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Dalla gestione degli affitti alle piazze dello spaccio: così i clan regnano a Ostia

ANNI FA  NOI DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO,INTERESSANDOCI DI ARDEA,ARRIVAMMO AD OSTIA.CI ANDAMMO PIU’ VOLTE MA ABBIAMO SEMPRE TROVATO IL MURO.DA PARTE DI TUTTI.NON DOVEVAMO ENTRARE.NON DOVEVAMO GUARDARE. TOP SECRET.E’ ROBA NOSTRA .E’ COSA  NOSTRA !!!!!

La Stampa, 10 Novembre 2017

Dalla gestione degli affitti alle piazze dello spaccio: così i clan regnano a Ostia

Sparatorie, cassonetti bruciati e donne costrette a prostituirsi

FRANCESCO GRIGNETTI

ROMA

Occhio ai piccoli segnali maligni, quando si parla di clan malavitosi. E allora, parlando di Ostia, gli addetti ai lavori hanno notato un fenomeno davvero inquietante: è da un mese che viene incendiato un cassonetto al giorno, sempre attorno alla sede del X Municipio, quella specie di Fort Apache della legalità dove è insediato (ancora per poco) il commissario straordinario Domenico Vulpiani, un poliziotto tosto che è stato capo della Digos di Roma. «I clan – dice – ci vogliono far capire che sono pronti a tornare». Forse non si sono mai allontanati di molto. Si sono semplicemente nascosti, come pare sia la strategia del clan Triassi, organici a Cosa Nostra, vedi la cosca agrigentana Cornera-Cuntrera, che se ne stanno zitti e buoni, evitando le sparate e le pacchianerie che piacciono tanto agli altri.

Vulpiani in questi 26 mesi da commissario prefettizio ha spacchettato il business principale dei clan sul litorale, ovvero gli stabilimenti balneari, che erano suddivisi in 71 lotti ma in pratica facevano capo alla famiglia Fasciani grazie a una serie di teste di legno. Eppure tutto è in bilico e potrebbe tornare all’antico. E poi il Municipio è anche lo snodo fondamentale dove girano le licenze commerciali (primo business della zona), le licenze edilizie (secondo business), le case popolari (terzo business).

Altri segnali: nel giro di tre settimane, tre sparatorie. Si è visto che c’entra lo spaccio. Gli investigatori non pensano che sia iniziata una guerra, quanto un «aggiustamento» sul territorio. Risistemazione forse inevitabile dopo che gli Spada, cugini dei potenti Casamonica, avevano estromesso dallo spaccio il clan precedente, i Baficchio-Galleoni, che erano gli epigoni della Banda della Magliana, ma poi sugli stessi Spada sono piovute pesanti condanne (a ottobre: 50 anni per tredici imputati, reato riconosciuto è «estorsione con l’aggravante del metodo mafioso») e così sugli alleati dei Fasciani (a giugno li hanno condannati in appello, ma per associazione a delinquere semplice e non mafiosa; poi è arrivata la Cassazione e ha rimesso dentro la mafiosità).

I processi parlano di un clan Spada che ha messo le mani sulle case popolari di Ostia con violenza inaudita. In pratica si sono sostituiti al Comune: eseguono sfratti e poi assegnano le case agli amici o a chi li paga. Per essere chiari: su 6400 appartamenti popolari di Ostia, sono 2800 quelli occupati abusivamente. Qui gli Spada impongono un pizzo generalizzato. Chi non può pagare, è costretto ad andare via. Se è una donna, è spinta a prostituirsi. In un caso pretendevano di farsi cedere la corrente elettrica per l’appartamento vicino.

E ancora. Palestre che sorgono come funghi, senza autorizzazioni, che mai potrebbero avere. Sale scommesse quantomai equivoche. E droga, usura, estorsioni, attentati, controllo del territorio, omertà, intimidazione dei poteri pubblici e della politica locale. Questo è il lato oscuro degli Spada e degli altri clan. «Il convincimento che quello romano sia un territorio risparmiato dai mafiosi – scriveva qualche giorno fa il procuratore capo Giuseppe Pignatone in una lettera al Messaggero – è tuttora molto diffuso e dopo la sentenza di primo grado nel processo a carico di Carminati, Buzzi e altri, alcuni commentatori hanno affermato che la Capitale si era liberata definitivamente dal problema mafia. Non credo che le cose, purtroppo, stiano così».

Mentre il dibattito pubblico si avvitava sulla questione della «mafiosità» o meno di Carminati, infatti, la cruda realtà di Roma è venuta fuori prepotentemente. Si moltiplicano gli arresti e fioccano le condanne. Troppo grande e troppo estesa la città per un solo clan, è evidente che le periferie sono sotto attacco di tanti piccoli clan. Così accade a Ostia con gli Spada. «Famiglie – concludeva Pignatone – senza alcuna derivazione dalle tradizionali mafie meridionali, ma ugualmente in grado di controllare il loro territorio anche con il ricorso alla violenza… La Procura della Repubblica continua a non accettare l’idea, purtroppo molto diffusa, che la corruzione a Roma sia un fatto normale se non addirittura utile allo sviluppo. Né, tantomeno, quella che la mafia non esista se tra gli imputati non vi sono siciliani, calabresi o campani».