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Da “ Umbria 24” . Verità per Ilaria Alpi.Il giorno in cui si dovesse riuscire a far luce su questo truce assassinio si riuscirebbe anche a farla sui traffici loschi che sarebbero avvenuti da e per il Porto di Gaeta

4 aprile 2016

A Perugia il processo di revisione ‘Ilaria Alpi’: gravi sospetti sui due testimoni chiave. Tutto da rifare

Un somalo in carcere da 16 anni, un testimone morto e sospettato e un altro che dice di essere stato pagato, ecco cosa si decide ora

A Perugia il processo di revisione ‘Ilaria Alpi': gravi sospetti sui due testimoni chiave. Tutto da rifare

Ilaria Alpi

di Maurizio Troccoli

Due testimoni e un condannato che ha pagato con 16 anni di galera, una pena inflitta di 26 anni, rappresentano il quadro da scogliere nel processo di revisione per l’omicidio di Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 ammazzata insieme al suo operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo del 1994.

La ricostruzione Un somalo in galera, che ha sempre urlato la sua innocenza e due testimoni, di cui uno morto, le cui testimonianze, alla luce dei nuovi fatti, risultano fragili fino al punto di mettere in dubbio la colpevolezza dell’unico ‘colpevole’, sigillata da una sentenza passata in giudicato, scontata con la galera, a cui i familiari della giornalista non hanno mai creduto. Questo si dovrà cercare di chiarire a Perugia a partire da martedì.

Il testimone Il primo testimone che ha indicato nel somalo Hasni Omar Hassan l’autore del delitto insieme a un commando armato che, dopo avere sbarrato la strada a Mogadisio, al mezzo sul quale erano la giornalista e il suo operatore, avrebbe aperto il fuoco, è l’autista dell’auto fatta bersaglio. Si chiamava Abdi, ora è deceduto, e la sua testimonianza sarebbe crollata dopo che l’ambasciatore, allora inviato dall’Italia per fare chiarezza, avrebbe detto che a quell’uomo non crede. «Io non darei un soldo bucato alle testimonianze di Abdi perchè è un bantu: non è una persona affidabile, farebbe qualsiasi cosa per sopravvivere». Sono state queste le parole che Giuseppe Cassini, l’ambasciatore inviato in Somalia anche per fare le indagini che poi hanno portato all’arresto di Hassan, avrebbe detto alla commissione parlamentare italiana, rimaste secretate dal 28 ottobre del 2004, dieci anni dopo l’omicidio, e oggi diventate di dominio pubblico. Sarà proprio quell’ex ambasciatore a essere riascoltato a Perugia per mettere agli atti quanto in sua conoscenza. Insomma uno dei due testimoni chiave fortemente sospettato di avere dichiarato il falso, stando alle dichiarazioni dell’ambasciatore e anche alla difesa di Hassan che, in più occasioni ha mostrato immagini e documenti che smontavano questa testimonianza. A partire dagli indumenti senza macchia di sangue che si vedono da alcune immagini scattate dopo l’agguato, nelle quali lui si dice ferito senza che le foto ne provino la fondatezza. O come la posizione di Ilaria all’interno dell’auto, a detta dell’autista, al suo fianco, mentre le indagini avrebbero confermato che Ilaria fosse seduta dietro.

L’altro testimone L’altro testimone che è all’origine dell’arresto di Hassan è Ahmed Ali Rage, detto Gelle. Lui è ancora vivo e a seguito di rogatoria dovrà essere ascoltato in Italia e mettere agli atti anche la sua deposizione. Anche lui in principio ha indicato Hassan come membro della banda di fuoco, ma poi ha ritrattato la sua versione in Inghilterra dove ha vissuto. Prima alla trasmissione ‘Chi l’ha visto’ che l’ha rintracciato, poi al magistrato italiano, titolare dell indagini, la pm romana Elisabetta Ceniccola, che è volata in Inghilterra e l’ha ascoltato. Da quanto ricostruito pare che Gelle abbia confessato di avere indicato Hassan come l’autore del crimine dietro pagamento, quindi in una testimonianza pilotata.

La Somalia a quel tempo La verità sul delitto di Ilaria Alpi continua ad essere popolata di fantasmi e di aree grigie, in quella Somalia dell’epoca, dove morire era considerato la naturale conseguenza del caos che regnava nel Paese, fino al punto di non considerare ‘necessario’ un movente. E’ quello che si è voluto fare credere rispetto alle ipotesi che vedono Ilaria Alpi, giornalista con in mano la pista giusta su un traffico di armi o di rifiuti pericolosi. Quella verità sul barbaro omicidio come sulle cause che l’avrebbero determinato, poche ore dopo che la giornalista aveva fatto visita al Sultano di Bosaso da cui avrebbe appreso che nel traffico di armi e rifiuti tossici fossero presumibilmente coinvolti i servizi segreti italiani, sono oggi come allora opache e difficili da delineare. L’ambasciatore Cassini non fu inviato in Somalia prettamente per il caso di Ilaria Alpi, ma a seguito di una indagine aperta dalla procura di Livorno, per lo scandalo dei militari italiani in Somalia, accusati di violenze e torture verso cittadini somali. Secondo l’ambasciatore Hassan era una di quelle persone che avrebbero subito quelle violenze e che avrebbe partecipato al delitto. Quanto questa ricostruzione sia fondata e quanto sia stata invece «impacchettata» si cercherà di capirlo meglio nel processo di revisione a Perugia.

Walter Verini «L’interesse e i fari nuovamente accesi dagli organi di informazione sul brutale omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin avvenuto ventidue anni fa – scrive il parlamentare umbro Walter Verini – sono fondamentali. Ciò avviene in concomitanza con lo svolgimento del processo presso la Corte d’Appello di Perugia, che dovrà contribuire a smontare, anche giudiziariamente, il castello di misteri, depistaggi, complicità e connivenze anche di pezzi dello Stato, che allora lavorarono per impedire la verità sull’omicidio. Un assassinio di due giornalisti che avevano scoperto traffici illeciti compiuti anche all’ombra della cooperazione internazionale, con la complicità di settori e personaggi degli stessi apparati pubblici e di sicurezza. La stessa rogatoria finalmente effettuata qualche giorno fa in Inghilterra da parte della procura di Roma nei confronti del testimone che – pagato – dichiarò il falso, è un contributo importante in questa direzione. Noi stessi, anche dopo le coraggiose iniziative della trasmissione Chi l’ha visto, abbiamo più volte sollecitato questa rogatoria. Ci sono ora le condizioni perché il cammino della verità proceda, perché il sacrificio di Ilaria e Miran possa conoscere giustizia. E in questo momento mandiamo un abbraccio affettuoso a Luciana, una madre piena di dolore, indignazione ma anche di tanta forza e tanto coraggio».