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Da “Antimafia duemila”: Lo Stato-mafia.( di giorgio Bongiovanni)

Dalla trattativa alla truffa, indagato a Milano l’ex colonnello Giuseppe De Donno
di Giorgio Bongiovanni – 23 marzo 2014
Una linea di pensiero si può tirare mirando a quanto avvenuto in questi giorni sull’asse Roma-Milano-Palermo. Da una parte Papa Francesco, don Ciotti ed i familiari delle vittime di mafia. Da un’altra Formigoni, la Regione Lombardia, Giuseppe De Donno. In mezzo il fenomeno della corruzione, sempre più imperante, e l’inchiesta sullo Stato-mafia.
Potremmo chiederci cosa c’entrano queste figure, ed eventi, l’una con l’altra. Eppure c’entrano.
Giuseppe De Donno, ex colonnello del Ros dei Carabinieri, figura tra gli imputati del processo trattativa Stato-mafia, accusato di attentato a corpo politico dello Stato e nello specifico di aver contattato Massimo Ciancimino (figlio di Vito, ex sindaco mafioso di Palermo) affinché intercedesse presso il padre per avviare così una trattativa con i capi di Cosa nostra. Al di là del procedimento, per il quale c’è la presunzione di innocenza fino all’emissione della sentenza del terzo grado di giudizio, è un dato di fatto che Giuseppe De Donno, con il suo agire, ha violato il principio dell’etica del servizio dell’Arma parlando con un mafioso dal calibro di Vito Ciancimino. E’ lo stesso ex colonnello ad aver dichiarato: “Decidemmo di contattare in qualche modo la mafia attraverso Vito Ciancimino per fermare le stragi”.

Ed è proprio questa l’azione antietica, ovvero il dialogo con Vito Ciancimino in un primo momento avviato tramite il figlio Massimo poi direttamente in prima persona con l’ex sindaco mafioso di Palermo, legato a stretto filo con la corrente sanguinaria dei corleonesi.
Certo, non possiamo ancora sapere se Giuseppe De Donno, assieme al coimputato Mario Mori, con le sue azioni può essere tra i responsabili che accelerarono i tempi che portarono poi alla morte del giudice Paolo Borsellino, ma a nostro avviso può bastare già avviare un dialogo con uomini di mafia per non permettere alcun avanzamento di carriera all’interno dell’Arma, cosa che invece non è avvenuta, e i “premi” da parte dello Stato sono stati invece molteplici. Con Cosa nostra, e qualsiasi altra organizzazione criminale, non può esserci alcuna forma di dialogo o di trattativa, se davvero si vuole sconfiggere ed annientare. Per questo a nostro parere, anche qualora venissero assolti dalle accuse, resta il tradimento di Mori e De Donno dell’Istituzione che hanno rappresentato. Resterebbe anche qualora l’ordine fosse venuto da un loro diretto superiore, perché avrebbero avuto la possibilità di lasciare l’arma, accusando a loro volta quegli ufficiali che avrebbero dato quell’ordine.
Ciò non è avvenuto ed è ormai storia che, nonostante i processi e le accuse a loro carico, entrambi sono stati premiati.
Giuseppe De Donno, ad esempio, è stato scelto ed ingaggiato, nel 2009, come membro del Comitato per la legalità e la trasparenza delle procedure regionali dell’Expo 2015 in Lombardia. E a volerlo non fu altri che l’allora presidente della Regione Formigoni. Non solo. Rognoni, direttore generale dimissionario di “Infrastrutture Lombarde”, ha affidato alla GRisk, società di sicurezza di cui dal 2013 De Donno controlla il 66%, la “rilevazione del rischio ambientale e legale nell’ambito delle attività istituzionali”. Adesso De Donno risulta indagato anche dalla procura di Milano con l’accusa di concorso in turbativa d’asta, falso ideologico e truffa aggravata e, secondo la ricostruzione del gip, la GRisk sarebbe stata favorita attraverso le gare d’appalto truccate.
Accuse che, se dovessero essere provate, dimostrerebbero un’azione non solo antietica da parte di De Donno, ma addirittura criminale nei confronti dei cittadini dello Stato italiano.
E in questo “quadro” ha una parte di responsabilità anche l’ex presidente della Regione Lombardia, Formigoni. Istituendo il “Comitato per la legalità e la trasparenza delle procedure regionali”, lui poteva scegliere a chi affidare l’incarico. Avrebbe potuto rivolgersi a figure come l’attuale capo della Dia campana, Giuseppe Linares, cacciatore di latitanti a lungo sulle tracce di Messina Denaro, o come Manfredi Borsellino, figlio del giudice Paolo ed attualmente Commissario di Polizia di Cefalù, o come il capo della Squadra mobile di Milano, Alessandro Giuliano (figlio di Boris, ucciso dalla mafia il 21 luglio 1979 ndr). Ancora, poteva chiedere disponibilità ad altri magistrati integerrimi come Gian Carlo Caselli, Alfonso Sabella, Sebastiano Ardita, Nicola Gratteri. Oppure Antonio Ingroia, oggi commissario straordinario della Provincia di Trapani ed alla guida di E-servizi. Ma invece di puntare su questi nomi, Formigoni, a sua volta mandato a processo per il caso Maugeri con l’accusa di associazione per delinquere e corruzione, ha preferito affidarsi al prefetto ed ex generale Mario Mori, già comandante del Ros dei Carabinieri e direttore del Sisde, e all’ex colonnello Giuseppe De Donno, già braccio destro di Mori al Ros, poi suo capo di gabinetto al servizio segreto civile. Figure, entrambe più che discutibili.
Ieri Papa Francesco, ha incontrato centinaia di familiari di vittime di mafia, assieme a don Luigi Ciotti, il promotore anche spirituale della lotta contro la mafia. Le sue parole, rivolte ai mafiosi, ancora riverberano nella chiesa di San Gregorio VII: “Per favore cambiate vita, convertitevi, fermatevi di fare il male!. Convertitevi per non finire all’inferno, è quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Avete un papà e una mamma, pensate a loro. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi è denaro insanguinato, è potere insanguinato e non potrete portarlo nell’altra vita”.
Ci permettiamo di aggiungere alle parole di Sua Santità, che altrettanto dovrebbero fare tutti quei rappresentanti delle forze dell’ordine, pochi grazie a Dio, che nel corso della Storia d’Italia si sono corrotte, hanno partecipato o collaborato ad armare la mano degli assassini che hanno ucciso tutte le vittime di mafia. Altrettanto dovrebbero pentirsi tutti quei politici che hanno sostenuto la mafia e senza i quali la stessa sarebbe morta da tempo. Dovrebbero pentirsi tutte quelle autorità di Stato che impediscono il raggiungimento della verità su fatti e misfatti del nostro Paese. Dovrebbero pentirsi anche quei cardinali corrotti e porporati che hanno fatto riciclare i soldi, sporchi di sangue, nella banca del Vaticano. Dovrebbero pentirsi perché altrimenti andranno all’inferno, così come ha detto Papa Francesco. Noi vogliamo sperare che il processo trattativa Stato-mafia vada avanti, che la Corte di Cassazione il prossimo 18 aprile, non accetti il “gioco sporco” degli imputati Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, i quali hanno chiesto il trasferimento del processo che si celebra davanti alla Corte d’assise di Palermo. Una richiesta presentata in maniera subdola, per ragioni di rischio per la pubblica incolumità e la sicurezza. Speriamo che il processo, l’inchiesta, l’inchiesta bis, o l’eventuale ter, sulla trattativa Stato-mafia non venga strappata dalle mani del pool di magistrati integerrimi coordinato dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi, di cui fanno parte Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Se ciò non dovesse accadere sarebbe il colpo finale dello Stato-mafia alla cittadinanza italiana onesta e soprattuto il colpo finale, mortale, ai familiari delle oltre novecento vittime innocenti di mafia che venerdì, con le lacrime agli occhi, emozionate, con amore Cristico hanno chiesto a Papa Francesco di pregare affinché loro possano conoscere la verità sul perché i loro congiunti sono stati uccisi. La verità sul perché lo Stato italiano, nella migliore delle ipotesi, preferisce sempre trincerarsi dietro il silenzio dell’omertà, o peggio, nascondere la sua criminale complicità con la mafia