Per incidere su questioni assai care alla “famiglia” cosa c’è di meglio di un’interrogazione o un emendamento? Un lavoro di fino, seguendo le regole del gioco. Per farlo però servono politici avvicinabili. Non un’impresa ardua. Ne basta qualcuno. Come i tre senatori della Repubblica che – stando agli atti dell’inchiesta “Mammasantissima” della Procura antimafia di Reggio Calabria – si sarebbero messi a disposizione della cupola segreta della ‘ndrangheta, l’esclusivo club a metà tra una loggia e il classico sodalizio mafioso.

Ad averne portato le istanze a Palazzo Madama, sostiene il Ros dei carabinieri, sarebbero stati Antonio Caridi, eletto col Pdl e ora in Gal (per il quale i pm hanno chiesto il carcere), Giovanni Bilardi, passato da Grande sud di Gianfranco Micciché al Nuovo centrodestra di Angelino Alfano e l’ex dipietrista messinese Domenico Scilipoti, ora in Forza Italia. Per Caridi l’addebito è davvero pesante: associazione mafiosa. Non era mai accaduto prima a un parlamentare. In una sola settimana, altro piccolo record personale, per ben due volte la Procura ha chiesto il suo arresto nell’ambito di altrettante inchieste, sempre con l’accusa di essere organico alle ‘ndrine. I magistrati sospettano sia a tutti gli effetti un membro del comitato d’affari al vertice della criminalità organizzata calabrese, in grado di influenzare le scelte della pubblica amministrazione e dirottare fondi pubblici verso associazioni e aziende amiche. Bilardi e Scilipoti, al contrario, non risultano tra gli indagati ma sono fra i politici cui la cupola si sarebbe rivolta per perorare i suoi interessi.

“L’Espresso” ha ricostruito l’attività in Aula e in commissione dei tre senatori, scoprendo che diversi atti e proposte combaciano con i progetti e gli interessi della cricca criminale. In un’interrogazione al ministro del Lavoro Poletti, ad esempio, poche settimane fa Caridi ha chiesto al governo di intervenire per risolvere la grave situazione occupazionale della Multiservizi spa, la partecipata reggina in crisi dopo lo scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa. Perché tanto interesse? Lo hanno spiegato i pentiti: il parlamentare ha raccomandato persone da assumere. La Multiservizi è una creatura, sostengono gli inquirenti, nata per soddisfare gli appetiti della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Per i detective un dato in particolare lo conferma: oltre 50 dipendenti assunti su 130 hanno legami con le cosche, sia di parentela che di affinità.

Caridi ha anche tentato, lo scorso autunno, di inserire nella legge di stabilità il rifinanziamento del cosiddetto Decreto Reggio: una legge speciale del 1989 che stanziava per la città 600 miliardi di lire, in gran parte persi tra clientele, favori, cricche e clan. Il decreto è uno dei pallini dell’avvocato Paolo Romeo, l’ex deputato Psdi condannato per concorso esterno che insieme al “collega” Giorgio De Stefano sarebbe al vertice della cupola criminale, tanto da citarlo spesso nelle telefonate e nelle conversazioni intercettate: «L’interesse verso la gestione dei fondi del Decreto Reggio è una delle tematiche che ha assorbito l’attenzione del Romeo e dell’imprenditoria mafiosa – scrivono i pm -. Non è un caso, infatti, che nel propugnare le ragioni per le quali avrebbero dovuto sostenere Giuseppe Scopelliti, indicava tra le altre il rifinanziamento del Decreto». E c’è un pentito, Filippo Barreca, che spiega quanto quei miliardi all’epoca facessero gola ai criminali: «Detta cupola esiste dal gennaio 1991 (…) Anche i siciliani presero posizione, nel senso che andava imposta la pace fra le cosche del reggino, essendo in gioco grossi interessi economici la cui realizzazione veniva compromessa da quella guerra. Mi riferisco al ponte sullo Stretto nonché alle opere pubbliche che dovevano essere appaltate su Reggio Calabria».

C’è poi un altro atto di Caridi, risalente all’estate scorsa, che pare degno di nota: un emendamento (respinto) al decreto Enti locali. Il provvedimento stanziava 40 milioni per i comuni commissariati per mafia oppure per quelli il cui commissariamento era scaduto da meno di un anno, il senatore ha proposto di dare “un’anticipazione di liquidità a fondo perduto per un importo massimo di 5 milioni di euro”. Insomma, molti meno soldi. Forse per mettere in difficoltà la giunta del giovane sindaco Pd Giuseppe Falcomatà, eletto con oltre il 61 per cento dei voti pochi mesi prima e alle prese con un comune disastrato. Non solo. Il decreto prevedeva per i comuni commissariati la possibilità di assumere, anche in deroga alla legge, fino a tre unità di personale a tempo determinato “per fronteggiare le esigenze di riorganizzazione strutturale, necessaria ad assicurare il processo di risanamento amministrativo e di recupero della legalità”. Una specifica che Caridi, tramite un emendamento, avrebbe voluto eliminare. Come a intendere: risanamento e legalità sono di troppo.

Ma è sulla città metropolitana di Reggio Calabria che i tre senatori sembrano aver profuso il massimo impegno. Nei primi mesi del 2014, con diversi emendamenti, Bilardi e Scilipoti chiedono di anticiparne di vari mesi la costituzione, visto che il ddl del governo prevede per il capoluogo un’entrata in vigore posticipata a causa del commissariamento per infiltrazioni mafiose. Le ragioni di tanto interesse le spiega il giudice per le indagini preliminari che ha firmato la richiesta di arresto per Caridi: «I due senatori vengono tirati in ballo quando occorre far sì che si accelerino le procedure per l’attuazione delle Città Metropolitane. Non un evento occasionale o irrilevante, ma la fine della Provincia di Reggio Calabria, l’istituzionalizzazione della sua natura di Città Metropolitana, il potenziale affluire di nuovi fondi, ergo di nuovi potenziali centri d’interesse della ‘ndrangheta». E pochi mesi dopo, siccome le proposte sono state bocciate, è Caridi a intervenire, con un emendamento alla legge di stabilità, anche se la finanziaria si occupa di tutt’altro. Col risultato di essere giudicato inammissibile dalla commissione Bilancio.

Sempre in tema di città metropolitana, Scilipoti ha proposto che in caso di comuni commissariati (come Reggio all’epoca) nel comitato istitutivo della città metropolitana subentrasse il presidente del Consiglio regionale, ruolo a inizio 2014 ancora saldamente in mano al centrodestra. Anche l’area vasta dello Stretto è un argomento che interessa moltissimo a Romeo. Per Scilipoti è un tema da portare all’attenzione del Parlamento e così presenta un emendamento che chiede di istituire un Comitato interministeriale coi rappresentanti degli enti locali, presieduto dal ministro delle Infrastrutture «per la realizzazione di un Protocollo d’Intesa per la conurbazione dei trasporti». Mentre una interrogazione sul polo agroalimentare di Reggio (finanziato proprio con la legge speciale del 1989) è Romeo stesso a scriverla materialmente, come hanno svelato le intercettazioni: «Se tu me la prepari, lunedì me la mandi, mi chiami, dici: “vedi che te l’ho mandata” e io la prendo la stampo e la firmo».

Pure Giovanni Bilardi è stato «in linea con i pareri e i consigli del Romeo» scrive il gip. Non a caso è a lui che l’avvocato della cosca chiede di intervenire per sollecitare «alla Corte dei Conti la ratifica della nomina di Pietro Emilio a segretario generale del comune di Reggio Calabria». Lo stesso dirigente che verrà rimosso a fine 2014 su richiesta della commissione Antimafia, non senza incontrare resistenze da parte della cricca dello Stretto.

Inoltre sempre il senatore alfaniano, si legge negli atti, «ha sollecitato, tramite l’intervento del collega d’Aula Giuseppe Esposito (vicepresidente del Copasir, ndr) l’audizione di Domenico Pietropaolo – membro di Cittadinanza attiva, una delle associazioni utilizzate da Romeo – davanti alla commissione Affari costituzionali». Ancora una volta, per discutere di città metropolitana. Una vera ossessione, per la cupola.