ripensamento che vada oltre il dibattito politico di questi giorni. Oltre anche alla trattativa Stato- Mafia ma più in fondo su temi come Libertà, Democrazia, Verità.

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