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Da Globalist.It Anche Di Matteo mette sotto accusa l’impunità dei politici corrotti

Anche Di Matteo mette sotto accusa l’impunità dei politici corrotti 

Inserito da Desk2 il 24/04/2016 

“Mafia e corruzione sono ormai facce della stessa medaglia”. Nino Di Matteo, magistrato palermitano che vive nel mirino di Cosa nostra parla mentre infuria la nuova, pesante polemica tra vertici della magistratura e vertici di governo. 

Di Matteo, che nelle sue inchieste ha le carte per dirsi “ampiamente informato sui fatti”, parla a Repubblica. Intervistato da Salvo Palazzolo va dritto al problema del Paese:” Mentre i boss sono adeguatamente puniti, i corrotti che vanno a braccetto con i padrini sono garantiti da una sostanziale impunità dalla politica”. Il pubblico ministero del processo Stato-mafia riprende le parole di Davigo che hanno tanto “scandalizzato” la politica, parte importante della politica, il governo, lo stesso Presidente del Consiglio. Le cose dette da Davigo sui politici che “continuano a rubare e non si vergognano”, sulle difficoltà nelle indagini. “Parole chiare, coraggiose, la stragrande maggioranza dei magistrati la pensa così”, dice Di Matteo. Ed anche la stragrande maggioranza degli italiani, a leggere quel che si esprime, in queste ore, in Rete.E Di Matteo rilancia: “Nei pochi casi in cui si riesce ad acquisire la prova di quei fatti di reato, tutti gli sforzi vengono mortificati dal sistema della prescrizione, che non si riesce a riformare”.

“Probabilmente – dice il magistrato palermitano – una parte della politica trova conveniente l’eventualità di continuare a utilizzare la prescrizione come un comodo rifugio rispetto alla responsabilità dei delinquenti dal colletto bianco”.

Il conflitto fra politica e magistratura. “Non c’è stata e non c’è una guerra fra politica e magistratura – è il pensiero di Di Matteo espresso nell’intervista a Repubblica – Una guerra evoca volontà e azione bilaterali. Piuttosto, negli ultimi 30 anni, con sfumature e governi di colore diverso, c’è stata un’offensiva organizzata, costante e abilmente condotta di una parte della politica contro una parte della magistratura, quella che si ispira esclusivamente al principio dell’eguaglianza di tutti innanzi alla legge”. “Tante assoluzioni o archiviazioni riguardanti esponenti politici fanno riferimento a rapporti accertati con mafiosi, dunque a dei fatti, che però non sono diventati reato. E la politica cosa fa?- chiede, e si chiede Di Matteo – Si è dimostrata del tutto incapace di reagire, punendo con meccanismi di responsabilità interna coloro che cercano i mafiosi. È molto più facile attaccare i magistrati”.

La politica, Renzi in testa, invoca le sentenza definitive. “Questo non può essere un alibi – è la replica di Di Matteo – A prescindere dall’eventuale configurabilità di un reato, certe frequentazioni fra mafia e politica sono evidenti, e la politica ancora oggi non sa o non vuole capire. Non è un caso che negli ultimi dodici anni due presidenti della Regione Siciliana siano stati processati per mafia”.

La riforma dell’articolo 416 ter. “Considero quella riforma un’occasione persa – dice, con amarezza Di Matteo – Le pene per il voto di scambio sono molto più basse di quelle previste per l’associazione mafiosa. Non si vuole capire la gravità estrema del patto elettorale mafioso. Ritengo che la nuova norma sia stata formulata male, con aspetti di equivocità”. E ricorda che “di recente è stato assolto un politico siciliano che era stato invece condannato per voto di scambio sotto il vigore della vecchia legge”. Torna la domanda di sempre: “Che fare?”. 

“Per prima cosa – risponde Di Matteo – la politica dovrebbe recuperare il messaggio di Pio La Torre, il segretario del Pci ucciso dalla mafia, e ispirarsi alla sua capacità di denunciare le collusioni del potere prima ancora delle inchieste della magistratura”.