“Nella nomina cruciale del nuovo Procuratore capo di Palermo il Consiglio Superiore della Magistratura agirà secondo logica e meriti o si piegherà ai voleri dell’esecutivo e della Casta?”, si chiede Paolo Flores d’Arcais. Il rischio, come spiega anche Marco Travaglio nell’articolo che pubblichiamo a seguire, è una normalizzazione che lascerà ancor più soli i pm condannati dalla mafia e isolati dallo Stato.
di Paolo Flores d’Arcais
Nei prossimi giorni il nuovo Csm deve prendere una decisione cruciale: la nomina del nuovo Procuratore capo di Palermo. Sarà l’occasione per misurare se il Csm possa ancora, magari parzialmente, costituire davvero l’organo di autogoverno della magistratura, cioè di alcune miglia di funzionari pubblici che per Costituzione devono essere “soggetti soltanto alla legge” (art. 101), o se sarà inequivocabilmente, almeno nella sua attuale composizione, la cinghia di trasmissione della volontà dell’esecutivo o peggio delle maggioranze “costituende” e “neocostituzionali”, Dio ce ne scampi e liberi, del patto del Nazareno (insomma Renzi+Berlusconi sotto benedizione di Napolitano).
I candidati sono tre. Nella Commissione del Csm che propone gli incarichi il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e il rappresentante dell’Italia a Eurojust Francesco Lo Voi hanno ottenuto due voti ciascuno, il capo della procura di Messina Guido Lo Forte un solo voto. Si rovescia così l’indicazione che la stessa Commissione aveva dato con lo scorso Csm: tre voti a Lo Forte e uno ciascuno a Lari e Lo Voi. Lo scorso Csm si apprestava dunque a scegliere Lo Forte (un rovesciamo dell’indicazione da parte del Plenum sembrava improbabile) quando un intervento estremamente deciso e irrituale, per usare il più blando e vaporoso degli eufemismi, da parte di Napolitano spinse anche quel Csm sull’attenti. Il Csm attuale, almeno per quanto riguarda la Commissione, si dimostra già peggiore del precedente.
Come spiega infatti Marco Travaglio nell’articolo che mettiamo qui di seguito, utilizzando i criteri a parole teorizzati e magnificati da tutti (esperienza, dimostrate capacità rispetto alla lotta alla mafia, che a Palermo è ovviamente cruciale, ecc.) la nomina di Lo Forte dovrebbe andare da sé. E semmai potrebbe essere insidiata dal procuratore di Caltanissetta Lari, non certo da Lo Voi, molto più giovane, digiuno di lotta alla criminalità mafiosa, caratterizzato dai molti anni di Eurojust, una carica di nomina squisitamente politica (del governo Berlusconi, ministro della giustizia Angelino Alfano).
Vedremo se il plenum del Csm troverà il coraggio, ma sarebbe più esatto dire la semplice decenza, per applicare quei criteri di meritocrazia e di efficienza di cui tutti nell’establishment di questo paese si riempiono la bocca ma che calpestano non appena si tratta di passare dal dire al fare. Vedremo cioè se il Csm si dimostrerà ATTAPPETATO rispetto all’esecutivo, come ho sostenuto in una recente intervista al quotidiano “La Stampa” e come ho più lungamente argomentato nell’editoriale del numero di MicroMega ora in edicola, o se il mio è stato un giudizio affrettato e obnubilato dal pessimismo.
Sarò felicissimo di cospargermi il capo di cenere e riconoscere di aver sbagliato e chiedere umilmente scusa, se il Plenum agirà secondo logica e meriti, mi domando invece come faranno i membri “laici” del Csm che passano per democratici (eletti dal Pd e perfino da Sel) e i membri togati “soggetti solo alla legge” a guardarsi in faccia nello specchio ogni mattina senza vergogna, se si piegheranno ai voleri della Casta.
Mia moglie, molto saggiamente, si domanda anzi se non sarebbe logico che di fronte ad un’eventuale scelta così inaccettabile, i consiglieri di minoranza non farebbero meglio a dimettersi, visto che la funzione del Csm di autogoverno della magistratura risulterebbe ormai snaturata, mentre il lavoro dei magistrati nelle loro sedi di origine potrebbe ancora costituire un grande servizio al Paese e a quel poco di giustizia che rimane.
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Dimenticare Palermo
di Marco Travaglio, da il Fatto quotidiano, 3 dicembre 2014
Mentre il Csm s’appresta a nominare il nuovo capo della Procura di Palermo, acefala dal 1° agosto dopo il pensionamento di Francesco Messineo, si dicono, scrivono e bisbigliano cose da vergognarsi. Invece passano per ordinaria amministrazione.
Proviamo a immaginare che sarebbe accaduto nel 1999, quando il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli andò in pensione, se qualcuno avesse teorizzato che si doveva sostituirlo con un nemico delle indagini di Mani Pulite. Insomma, che al suo posto non doveva andare un magistrato competente ed esperto per assicurare la massima continuità con il buon lavoro svolto fino ad allora. Ma piuttosto un Carnevale, un Vitalone, un Filippo Mancuso, una toga dichiaratamente o notoriamente ostile a quel tipo di inchieste. Per fortuna 15 anni fa il Csm non ebbe dubbi nel nominare Gerardo D’Ambrosio, cioè il più stretto collaboratore di Borrelli, coordinatore del pool Mani Pulite, all’insegna della più assoluta continuità.
Nello stesso anno, Gian Carlo Caselli lasciò la guida della Procura di Palermo e il Csm scelse Piero Grasso, sempre in nome della continuità, che lui medesimo si affrettò ad assicurare: “Da Caselli ho ereditato una squadra straordinaria, e non solo sul fronte dell’antimafia” (poi purtroppo – ma questo nessuno poteva prevederlo – si attivò per smantellarla, non solo estromettendo dalla Dda Ingroia e gli altri pm “scaduti” dopo 8 anni di indagini di mafia, ma estendendo quella regola demenziale anche agli aggiunti per togliere di mezzo pure Lo Forte e Scarpinato). Altri tempi, altri Csm.
Oggi, per diventare procuratore di Palermo, bisogna garantire la massima discontinuità con il recente passato, in particolare con le indagini (ormai a processo) sulla trattativa Stato-mafia e sui suoi frutti bacati come la mancata cattura di Provenzano nel ’95. E con i magistrati che le conducono, dal pm Di Matteo al pg Scarpinato: gli stessi non a caso minacciati e condannati a morte dai boss di Cosa Nostra e dagli apparati più loschi dello Stato.
A luglio la commissione Incarichi direttivi del vecchio Csm s’era espressa fra i tre candidati: 3 voti a Guido Lo Forte, procuratore di Messina, già al fianco di Caselli negli anni d’oro della Procura (record di boss latitanti arrestati e condannati, di beni sequestrati e di colletti bianchi collusi processati); e 1 a testa a Sergio Lari (procuratore di Caltanissetta) e a Franco Lo Voi (ex pm a Palermo, rappresentante uscente del governo B. a Eurojust).
Quando il Plenum si accingeva al voto finale, intervenne a gamba tesa il Quirinale che, non contento delle interferenze nel caso Trattativa, bloccò tutto con una lettera del segretario Marra che inventava una regola mai vista: l’ordine cronologico, per riempire prima 200 sedi giudiziarie vacanti e solo dopo quella di Palermo. Ora quasi tutte quelle sedi restano vacanti, ma il Colle non s’impiccia più e il Csm può votare su Palermo: tanto il messaggio è giunto a destinazione e si spera che, complici i soliti giochini correntizi fra laici e togati, si sia capita l’antifona: una nomina tutta politica (ergo incostituzionale) che trasformi l’“autogoverno” nell’ennesima protesi del potere e lasci ancor più soli i pm condannati dalla mafia e isolati dallo Stato.
Poco importa se regole e curricula indicano Lo Forte e Lari come i più titolati: entrambi nati nel 1948 e procuratori capi con lunghe militanze in Dda (anche se sarebbe poco elegante che Lari, competente a Caltanissetta per le indagini sui pm di Palermo, vada direttamente a dirigerli). Lo Voi invece è un buon magistrato, ma ha 9 anni in meno, non ha mai diretto un ufficio giudiziario né come capo né come aggiunto, non si occupa di mafia da 17 anni, ha beneficiato della nomina politica a Eurojust dal governo più indecente della storia, è ancora “fuori ruolo” e andrebbe a guidare dei colleghi che non dimenticano due suoi gran rifiuti: nel’92 non firmò l’appello contro il procuratore Giammanco, acerrimo nemico di Borsellino; e nel 2001 preferì non rappresentare l’accusa al processo d’appello Andreotti. L’uomo giusto al posto giusto per chi invoca discontinuità non osando chiamarla col suo vero nome: normalizzazione.