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Dal Ministro Tremonti timori sulla Guardia di Finanza

Il titolare dell’Economia era protetto dagli agenti del Corpo 24 ore su 24

ROMA – Il ministro Giulio Tremonti ha una scorta di «secondo livello» con doppia macchina blindata e «vigilanza oraria convenuta». Vuol dire che gli uomini della Guardia di Finanza impegnati nella sua protezione devono essere sempre informati sul luogo dove alloggia e dove trascorre la notte. Se davvero il titolare dell’Economia si sentiva «spiato e controllato», tanto da dichiarare di aver preferito «lasciare la caserma e accettare l’offerta di Marco Milanese» per trasferirsi nell’appartamento di via di Campo Marzio al centro di Roma, perché non ha segnalato subito quanto stava accadendo e chiesto che il dispositivo fosse affidato a un’altra forza di polizia?
A questo interrogativo dovranno rispondere i magistrati che ormai da settimane indagano sulle modalità di assegnazione e di pagamento dell’affitto di quella casa che lo stesso Milanese – parlamentare pdl e fino al mese scorso consigliere politico di Tremonti, ora accusato di associazione a delinquere, corruzione e rivelazione di segreto – ha ottenuto dal Pio Sodalizio dei Piceni con un canone di 8.000 euro mensili. Perché è proprio per giustificare la scelta di vivere nell’appartamento del suo collaboratore che il ministro ha dichiarato di aver avuto la sensazione di essere «attenzionato», pur non fornendo alcun elemento specifico. Ma anzi provocando grande disappunto al comando generale delle Fiamme Gialle. Soprattutto tenendo conto che la «caserma» l’aveva lasciata ben sette anni fa e sull’operato della scorta non aveva finora manifestato alcun sospetto.

Due sere fa, dopo la sortita del sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto che aveva affermato di «aver paura della Finanza», Tremonti ha telefonato al comandante Nino Di Paolo. Ha cercato di smorzare i toni, addirittura negando di aver mai dichiarato di sentirsi spiato. Il generale si sarebbe limitato ad evidenziare come non ci fosse stata alcuna smentita ufficiale a quelle dichiarazioni, nonostante il ministro avesse avuto occasione di comparire in televisione e di incontrare i giornalisti durante impegni ufficiali. Una posizione di fermezza che serve, come Di Paolo ripete da giorni ai suoi collaboratori più stretti, «a difendere gli oltre 60 mila finanzieri che ogni giorno fanno il proprio dovere e non meritano di essere trascinati in questa polemica che invece deve essere chiusa al più presto».

Tre giorni fa Di Paolo ha ricevuto nel suo ufficio il procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore e l’aggiunto Francesco Greco, titolari dell’inchiesta sulla P4, che hanno indagato alcuni alti ufficiali accusandoli di aver passato notizie riservate sull’inchiesta. Un incontro «simbolico» che serviva proprio a confermare «la stima e l’apprezzamento per il lavoro delle Fiamme Gialle», e dunque a fornire sostegno alla linea scelta dallo stesso Di Paolo. Perché non è passata inosservata la scelta di destinare a nuovo incarico tutti i generali coinvolti nell’inchiesta, fossero essi indagati o testimoni.

Sono stati avvicendati il capo di Stato maggiore Michele Adinolfi e il comandante interregionale del Centro sud Vito Bardi entrambi indagati per rivelazione di segreto, ma anche quello del Centro nord Emilio Spaziante che invece era stato convocato dai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio soltanto come persona informata sui fatti, che però aveva manifestato dubbi e sospetti sull’operato di Adinolfi, così alimentando quella guerra tra «cordate» della quale aveva parlato per primo proprio Tremonti. Nelle sue dichiarazioni rese ai pubblici ministeri, il ministro aveva lasciato intendere come il gruppo a lui avverso – del quale fa parte appunto Adinolfi – farebbe direttamente capo al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e al suo sottosegretario Gianni Letta.

Ma erano state proprio queste sue affermazioni a lasciare stupiti i vertici della Finanza, perché è da lui che le Fiamme Gialle dipendono e dunque – di fronte alla consapevolezza che fosse in atto una guerra interna in vista della designazione del nuovo comandante – sarebbero dovuti scattare immediati provvedimenti. E invece è toccato al comandante – quando ormai tutti i verbali erano già diventati pubblici – intervenire, naturalmente dopo aver consultato il ministro e aver ottenuto il suo via libera. Ai componenti del suo staff Di Paolo avrebbe manifestato la volontà di proseguire su questa strada dove «chi sbaglia paga, mentre chi continua a comportarsi correttamente e a fare il proprio dovere avrà la certezza che il suo impegno sarà apprezzato». Perché, ed è questo il nodo cruciale, «indebolire la credibilità della Guardia di Finanza rischia di mettere in serio pericolo le indagini sulla criminalità organizzata, quelle sull’economia e soprattutto le verifiche fiscali». Al Comando generale appaiono consapevoli che il «caso» è tutt’altro che chiuso visto che le inchieste sulle fughe di notizie vanno avanti, così come gli accertamenti su chi davvero pagava la casa di Campo Marzio. Anche perché Angelo Proietti, il costruttore che l’ha ristrutturata, ha smentito che fossero Tremonti e Milanese a versare il canone e ha affermato di essersi accollato lui le spese relative ai primi due anni.

(Tratto dal Corriere della Sera)