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Criminalità e massoneria, le indagini di un magistrato in prima linea: Luca Tescaroli

Criminalità e massoneria, le indagini di un magistrato in prima linea: Luca Tescaroli

Dalla strage di Capaci alla morte di Calvi fino all’indagine Mafia Capitale. Parla il pm che ha cercato di far luce su alcuni dei più gravi avvenimenti della recente storia d’Italia. Un estratto dal volume “Potere Massonico” di Ferruccio Pinotti, in questi giorni in libreria per Chiarelettere.

Ferruccio Pinotti 28 Giugno 2021

Per scavare ulteriormente nei rapporti che legano la cupola del crimine organizzato a esponenti della massoneria deviata, abbiamo intervistato Luca Tescaroli, classe 1965, attualmente procuratore aggiunto a Firenze. La sua è un’importante ricostruzione e testimonianza in quanto Tescaroli ha partecipato in prima persona come pubblico ministero al tentativo di far luce su pesanti fenomeni di criminalità organizzata nell’area grigia a scavalco tra stragi, politica, mafia, economia e finanza. E su alcuni dei più gravi avvenimenti della recente storia d’Italia: dalla strage di Capaci al crack del Banco ambrosiano e alla morte di Roberto Calvi; dalle indagini sui mandanti esterni delle stragi mafiose (procedimento poi archiviato) all’indagine Mafia Capitale condotta insieme ai magistrati Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Paolo Ielo e Giuseppe Cascini. L’autorevolezza del pensiero e delle ricostruzioni di Tescaroli è ulteriormente supportata da documenti processuali e testimonianze di vari collaboratori di giustizia. Questo fa di Tescaroli uno dei massimi esperti anche in materia di rapporti tra massoneria deviata e crimine organizzato.

La sua storia è pressoché unica. Tescaroli conosce da giovanissimo Giovanni Falcone e quale primo incarico viene inviato presso la Procura di Caltanissetta. Quando il 23 maggio 1992 avviene la strage di Capaci, Tescaroli è chiamato a occuparsi delle indagini sull’omicidio di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei componenti della sua scorta. «Attraverso lo studio del maxiprocesso, dell’ordinanza di Falcone e degli altri componenti del pool, guidato da Antonino Caponnetto, delle relative sentenze, mi sono reso conto della complessità e pericolosità dell’organizzazione mafiosa. Ho capito concretamente cosa significhi controllo del territorio, presenza della struttura mafiosa: la capacità di controllare gli appalti, il traffico di stupefacenti. E che tutte le attività che ruotano attorno al vivere criminale presuppongono anche un consenso sociale» spiega il magistrato. Grazie alla lettura degli atti del maxiprocesso – continua Tescaroli – «ho potuto anche prendere piena coscienza dei collegamenti nazionali e internazionali di Cosa nostra e della rete vasta dei suoi collegamenti con il tessuto economico del paese». La connessione internazionale delle attività mafiose appariva, infatti, in tutta evidenza dalle indagini condotte da Falcone. «Effettuai uno studio esteso di tutte le attività investigative seguite da Falcone, come il processo relativo a Rosario Spatola, la vicenda di Michele Sindona e i suoi contatti con i Gambino, gli Spatola e la mafia americana – prosegue Tescaroli – e si palesò in tutta la sua chiarezza il problema dei “colletti sporchi”,2 il fatto che la mafia cresce e prospera con la complicità di professionisti corrotti, di banchieri collusi e di un sistema politico esposto a pericolose vicinanze.» Il magistrato rievoca un aneddoto di quando Tommaso Buscetta, al termine di un colloquio con lo stesso, confessò: «Dottore, io sono con lei e spero di vedere condannati, prima di morire, gli autori dell’uccisione del giudice Falcone, anche se non penso che per alcuni sarà possibile». A quel punto – Tescaroli – gli chiese a chi stesse facendo riferimento: «Mi rispose con un sorriso, e mi augurò buona fortuna». Tescaroli è riuscito a far condannare gli autori e i mandanti della strage di Capaci. Vennero inflitte 37 condanne, di cui 29 all’ergastolo, cinque in più rispetto al giudizio di primo grado».

Già nel corso del processo per la strage di Capaci, Tescaroli ha potuto rendersi conto delle commistioni tra criminalità organizzata e massoneria deviata. La stagione delle stragi mafiose di inizio anni Novanta ha portato la magistratura ad aprire più filoni d’inchiesta a carico dei cosiddetti «mandanti esterni», grazie anche alle preziose rivelazioni di numerosi collaboratori che iniziarono a dialogare con gli inquirenti sul finire degli anni Novanta, presso la Procura di Caltanissetta e che portarono a lambire esponenti della massoneria. L’indagine cui Tescaroli, insieme ad altri magistrati partecipò, relativamente ai mandanti esterni delle stragi, venne poi archiviata.

Connessioni pericolose

Tescaroli ha avuto modo di occuparsi di un altro grande mistero italiano: la morte del banchiere Roberto Calvi, avvenuta a Londra nel giugno 1982, in parallelo al crack del Banco ambrosiano. «Mafia, politica corrotta, massoneria e ambienti vaticani: in Italia i poteri forti sono legati tra loro da una forte commistione di interessi. Il caso Calvi-Ambrosiano esemplifica in maniera lampante questi legami.»

Il magistrato sottolinea che «nel panorama a tinte fosche dei primi anni Ottanta, si era assistito, dopo l’assassinio di Aldo Moro, all’invadenza della loggia massonica P2 nei più delicati gangli degli apparati statali e militari, e al consolidarsi di cointeressenze finanziarie, soprattutto in società offshore alle Bahamas, tra il piduista Roberto Calvi (iniziato al grado di maestro, tessera n. 1624, rilasciata il 1° gennaio 1977), la Banca vaticana, guidata da Paul Marcinkus, e la criminalità mafiosa».

Pubblico ministero al processo per l’omicidio del «banchiere di Dio», Luca Tescaroli è stato costretto a chiedere, nel 2016 – nonostante una sentenza abbia riconosciuto che Calvi non si suicidò ma fu ucciso – l’archiviazione del procedimento che vedeva coinvolti, a vario titolo e tra gli altri, figure come Licio Gelli, Flavio Carboni e Francesco Pazienza, con esiti processuali complessi e controversi. L’archiviazione delle indagini a carico dei sospettati non ha però impedito al gip Simonetta D’Alessandro di sostenere che: «Lo sforzo della pubblica accusa consegna comunque un’ipotesi storica dell’assassinio difficilmente sormontabile: una parte del Vaticano, ma non tutto il Vaticano; una parte di Cosa nostra, ma non tutta Cosa nostra; una parte della massoneria, ma non tutta la massoneria, e in una parola, la contiguità tra i soli livelli apicali in una fase strategica di politica estera, che ha bruciato capitali che, secondo i pentiti, erano di provenienza mafiosa. Di più non è stato possibile fare». Il gip prosegue, sostenendo che Tescaroli ha «parlato credibilmente di un sistema economico integrato, ha proiettato sullo scenario del delitto presenze simbolo: Calò che è Cosa nostra, da Bontate a Riina; Diotallevi e Casillo, che sono la banda della Magliana e la nuova camorra organizzata, sodalizi entrambi al servizio della mafia corleonese; Pazienza e Mazzotta, che sono il Sismi; Gelli, Carboni e Kunz che sono la P2, Marcinkus che è lo Ior, che è Sindona, che è Calvi».

Nel corso delle indagini Tescaroli ha incontrato spesso il ruolo della massoneria deviata. Il collaboratore di giustizia Angelo Siino, considerato il «ministro dei lavori pubblici» della mafia siciliana vista la sua esperienza in termini di appalti, ha raccontato di aver conosciuto il banchiere Roberto Calvi nella sede della loggia massonica Camea a Santa Margherita Ligure. Siino ha ricordato che Calvi gli era stato presentato dal suo accompagnatore, Giacomo Vitale, cognato del super boss Stefano Bontate, come «un banchiere di Milano, un personaggio importante, anche perché gestisce dei soldi nostri». «Una chiara indicazione in ordine al fatto che il Banco si impegnasse per riciclare il denaro sporco della mafia. Circostanza che è stata confermata anche dalle dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, il pentito Antonino Giuffrè»11 conferma Tescaroli. Si trattava di un sistema di potere che trova una puntuale descrizione nel racconto di Giuffrè, come racconta Tescaroli: «Giuffrè ha riferito che vi era un “covo a tre”: Cosa nostra, una certa massoneria e Marcinkus. Questi collaboravano tra loro. Ben presto Calvi, nella seconda metà degli anni Settanta e fino agli inizi degli anni Ottanta, è entrato in un grosso giro di denaro, proveniente dal traffico di stupefacenti. Marcinkus era particolarmente esposto con Calvi ed era coinvolto, come riferisce Giuffrè, “in certi discorsi con Sindona”. Giuffrè ha riferito che Marcinkus era uno degli amministratori dello Ior e riciclava soldi della mafia».

Tescaroli continua raccontando che, durante un colloquio, Antonino Giuffrè «ha segnalato che i soldi della mafia confluiti nel Banco hanno permesso a Calvi e allo Ior di finanziare i movimenti anti-sovietici in Europa dell’Est, a partire da Solidarnosc, in Polonia».

Mafia Capitale

Nel corso degli anni, Tescaroli ha poi avuto modo di occuparsi di un’altra grossa inchiesta, Mafia Capitale, nella quale gli intrecci tra politica, affari ed esponenti di quel «mondo di mezzo» che rappresenta la continuazione della banda della Magliana. Tra questi riappare sullo sfondo la figura di Ernesto Diotallevi, già presente nel processo per l’omicidio di Roberto Calvi. In un’informativa del 18 giugno 2013 del Ros, risulta ad esempio che il figlio Mario Diotallevi è apparso il più attivo «nella ricerca di contatti nel mondo della massoneria e degli appartenenti al mondo dei servizi segreti che potessero avvantaggiarlo nella sua attività di faccendiere».

Tutta l’inchiesta Mafia Capitale-Mondo di Mezzo, con figure come Carminati e Buzzi sempre al confine tra il mondo criminale e quello che lega le frange deviate dei servizi e della massoneria, testimonia come sia difficile il lavoro di quei magistrati, quali Luca Tescaroli, che hanno cercato di fare chiarezza e arrivare a sentenza su questioni così complesse.

Tescaroli ha commentato così le condanne ottenute nel corso dell’inchiesta. «Pur non essendo stata accolta dalla Corte di cassazione la nostra impostazione per cui il sodalizio doveva farsi rientrare tra le associazioni di tipo mafioso, i fatti accertati rimangono gravi. È stata riconosciuta l’esistenza di due associazioni per delinquere e quasi tutti i delitti. È indiscutibile la gravità dei fatti accertati con sentenza definitiva ottenuta in tempi rapidi, nonostante l’elevato numero degli episodi delittuosi, il numero di imputati, la complessità delle vicende. La gravità della condotta di amministratori pubblici e criminali comuni non viene sminuita da una qualificazione giuridica diversa. La sentenza di appello, come del resto la stessa Cassazione in fase cautelare, aveva accolto la nostra impostazione sulla associazione mafiosa, ritenendola caratterizzata da tratti peculiari rispetto a quelle tradizionali.»

Tescaroli ha evidenziato, poi, che «è stato messo a nudo un intreccio tra politica, affari e, per usare le parole di uno dei suoi più autorevoli e pericolosi esponenti, Massimo Carminati, quel “mondo di mezzo”, un luogo dove si realizzano sinergie criminali e si compongono equilibri illeciti tra il mondo di sopra, fatto di colletti bianchi, imprenditoria e istituzioni, e il mondo di sotto, fatto di batterie di rapinatori, di estorsori e di usurai, di gruppi che operano illecitamente con l’uso di armi, trafficanti di droga». Il magistrato conclude: «Al di là degli specifici procedimenti giudiziari e delle inchieste di cui mi sono occupato, ritengo necessario che il tema dei “colletti sporchi” e dell’area grigia tra economia, politica, affari, massoneria e mafie venga affrontato con legislazioni sempre più specifiche e con normative sempre più avanzate che consentano agli inquirenti e alla magistratura giudicante di agire in modo più̀ efficace verso questi gravi fenomeni che inquinano la nostra vita sociale e civile. Naturalmente, a ciò va coniugata un’azione preventiva di formazione culturale e di moralizzazione».

Fonte:https://www.micromega.net/