12 Giugno 2020
Quel filo mai spezzato tra la camorra del napoletano e il sud pontino: tra i 103 indagati dell’operazione Antemio due personaggi diversissimi tra di loro, ciascuno con i suoi interessi a Formia
Il 9 giugno scoppia lo scandalo di Sant’Antimo, nel napoletano. Trattasi dell’operazione “Antemio“: associazione mafiosa e concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione elettorale, tentato omicidio, appalti truccati. La camorra, da tempo, ha messo le mani sul Comune di Sant’Antimo, con l’ausilio interessato di ambienti politici ed imprenditoriali. Un sistema collaudato e marcio che vede coinvolti tre clan agguerritissimi della Napoli nord: i Puca, i Ranucci e i Verde tra alleanze storiche e rivalità a colpi di fuoco.
Sono i Carabinieri del Ros, coordinati dalla DDA partenopea e dai pm Giuseppina Loreto e Antonella Serio, a condurre l’operazione che ha portato all’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 59 persone, per decisione della gip di Napoli Maria Luisa Miranda: 38 in carcere, 18 ai domiciliari, 2 agli obblighi di polizia giudiziaria e uno all’interdizione dai pubblici uffici.
Tra gli arrestati, anche un maresciallo dei carabinieri, Vincenzo Di Marino che, secondo la DDA, passava le informazioni al Clan Puca sviando almeno un’indagine. Tuttavia, ci sono altri nomi eccellenti come i quattro i fratelli Cesaro (Aniello e Raffaele già invischiati in un’altra indagine di camorra), compreso il senatore di Forza Italia Luigi, detto Gigi ‘a purpetta, per cui il gip si è riservato di prendere una decisione sulla misura cautelare “all’esito dell’eventuale autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni, ritenute rilevanti, secondo la procedura che verrà attivata da questo ufficio“. Autorizzazione che dovrebbe essere accordata dal Parlamento. Chissà quando.
L’indagine è corposa, si sviluppa dall’ottobre 2016 al gennaio 2019, “in ordine a un datato rapporto tra la famiglia Cesaro, noti imprenditori di Sant’Antimo, e il clan Puca”. A parlare i collaboratori di giustizia che descrivono a chiare lettere gli interessi e le partecipazioni nel centro polidiagnostico “Igea” e nella galleria commerciale “Il Molino”, entrambi a Sant’Antimo, risultate essere società di fatto tra i Cesaro (formali titolari) e il capoclan Pasquale Puca, detto Pasqualino ‘o minorenne.
Ma questa è una storia che già si conosce (è finita su giornali e media nazionali) e che, solo apparentemente, sembra non toccare affatto le latitudini pontine. Eppure si sa da anni, da decadi, forse ormai da quasi mezzo secolo, che la camorra e le sue dirette o indirette emanazioni ombreggiano le terre del silenzio del sud pontino e, da qualche anno di meno, anche della parte nord della provincia.
E sì perché tra gli indagati – sono 103 in tutto – ci sono due nomi che a Formia qualcuno ricorda, magari non il grande pubblico, ma gli attenti osservatori, quelli sin troppo bravi da non volere il palcoscenico ma solo un’utopia: la giustizia in questa terra.
Due uomini, entrambi arrestati e ora ristretti in carcere con l’operazione Antemio, che hanno toccato la città un tempo feudo di Michele Forte e ora guidata dalla civica Paola Villa.
Uno è Filippo Ronga, nato a Milano 44 anni fa, nipote del capo clan deceduto Geremia Ranucci. Il 12 gennaio di due anni fa, anno 2018, Ronga è considerato a tutti gli effetti un esponente emergente del clan Ranucci, ormai latitante da 5 anni: ricercato in seguito a un ordine di carcerazione emesso dal Tribunale di Avellino per una pena da espiare di 4 anni di reclusione a causa di una rapina finita male alla Gioielleria “Smeraldo” di Avellino.
Formia, quella sera di due anni e mezzo fa, fu scossa da una roboante sparatoria a piazza Sant’Erasmo, nel quartiere di Castellone: in borghese, i Carabinieri della Compagnia di Giugliano (Napoli), insieme a quelli di Castello di Cisterna, lo videro uscire da un appartamento, intorno alle 21, insieme ad un uomo e una donna. Lo seguivano, evidentemente da tempo, tanto è che in seguito a quell’azione scattarono altri arresti collegati a lui.
Ne conseguì un violento scontro a fuoco, condito da urla e panico: Ronga tentò di uccidere estraendo la sua pistola ma fu colpito da alcuni colpi di arma da fuoco sparati da un Carabiniere, due al torace e uno alla gamba. Soccorso dai sanitari del 118, fu ricoverato presso il “Dono Svizzero” per essere sottoposto all’intervento salva-vita.
Dopo qualche giorno i due che lo accompagnavano, Giuseppe Ronga e Anna Barbato, furono liberati dal Gip del Tribunale di Cassino, Francesco Armato, che convalidò il fermo con le accuse di favoreggiamento, resistenza e lesioni personali, concedendo loro l’obbligo di dimora a Sant’Antimo. A casa loro.
Quattro mesi dopo furono arrestati alcuni affiliati al Clan Ranucci-Verde (alleati in quel frangente). I Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Giugliano in Campania, dopo indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, diedero esecuzione a un decreto di fermo emesso a carico di 6 indagati: Michele Aliberti, Gaetano Ciuffa, Mario Curtiello, Sergio Iannicelli, Eduardo Turacci, Gennaro Celentano. Erano accusati di aver favorito la latitanza di Ronga, sottoponendo a estorsione una società di noleggio veicoli per ottenere, con minacce di morte, vetture da usare nel corso di azioni criminali o per gli spostamenti del latitante di stanza a Formia.
Formia, ad ogni modo, non fu scelta a caso da Filippo Ronga. Era un posto famigliare.
Nel 2001 suo fratello Stefano detto “Chicchiniello” uccise a Giugliano un innocente – un elettrauto 29enne di nome Antonio Caputo – che aveva reagito alla rapina dell’auto. Per sfuggire alla cattura, come riportano le cronache dell’epoca, Stefano Ronga si era trasferito, con moglie e figli, a Formia ricostruendosi una vita con un nome falso. Intanto era stato individuato quale colpevole dell’omicidio e condannato in contumacia a ventiquattro anni di carcere. Poi, nel 2004, fu trovato e arrestato dai Carabinieri mentre passeggiava tranquillamente lungo il corso principale di Formia, Via Vitruvio.
Prima della sparatoria di Castellone, Stefano Ronga, sua sorella e il figlio di lei furono arrestati nell’agosto 2017. Era l’antipasto dell’arresto di Filippo Ronga, avvenuto a gennaio 2018, quello che Castellone e Formia forse hanno già dimenticato ma che rimane impresso nella memoria di chi coltiva l’utopia di cui accennavamo.
Altro scenario, completamente diverso. Tra i 103 indagati, dicevamo, ci sono due personaggi connessi a Formia. Uno, come abbiamo visto, fa parte dell’ala militare, la parte dei clan che finisce con facilità nelle cronache, le mani sporche e qualche citazione negli osservatori e nelle relazioni dell’Antimafia, tra rapine e pistole fumanti.
L’altro è di un livello superiore, quel piano che tutti, o quasi, a parole, descrivono come il più pericoloso. Quell’universo che le Istituzioni e la stampa dell’antimafia ufficiale, sempre a parole, promettono tutti di combattere facendo rimanere, di frequente, tutti un po’ delusi.
Lui è un ingegnere, un professionista, un progettista di peso: al secolo Claudio Valentino, nato a Caserta, 64 anni fa, incarcerato in ragione delle disposizioni ordinate dal Tribunale di Napoli 3 giorni fa.
A marzo 2019, il sito d’informazione Casertace.net ne faceva un ritratto non certo lusinghiero.
L’ingegnere Claudio Valentino, infatti, presiedeva la commissione che aggiudicò la gestione dei servizi cimiteriali alla società di cui è titolare “il cugino omonimo di Attilio Guida, fumantino ex vice sindaco di Gricignano di Aversa, ma soprattutto coinvolto nel 2013 in una storia giudiziaria in quel di Battipaglia che lo portò ad essere oggetto di misure cautelari poi revocate insieme all’imprenditore di Casal di Principe, Nicola Madonna“.
Valentino è un uomo dai mille impegni, quasi ubiquo in una certa fetta di terra campana. Capo dell’ufficio tecnico e dell’ufficio urbanistica nel comune di Orta di Atella (Caserta), “ai tempi dell’amministrazione di Angelo Brancaccio“, e poi, ancora, “implicato nell’ordinanza giudiziaria che portò una settantina di persone, tra politici e dipendenti del Comune di Orta ad essere inquisiti“.
Finito, inoltre, nei verbali di due pentiti Nicola Cangiano e Tammaro Diana che raccontò di Valentino e dei suoi “movimenti a Villa Literno quando, come risulta dall’ordinanza che portò all’arresto del sindaco Enrico Fabozzi, dei Mastrominico (ndr: imprenditori di San Cipriano D’Aversa) e di Giovanni Malinconico, gli avrebbe indicato il nome di un ingegnere o architetto Pota, libero professionista a cui far redigere, a prezzo esorbitante, il progetto per un capannone industriale, il cui permesso a costruire, il fratello di Tammaro Diana presentava al Comune di Villa Literno e dunque a Valentino per la zona di via Porchiera“.
E nella sua sfilza di incarichi anche quello da dirigente al Comune di Sant’Antimo dove si rumoreggiava se fosse arrivato “per volontà dei Cesaro o del nuovo sindaco anti-Cesaro“. Di Valentino, da quella parti, nel marzo 2019, si domandavano se fosse opportuno metterlo a guidare una commissione della gara del cimitero vinta dal cugino di Attilio Guida, che i pentiti hanno sostenuto essere stato amico di Vincenzo Schiavone, detto ‘O Petillo, nipote dei due Francesco Schiavone, l’uno conosciuto come il capo indiscusso dei Casalesi post-Bardellino, Sandokan, l’altro soprannominato “Cicciariello” (accusato di essere il mandante dell’omicidio Lubrano).
Dubbi, legami, intrecci poco edificanti culminati negli arresti del 9 giugno. Sì, ma allora, cosa c’entra con Formia Claudio Valentino? È il suo curriculum, innanzitutto, a dire che l’ingegnere che vive a Casagiove (Caserta), ebbe il ruolo di “controllo della corretta gestione dei soldi per il finanziamento dell’edificio “Istituto Mater Divinae Gratiae” di Formia“, avendo lui lavorato dal 1997 al 2001 nella “Congregazione delle Suore Francescane dei Sacri Cuori di Capua” che di quello stabile si occupò.
La Congregazione è un Istituto Religioso femminile di diritto pontificio, riconosciuto dallo Stato Italiano, ed equiparato (ai fini di accesso ed uso di particolari finanziamenti pubblici) ad Ente pubblico. Ecco perché l’ingegner Valentino, forte del suo datore di lavoro dell’epoca, può annoverare nel suo sterminato curriculum anche l’incarico a tempo part-time di Responsabile del Procedimento per l’utilizzo dei fondi del “Grande Giubileo del 2000”.
Ma non è finita qui perché, a Formia, l’ingegnere è stato anche più di recente. La location è Acquatraversa, in Via Pietra Erta: un appezzamento di terreno di circa 2 ettari e mezzo non lontano dal Centro Commerciale Itaca, tra la Variante Appia, la linea ferroviaria Roma-Napoli e il torrente Acquatraversa. Un terreno figlio di un passaggio di proprietà avvenuto nel lontano 2007 tra due società di Casalnuovo (Napoli): dalla In.Edil di Gennaro Passaro (che si aggiudicò i due lotti con un decreto di esecuzione del Tribunale di Latina contro la Uliveto srl di Formia per una cifra di circa 500mila euro) alla Alpaos srl di Antonio Ossuto, il cui amministratore unico, però, era sempre il medesimo Gennaro Passaro.
Ebbene, su quel terreno, prima la In.Edil srl, nel 2002, poi la Alpaos srl chiedono di poter realizzare una lottizzazione convenzionata. Solo che quei lotti ricadono in un’area classificata come “paesaggio agrario di rilevante valore“. Poco male, come scrive, nel 2014, l’allora Dirigente del Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune di Formia, nonché Responsabile del procedimento, Sisto Astarita, la proposta della società lottizzante fin dal 2005 ha sempre conseguito pareri favorevoli degli organi comunali preposti seppur condizionati o con prescrizioni.
Infatti, nel ricostruire la storia della lottizzazione, Astarita ricorda che il 15 giugno 2010 la Commissione Urbanistica dell’epoca espresse un parere favorevole con la condizione che fosse messo in sicurezza l’argine del fossato, ossia Acquatraversa. Poi, il 21 giugno 2010, il Consiglio Comunale adotta il piano di lottizzazione al piano che prevede la suddivisione in 7 lotti con superficie di 1500 mq ciascuno che, tradotto, significano villini bi-trifamiliari aggregati a schiera per un volume di 6298 metri cubi e una consistenza di 17 unità immobiliari.
In seguito, la Giunta Comunale (amministrazione Bartolomeo) con la delibera 321 del 19 settembre 2014 approva il piano di lottizzazione. Talché il Settore Urbanistica guidato da Astarita convoca la conferenza dei servizi, in ragione dell’ennesima istanza dell’Alpaos srl che il 28 maggio 2015 l’aveva richiesta. Vengono chiamati Telecom, Acqualatina, l’Ato4, il Comune di Formia settore opere pubbliche e polizia locale, Regione Lazio, Provincia di Latina, Consorzio di Bonifica, Rfi, Enel e Italgas.
Insomma, un coacervo di enti e organismi per una lottizzazione che si presentava sin dall’inizio in una zona delicatissima urbanisticamente parlando. Ecco, forse, perché 8 giorni dopo l’approvazione della delibera della Giunta Barolomeo (19 settembre 2014), la Stazione dei Carabinieri di Formia chiede, per indagini di polizia giudiziaria, al Settore Urbanistica una copia di quel provvedimento ad oggetto “Deliberazione della Giunta – Piano di lottizzazione convenzionata in via Pietra Erta – Proprietà Alpaos srl – determinazione ed approvazione definitiva“.
Come è andata a finire non è dato sapere. Solo una cosa, di cui quasi si rischiava di lasciare sospesa, il progettista di quella lottizzazione tra la Variante Appia e il torrente era lui, l’ingegnere di Casagiove, al secolo Claudio Valentino, arrestato 3 giorni fa in una delle più imponenti operazioni anti-camorra della storia recente.
Fonte:https://latinatu.it/