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Dal carcere ai domiciliari: la speranza dei boss stragisti diDal carcere ai domiciliari: la speranza dei boss stragisti di fronte al silenzio di Governo fronte al silenzio di Governo

Dal carcere ai domiciliari: la speranza dei boss stragisti di fronte al silenzio di Governo

23 Aprile 2020

di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari

E’ inutile girarci attorno. La detenzione domiciliare concessa al boss di Cosa nostra, Francesco Bonura, detenuto in regime di 41 bis e condannato in via definitiva nel 2012 per associazione mafiosa ed estorsione a 18 anni e 8 mesi di carcere, ha acceso i riflettori su un problema che si manifesta dai primi di aprile: anche i detenuti per reati di mafia possono uscire dal carcere grazie al coronavirus.
Le scorse settimane sono tornati presso le proprie abitazioni il boss di Melicucco,
Rocco Santo Filippone, imputato nel processo ‘Ndrangheta stragista; Vincenzino Iannazzo, boss di Lamezia Terme, in attesa di giudizio in Cassazione; Giuseppe Sansone, costruttore dell’Uditore, ex vicino di casa di Riina, ed arrestato lo scorso luglio nell’ambito dell’operazione “New Connection” che ricostruiva il ritorno al potere degli “scappati” a Palermo. E la lista, tra quelli già usciti e quelli in attesa della decisione di Gip, Gup, Corti d’Assise o Tribunali di Sorveglianza è ancora lunga.
Fino a lunedì, però, nessuno aveva immaginato che il provvedimento potesse essere adottato anche per i detenuti al 41 bis.
Il Tribunale di sorveglianza di Milano, con una nota, ha ribadito che il provvedimento di differimento della pena nella forma della detenzione domiciliare nei confronti di Bonura (che si trovava in carcere dal 20 giugno 2006, ndr), è stato disposto “secondo la normativa ordinaria applicabile a tutti i detenuti, anche condannati per reati gravissimi, a tutela dei diritti costituzionali alla salute e all’umanità della pena”. Inoltre ha comunicato che la decisione è stata presa in quanto “il detenuto è affetto da gravissime patologie cardio-respiratorie e oncologiche condannato alla pena temporanea di 18 anni e 8 mesi, che avrà termine naturale tra meno di 11 mesi di pena potenzialmente riducibili a 8 mesi per la concessione della libertà anticipata”.
Una precisazione che spegne le polemiche sollevate da Lega e Fratelli d’Italia che avevano puntato il dito sul decreto del governo “Cura Italia”.
Un provvedimento in cui si affronta il tema del sovraffollamento che metteva comunque dei paletti specifici prevedendo la concessione solo per chi deve scontare gli ultimi 18 mesi di pena, per reati che escludono comunque quelli di mafia.
E’ evidente, però, che si è andati oltre e, come si è visto, i mafiosi dal carcere sono usciti lo stesso sfruttando altre vie ed altri criteri.
Il Consigliere togato del Csm,
Antonino Di Matteo, commentando la notizia dei domiciliari di Bonura ha affermato che si tratta di “un’ulteriore grave offesa alla memoria delle vittime e all’impegno quotidiano di tanti umili servitori dello Stato”. E poi ancora, intervenuto ieri sera su canale Nove: “La scarcerazione di capi mafia importanti detenuti al 41 bis è un segnale tremendo che rischia di apparire come un cedimento dello Stato di fronte al ricatto delle organizzazioni criminali che si è concretizzato con le violenze e le proteste delle settimane scorse nelle carceri di tutta Italia. Non vorrei che questo Paese stesse dimenticando definitivamente la stagione delle bombe, della lunga stagione della trattativa Stato-Mafia che corse parallelamente a quegli attentati del 1992 e 1993 e a quello per fortuna fallito all’Olimpico nei confronti dei carabinieri nel gennaio 1994. Le scarcerazioni già decretate spero non costituiscano l’inizio di una lunga teoria di altre scarcerazioni di capi mafia ergastolani che sono stati condannati. La violenza, il ricatto, la pressione delle mafie nei confronti del Paese sono un problema attuale che non può essere considerato di secondo piano rispetto ad altri problemi, nemmeno in un momento di gravissima emergenza nazionale come quello che stiamo vivendo per il Coronavirus”. La nota Dap della discordia
Ma come è stato possibile arrivare ad una così grave situazione? Particolarmente criticata è stata una nota del Dap, datata 21 marzo, inviata a tutti i penitenziari italiani, in cui si invitava a comunicare “con solerzia alla Autorità giudiziaria, per le eventuali determinazioni di competenza” il nominativo di quei detenuti che hanno più di 70 anni e sono affetti da determinate patologie.
Il Dap stesso, nel tentativo di allontanare da sé ogni polemica, ha spiegato che la natura di quella circolare prevedeva un “semplice monitoraggio” e di non aver “diramato alcuna disposizione a proposito dei detenuti appartenenti al circuito di alta sicurezza o, addirittura, sottoposti al regime previsto dall’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario”. Ma il punto è proprio questo. Perché quella mancata distinzione tra le pene lascia aperta l’interpretazione proprio ai giudici di sorveglianza su cui peserà ogni decisione.
“Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria tenta goffamente di discolparsi, sostenendo che la circolare del 21 marzo con cui si dispone di ‘comunicare subito all’Autorità giudiziaria per le sue determinazioni’ i detenuti con varie patologie indicando nel contempo ‘se dispongono di un domicilio idoneo’, avrebbe avuto solo funzione conoscitiva – ha commentato il magistrato
Catello Maresca – Peccato che anche grazie a questa circolare decine di mafiosi stiano godendo di un inatteso (anche per loro) periodo di vacanza domiciliare. È facile, ora che il danno è fatto, dire che è colpa dei magistrati che decidono liberamente. Perché invece il Dap non ha adottato i presidi sanitari e le modifiche organizzative necessari a fronteggiare l’emergenza sanitaria? All’esito avrebbe potuto comunicare all’autorità giudiziaria che le precauzioni e le misure anche strutturali adottate consentivano di tenere sotto controllo la situazione. Nulla di tutto questo è stato fatto e i mafiosi vanno a casa”.

Come intervenire
Si poteva, dunque, intervenire in maniera diversa? Molto probabilmente sì.
L’ex pm, oggi in pensione e Presidente del centro studi “Paolo e Rita Borsellino”,
Vittorio Teresi, da noi raggiunto telefonicamente, ha suggerito un’alternativa: “Basterebbe pensare di istituire dei poli sanitari minuscoli dentro le carceri per tentare di prevenire il rischio contagio dal Coronavirus. Penso soprattutto nelle carceri destinati al 41 bis. Si tratterebbe di pochissime persone, di pochi istituti carcerari e quindi si potrebbe tranquillamente tentare di prevenire qualunque rischio di contagio con strutture sanitarie presso gli stessi istituti senza cercare la scorciatoia delle scarcerazioni”.
Proprio ieri l’ex pm
Alfonso Sabella, rispetto alle scarcerazioni, aveva evidenziato come queste creino “una situazione di pericolo generale molto grave rischiando di non tutelare neppure la salute del boss mafioso scarcerato. Paradossalmente l’emergenza sanitaria per il coronavirus dovrebbe essere limitata quasi a zero in una situazione di detenzione come quella del 41 bis. Dovrebbe essere evitato qualsiasi tipo di rischio sanitario. Chi viene spedito a casa è posto in una situazione dove il rischio di contagio è molto superiore, come per tutti noi”.
Boss in attesa
Ma un altro aspetto, non secondario, è il precedente che a questo punto si crea nei confronti di altri boss eccellenti ultra settantenni. Tra coloro che potrebbero approfittare della situazione vi è anche
Benedetto ‘Nitto’ Santapaola, condannato in via definitiva al carcere duro per diversi omicidi, tra cui quello del giornalista e direttore de ‘I Siciliani’ Giuseppe Fava. Il suo avvocato, Lorenzo Gatto, in un post sui social dapprima ha parlato di fake news, infine ha affermato di voler rendere vera la notizia presentando un’istanza di sospensione pena. Il presidente dell’Antimafia siciliana, Claudio Fava, ha commentato duramente l’eventualità: “Se volete scarcerare Bagarella e Santapaola fatelo assumendovi la responsabilità di trovare una valida e legittima giustificazione. Che non può essere, a quattro mesi dall’inizio della pandemia, il rischio del contagio, mentre migliaia di detenuti in attesa di giudizio o con pene lievi restano esposti, loro si, al rischio contagio nelle fatiscenti carceri italiane. Se vogliono scarcerare qualcuno particolarmente anziano perché le patologie di cui soffre non sono compatibili con lo stato di carcerazione, non mi oppongo, ma serve una motivazione che non sia ipocrita. Non tirino fuori la pandemia per uscire dal carcere”. Il Covid-19, ha avvertito Fava, “non sia un pretesto. I boss detenuti al 41 bis vivono in una situazione di isolamento e sicurezza migliore di qualsiasi altro ottantenne in casa di riposo. Sarebbe una presa in giro nei confronti delle centinaia di morti nelle Rsa”.

Le decisioni siano collegiali
Evidentemente, però, valutazioni simili non sono state fatte dai giudici, singolarmente chiamati a decidere, caso per caso.
Ed è questo uno degli argomenti che l’ex giudice
Gian Carlo Caselli, in un articolo su Il Fatto Quotidiano, ha voluto affrontare proponendo di “evitare la frammentazione delle decisioni in tema di 41 bis: non dovrebbero occuparsene tanti magistrati qui e là dispersi in tutte le sedi giudiziarie; sarebbe bene (come per le ‘pratiche’ penitenziarie dei pentiti) centralizzare la competenza in un unico ufficio, congruamente rinforzato. A decidere dovrebbe sempre essere un collegio di magistrati, mai un singolo giudice. Le funzioni di pm dovrebbero essere affidate ad un pool di magistrati della Procura nazionale antimafia, in stretto collegamento con la procura distrettuale dell’indagine che ha portato alla condanna (non la procura del carcere). Se la Pna esprime parere sfavorevole ai domiciliari, il collegio di sorveglianza dovrà motivare rigorosamente e puntigliosamente la sua decisione contraria”.
Secondo l’ex pm, oggi avvocato,
Antonio Ingroia, sicuramente è “grave l’emergenza sanitaria e preoccupante il sovraffollamento carcerario, quindi certamente potenzialmente pericolosa anche per i detenuti l’esposizione al rischio infezione. Ma – mi chiedo – bisognava iniziare proprio dai boss mafiosi condannati definitivi e al 41 bis? Non è assurdo scarcerare i più pericolosi che sono perciò al 41 bis mentre restano in carcere tanti in attesa di giudizio per reati assai meno gravi? Che significa questa disparità di trattamento? Perché questo trattamento di favore ai capimafia?”. A suo modo di vedere il governo, ed in particolare il ministero della Giustizia “potrebbe intervenire sgomberando il campo da ogni equivoco che si rappresenta con quella nota del Dap del 21 marzo, che ha tutta l’aria di essere una sorta di indicazione, di segnale, seppur indiretto e non implicito, anche ai magistrati. Si deve chiarire in maniera netta che non si tratta di una dichiarazione sanitaria di situazione di pre incompatibilità con la detenzione carceraria da sottoporre al magistrato di sorveglianza. E che non può in alcun modo considerarsi un’indicazione favorevole all’eventuale detenzione domiciliare. Al contempo dovrebbe intervenire dando un’indicazione chiara e precisa, anche attraverso un intervento formale del ministro, senza per questo scalfire la discrezionalità del giudice, che nessuno deve toccare. Il tema è quello di mantenere il doppio binario”.

Il doppio binario

Anche l’ex senatore ed ex Presidente della Commissione Parlamentare antimafia
Beppe Lumia ha parlato del tema: “Bisogna subito controllare con tutta la severità possibile perché ciò sia successo e, se necessario, chiarire pure normativamente che i boss mafiosi in base al 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, semmai ne avessero realmente bisogno, vanno curati dentro la sanità carceraria che è in grado di realizzarla e di realizzarla bene. Sul resto dei detenuti comuni bisogna continuare ad applicare il doppio binario. Vanno semmai previste, per un tempo limitato al contenimento dell’epidemia, ulteriori e sempre rigorose possibilità di terminare agli arresti domiciliari il tratto finale della propria pena”.

Verifiche e controlli: il Governo prende tempo e la Commissione Antimafia annuncia indagini
Mentre il Ministro della Giustizia
Alfonso Bonafede ha già annunciato verifiche sulle scarcerazioni, il Presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, in un video diffuso su Facebook, pur ribadendo che il “Cura Italia” non ha a che fare con le scarcerazioni fin qui verificatesi per i boss mafiosi, è intervenuto proprio sulla nota del Dap, al centro delle polemiche: “Quella nota ha prodotto, volente o nolente, una confusione che ha forse permesso un allentamento delle maglie. E allora la Commissione antimafia ha deciso di approfondire queste scarcerazioni chiedendo le documentazioni necessarie a capire sulla base di quali presupposti giuridico-normativi sia stato fatto tutto ciò. E’ vero però che ci sono state delle situazioni di imbarazzo per le quali è stato necessario intervenire e mi dolgo che non si sia fatta questa riflessione tempo prima perché si sarebbe potuto intervenire. Fatto sta che abbiamo preso coscienza di questa evenienza, la stiamo fronteggiando. Tant’è che appena la commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie potrà tornare a riunirsi fisicamente certamente questa emergenza sarà il primo punto da affrontare affinché si mandi un segnale chiaro. Perché oltre alla portata reale del fatto bisogna lavorare sulla portata simbolica dei fatti e noi vogliamo far capire che nessuno vuol far uscire dal carcere detenuti per reati particolarmente odiosi come quelli di mafia. E allora proprio per capire che cosa rappresenti il motivo che impedisce l’esecuzione della pena all’interno del carcere, noi approderemo a fasi di studio, audizioni, chiedendo le sentenze e le motivazioni delle stesse per evitare che si possa ingenerare una suggestione che francamente dobbiamo combattere”. Ed infine ha ribadito: “Lo Stato non può certamente abdicare nei confronti delle organizzazioni mafiose. E qualunque segnale non può essere interpretato come segnale di cedimento e soprattutto come segnale di cedimento voluto, intenzionale. E allora per questo motivo noi stiamo promuovendo queste azioni. E noi siamo intenzionati a capire che cosa in norma rappresenti ostacolo a che la giustizia faccia il suo corso per come il costituente ha voluto”.
Ben vengano gli approfondimenti e le inchieste volte a capire come sia possibile che boss detenuti al 41 bis possano tornare a casa ottenendo ciò che desiderano con forza dai tempi delle stragi. Il “vaso di Pandora”, ormai, è stato aperto. Per richiuderlo serve che la politica, ma soprattutto il Presidente del Consiglio
Giuseppe Conte ed i ministri della Giustizia e degli Interni, Alfonso Bonafede e Luciana Lamorgese, si assumano la responsabilità di un intervento deciso per impedire questo nuovo scempio.

Fonte:http://www.antimafiaduemila.com/