Il Mattino
Covid a Napoli, l’affare ristori: i manager dei clan a caccia di negozi e aziende in fallimento
Martedì 29 Dicembre 2020 di Leandro Del Gaudio
Sono 998 le procedure fallimentari che hanno scandito l’anno del covid. Un numero che basta da solo a fotografare quanto sta accadendo a Napoli, destinato a finire al centro di indagini dei principali reparti investigativi napoletani. Inchieste che puntano ad impedire l’infiltrazione della camorra nel circuito dell’economia pulita, nei mesi del grande stallo e della grande attesa dei ristori. Ma andiamo con ordine. In pochi giorni, il prefetto Marco Valentini e il procuratore Gianni Melillo hanno sottolineato il rischio di una camorra imprenditrice, pronta a mettere le mani su aziende in ginocchio. E c’è un dato che non può sfuggire. Viene fuori dal lavoro condotto in questi mesi dalla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli, guidata dal presidente Scoppa (uno dei reparti più efficienti del Tribunale presieduto da Elisabetta Garzo), valida chiave di lettura: 998 procedure fallimentari non sono tantissime, non rappresentano un picco rispetto agli anni precedenti; anche considerando l’impossibilità di aprire procedimenti di fallimento, almeno fino a luglio del 2020, va detto che in questi ultimi mesi non ci siamo mai trovati di fronte a un trend in crescita.
Ma come si spiega un dato così basso rispetto a una realtà economica tanto in crisi? Possibile che non ci sia stato un boom di procedure solo grazie alle casse integrazioni? Stando ad un’analisi più approfondita, invece, c’è il timore che tante aziende in questi mesi siano state infiltrate dai soldi sporchi. Riciclaggio, interposizione fittizia, le mani su esercizi commerciali costretti ad abbassare le saracinesche per mesi o a ridurre il volume dei propri affari dell’ottanta per cento rispetto allo scorso anno. È questo dato a giustificare le preoccupazioni legate all’avvento di una camorra imprenditoriale, capace di ripulire proventi di droga, mercato del falso e racket in circuiti formalmente virtuosi. E sono questi i punti su cui battono le inchieste della Dda di Napoli. Riflettori puntati su persone appparentemente anonime. Incensurati, gente dal volto sconosciuto, da sempre lontane da problemi con la giustizia, che entrano in meccanismi decisionali, in staff produttivi. In una parola: prestanome pronti a tutto. Firmano e staccano assegni, pagano stipendi, strisciano carte di credito. Ma sono la punta di un iceberg, che ha alla sua base il sistema criminale cittadino.
Proviamo a ragionare su cosa è accaduto in questi mesi. C’è stato il sequestro di una galassia societaria che faceva capo ad Antonio Mennetta, boss e killer del clan dei girati, quelli della Secondigliano vecchia noti come quelli della Vinella grassi. Ricordate il suo caso? Ha confessato omicidi, sta scontando l’ergastolo, ma faceva affidamento su un uomo – un parente – che gestiva ditte di sanificazione. Profumo di soldi, in piena era covid. Aveva fiutato l’affare e poteva permettersi auto di lusso, barche di quelle da top manager. Ed è un intero mondo economico che sta cambiando, che rischia di trasformarsi in questi mesi, in attesa dei finanziamenti europei – quelli del recovery fund – che da Roma dovrebbero arrivare a Napoli. Non a caso, il capo dei pm napoletani ha parlato di «margini di adattamento alle nuove necessità», ma anche di una «vocazione imprenditoriale della camorra che risulta straordinariamente accentuata», fino a mettere a fuoco la doppia faccia dell’emergenza napoletana: la crisi di liquidità che ha investito interi settori (che viene infiltrata da prestanome dei clan), ma anche delle potenziali possibilità economiche in campo sanitario (grazie al recovery fund).
Una ricostruzione che fa il paio con quanto dichiarato prima di Natale dal prefetto Valentini, nel corso di una intervista a Il Mattino, nella quale è stata preso in considerazione lo scenario prossimo venturo: a marzo – ha ricordato il primo inquilino di Palazzo di governo – scadono le cig e viene eliminato il tetto dei licenziamenti. Una doppia congiuntura che rischia di diventare esplosiva a Napoli, ma anche di creare le condizioni per l’abbraccio tra mondo delle imprese e capitali mafiosi. Uno scenario metropolitano sul quale il prefetto di Napoli ha già agito, firmando in pochi mesi ben ottanta interdittive antimafia a carico di altrettante società presenti sul mercato. Un modo efficace per prevenire l’aggressione ai ristori, nel pieno della crisi economica provocata dal covid.