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Da “La Voce delle Voci”. Già nel 2005 un’inchiesta sulla mancata perquisizione del covo di Riina

UN’INCHIESTA NEL 2005 DE “LA VOCE DELLA VOCE”: PERCHE’ NON FU PERQUISITO IL COVO DI RIINA???
UN’IPOTESI SCONVOLGENTE CHE NON E ‘ STATA MAI SMENTITA DA NESSUNO

Si rincorrono sulla stampa presunte “notizie nuove” che emergerebbero dalle indagini sulla trattativa Stato-mafia. Ci sembra allora opportuno pubblicare l’inchiesta sui motivi della mancata perquisizione del covo di Riina che il mensile La Voce delle Voci aveva realizzato fin da marzo 2005, sulla base di notizie certe e documentate, mai smentite.
Sul sito del mensile (www. lavocedellevoci. it) si trovano anche le successive inchieste sulla “trattativa”, a partire proprio da quel primo scoop sui “tremila nomi” custoditi nel covo.

IL PREZZO DI RIINA
da La Voce della Campania – marzo 2005
(… ) Quali erano i segreti custoditi nella cassaforte di Totò Riina? E’ lo stesso capitano Ultimo a parlarne. Lo fa nel corso del processo di Milano, quello che lo stesso De Caprio aveva intentato per diffamazione contro Attilio Bolzoni, il cronista palermitani di Repubblica autore, con Saverio Lodato, del libro messo sotto accusa: “C’era una volta la mafia”, edito da Garzanti. Prosciolto da ogni accusa, Bolzoni ricorda oggi dalle colonne del suo giornale che «paradossalmente l’inchiesta sulla mancata perquisizione fu, in un certo senso, più approfondita nell’aula di giustizia milanese che a Palermo». E proprio fra quelle carte è opportuno tornare per trovare oggi alcune risposte. Perché, partito come un processo per diffamazione, quel giudizio si era presto trasformato per il capitano De Caprio in un autentico fuoco di fila di domande e richieste di chiarimenti.
Incalzato dal tenace difensore di Repubblica, l’avvocato Caterina Malavenda, l’ufficiale più che smentire, ammette, E rivela una circostanza straordinaria.
Udienza del 20 febbraio 2003. Dinanzi al giudice Gaetano Brusa, De Caprio spiega le ragioni del suo risentimento: «leggendo il libro viene presentata in maniera sistematica la presenza di accordi illeciti tra Carabinieri e grandissimi personaggi mafiosi come Bernardo Provenzano, che è ancora latitante; attraverso questi accordi si sarebbe sviluppata tutta una serie di dinamiche che avrebbero consentito l’arresto di Riina, che ho operato io personalmente (… ) si dice chiaramente che non è stato voluto perquisire il covo di Riina perché c’era un fantoma… un archivio, viene introdotta la presenza di un archivio di Riina, che è un fatto gravissimo perché a me non risulta da nessuna parte, l’esistenza di questo archivio e praticamente la… il patto è: Riina è stato preso per strada perché in cambio gli hanno dato la possibilità di nascondere questo archivio, che l’avrebbe preso Provenzano per poter ricattare 3000 perso… ah, grosse personalità».
Tremila nomi. Con un potenziale esplosivo capace di far saltare l’intero apparato istituzionale del Paese. Chi, in quell’alba livida di veleni del 1993, alla vigilia di un rivolgimento politico epocale quale quello che avvenne poi in Italia, si impossessò di quei dossier?
«Nel libro di Bolzoni – conferma oggi alla Voce l’avvocato Malavenda – non si parlava di dossier e non si precisava alcun numero. Si faceva invece riferimento ad un “papello”, che sarebbe stato, secondo alcune ipotesi, al centro dello scambio. Ma da un controllo del fascicolo relativo a quel processo per diffamazione, ormai passato in giudicato, posso confermare che le parole del captano Di Caprio furono proprio quelle sulle “tremila grosse personalità”».
Dove sono ora quei dossier bollenti?
A qualcuno torna in mente l’altro elenco dotato dello stesso detonatore: quella lista di nomi sequestrata a Licio Gelli nel corso della perquisizione a Castiglion Fibocchi
e rimasta, finora, per buona parte nell’ombra. «Da quell’elenco – ha raccontato alla Voce l’ex procuratore capo di Napoli Agostino Cordova – mancavano i primi duecento nomi. E non è mai stato reso noto quali fossero». In attesa del processo, De Caprio, 43 anni, presta servizio a Napoli, nucleo operativo ecologico dei Carabinieri. Quanto al superprefetto Mori, da direttore del Sisde detta le regole al governo italiano per affrontare l’emergenza terrorismo determinata dall’invasione dell’Iraq.
Terzo protagonista di tutta la vicenda, rimasto finora defilato, è l’allora procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli, che proprio la mattina del 15 gennaio 2003 si stava insediando al vertice di quell’ufficio. Intervistato da Repubblica nei giorni scorsi, a margine di un convegno organizzato a Palermo da MD su “Mafia e Potere”, dichiara di non avere elementi per esprimere un giudizio. All’epoca i giornali avevano scritto che Caselli chiese conto proprio a Mori della mancata perquisizione del covo. «Niente di tutto ciò – aveva ribattuto il generale – c’era l’avallo di Caselli». All’attuale procuratore capo di Torino risponde indirettamente Attilio Bolzoni, il quale ricorda che su quel covo rimasto incustodito alla mercè dei boss «ci fu una lettera di fuoco di Caselli indirizzata al comandante generale dell’Arma e al generale della Regione Sicilia Giorgio Cancelliere». Ma «nessuno chiese mai conto a Mori della sua decisione». E «per aprire un’indagine, aspettarono un pentito».