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Decreto semplificazioni, Alfonso Sabella: “Grave liberalizzare gli appalti sotto i 150mila euro, rischio corruzione e mafia”

Decreto semplificazioni, Alfonso Sabella: “Grave liberalizzare gli appalti sotto i 150mila euro, rischio corruzione e mafia”

30 GIUGNO 2020

L’ex pm antimafia e assessore alla Trasparenza a Roma boccia la proposta e dice: “Già con 40mila euro c’era chi faceva il furbo e appaltava per 39mila”

DI LIANA MILELLA

ROMA – Legge la prima bozza del futuro decreto sulle “semplificazioni” e si rabbuia subito. Alfonso Sabella, ex assessore alla Legalità del Comune di Roma nella giunta Marino, entrato dopo l’esplosione dell’indagine su Mafia Capitale, ma anche ex pm antimafia a Palermo, protagonista di molti arresti di boss di Cosa nostra, non ci sta e dice: “Con queste norme rischiamo di trasferire denaro legale all’economia illegale”.

Appalti liberi al di sotto dei 150mila euro rispetto ai 40mila di oggi: che rischi potremmo correre?
“Sicuramente non vedo una norma assolutamente necessaria, in queste prime anticipazioni della futura legge, che tuteli adeguatamente il sistema degli appalti dal frazionamento artificioso per farli scendere sotto la soglia prefissata. Per fare un esempio, la maggior parte delle procedure di Roma Capitale, per gli affidamenti diretti, arrivava solo quasi ai 40mila euro”.

Un trucco per aggirare la legge?
“Artificiosamente vengono frazionati gli appalti sotto il limite della soglia. Esiste una norma che autorizza solo i frazionamenti per lotti funzionali, ma finora è stata spesso aggirata dalla Pubblica amministrazione”.

Se questo accadeva con 40mila euro, figurarsi che cosa succederà con 150mila….
“L’eventuale decisione sarebbe particolarmente grave perché non prevede alcun criterio di selezione reale dell’operatore economico, ma sembrerebbe affidarsi a indagini di mercato, proprio quelle attraverso cui sono state fatte le più diffuse illegalità nella pubblica amministrazione in questo Paese. Mentre sarebbe stato più opportuno ricorrere a delle white list di operatori economici, preventivamente verificate dalla pubblica amministrazione, da invitare a rotazione e con sorteggio. E soprattutto prevedendo espressamente la secretazione della lista degli invitati così da rendere difficile la creazione di cartelli tra gli imprenditori”.

Ma lei che cosa avrebbe fatto invece?
“Sarebbe stato più opportuno ridurre il numero delle stazioni appaltanti, prevedere centrali uniche di committenza, obbligando i piccoli enti a consorziarsi tra loro. Invece di caricare il peso della gara su un piccolo Comune di 5mila abitanti, è preferibile che questo Comune si consorzi con altri, creando un’unica centrale di committenza, in modo da avere una struttura più idonea a gestire l’appalto. Ancora oggi il Comune di Roma se, per esempio, deve comprare 15 poltrone per i 15 presidenti di municipio, fa 15 gare per comprare una sedia per volta, invece di una sola gara per comprarle tutte. Così non solo le poltrone vengono a costare di più, ma si sono messe in campo 15 strutture di gara  invece di una sola e si sono create 15 occasioni di corruzione e di possibili ricorsi”.

Ma invitare comunque almeno 5 imprese per appalti superiori a 150mila euro, secondo lei, basta per garantire la trasparenza?
“Non garantisce né la trasparenza, né la non discriminazione, né tantomeno la concorrenza. Tant’è vero che con la tecnica dell’invito delle 5 imprese sono stati lottizzati, per esempio, tutti gli appalti del verde di Roma. E io fui costretto a portare a 20 il numero delle imprese da invitare, tra l’altro con sorteggio, con preventiva verifica che tra di loro le stesse imprese non fossero collegate, e secretando i singoli inviti per evitare che si creassero comunque cartelli di imprenditori che già prima della gara si accordavano a tavolino per decidere chi doveva poi vincere”.

Di fatto questo sistema evita le gare pur di accelerare gli appalti. Del resto già da un anno c’è una grande insofferenza per i controlli. Le sembra che il Covid e la crisi economica possano giustificare tutto questo?
“Sicuramente il nuovo codice degli appalti, con il ricorso alle cosiddette soft law, ha trovata impreparata la nostra burocrazia. E ha reso oltremodo complicati gli affidamenti di pubbliche commesse in modo trasparente e concorrenziale. Temo però che con questo meccanismo la pubblica amministrazione ricorrerà sempre di più a quella che io definisco ‘emergenza programmata’, ovvero a rendere appositamente inevitabile l’affidamento diretto o le procedure semplificate per l’incapacità di bandire rapidamente e in modo efficace gare aperte”.

Prevedere anche certificati antimafia con procedura semplificare e d’urgenza non è rischioso?
“Per troppo tempo non si è investito per rendere efficaci e soprattutto tempestivi gli accertamenti delle Prefetture sulla normativa antimafia. La quale già allo stato ha mostrato parecchie falle. Ovviamente il rischio è che le mafie, in presenza di controlli ancora più blandi e in un momento in cui possono mettere in campo una enorme liquidità che manca invece all’economia legale, possano aggiudicarsi una serie di commesse penalizzando le imprese sane. Con il rischio di spreco di risorse pubbliche qualora si dovesse accertare solo successivamente che l’impresa aggiudicataria era in odor di mafia lasciando poi l’opera incompiuta”.

Fonte:https://rep.repubblica.it/