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Così la mafia controlla i traghetti tra Sicilia e Calabria

L’Espresso

Così la mafia controlla i traghetti tra Sicilia e Calabria

Ticket ai capibastone, assunzioni per guardianie e gestione dei bar. Le cosche hanno messo le mani sulla Caronte-Tourist, la società dei collegamenti dello Stretto

di Enrico Bellavia e Antonio Fraschilla

23 FEBBRAIO 2021

Li pagano sulla parola, aspettano che escano dal carcere, gli acconciano i turni, in modo da non interferire con gli impicci giudiziari. Gli riservano ghiotte quote del loro business: la ristorazione, le pulizie e la biglietteria. Gli concedono ticket gratis da distribuire e posti di lavoro da dispensare per tenere in piedi il baraccone del welfare mafioso. Li fanno ricchi senza fiatare, contro i loro stessi interessi. In cambio ottengono però tranquillità: un bene immateriale ma inestimabile che sbrigativamente potremmo chiamare protezione: un lavoratore sfaticato da mettere in riga, un camionista che fa il furbo, i mezzi che devono correre e non sbuffare stanchi su quella lingua di mare che separa Scilla e Cariddi.


Se si vuole capire la ragione profonda di un balzello che chiunque si sia trovato a passare lo Stretto deve pagare, bisogna scrutare con attenzione le 160 pagine che condensano la decisione del tribunale di Reggio Calabria: su proposta della procura, dopo l’indagine coordinata dall’aggiunto Gaetano Paci, ha messo
sotto amministrazione giudiziaria per sei mesi la società Caronte-Tourist, la spa che di generazione in generazione detiene in regime di oligopolio di fatto l’attraversamento che completa lo stivale.

L’intento è dei più nobili: ripulire l’azienda, “bonificarla” dalle infiltrazioni della ’ndrangheta. Che si tratti di un obiettivo minimo è apertamente dichiarato perché, a scorrere le pagine del provvedimento, emerge la convinzione che non di un episodico intervento mafioso nel corpo sano della società si tratti ma, almeno, di una presenza sistematica e funzionale all’andamento dell’azienda.

Il provvedimento traccia l’irresistibile ascesa di Massimo Buda, da portuale a manager della “sicurezza”, forte di un araldo che lo collega direttamente al boss Nino Imerti – detto, per capirsi, Nano Feroce – e da lui a Pasquale Condello, il Supremo della ’ndrangheta calabrese. Di fronte a Buda, 2.800 euro di stipendio lordo deciso con tacito accordo, più 1.500 di benefit legati alle trasferte e rimborso a piè di lista, si inchinano capiscalo e comandanti, l’ad dell’azienda e il suo responsabile operativo. Tutti a cercare di compiacere Massimo, in odore di massoneria, che direttamente o per interposta persona traghetta, è il caso di dire, l’azienda di famiglia verso il controllo della ristorazione a bordo di tre delle cinque navi che solcano lo Stretto.

Poi c’è Domenico Passalacqua, fornaio con il fratello, e dipendente a sua volta della Caronte-Tourist, bigliettaio andato in pensione nel 2019, strettamente legato al locale di Villa San Giovanni, che a differenza di Buda ha qualche noia con la giustizia: arrestato, continuano a pagarlo senza mai licenziarlo, uscito dal carcere si riprende il posto con tanto di plateale abbraccio di Antonio Repaci, l’uomo di fiducia dei Matacena che sovrintende agli affari dell’ala Caronte della società, poi finito impelagato in una storia di corruzione.

 

LA NASCITA DELL’IMPERO
L’inchiesta offre uno spaccato di una storia lunga mezzo secolo e tutt’altro che conclusa. Comincia a giugno del 1965 quando la Caronte spa, patron il futuro cavaliere Amedeo Matacena, dalla tolda calabrese, inaugura la tratta Reggio-Messina. Tre anni dopo, dal versante opposto lancia il guanto di sfida la famiglia di Giuseppe Franza, sposato con Olga Mondello, che introduce una variante non da poco nella feroce dinamica della concorrenza. La Tourist Ferry Boats copre lo stretto in metà tempo perché i traghetti affrontano una distanza minore, partendo da Villa San Giovanni per Messina. Matacena è all’angolo, mobilita perfino l’attrezzata destra reggina che sarà protagonista di lì a qualche mese dei moti di Reggio. Tenta anche un blocco navale, ma poi capitola.

E così Franza-Mondello con i loro parenti e soci Genovese, stringono il patto con i rivali d’oltre stretto: Amedeo e Elio Matacena. Pace fatta e oligopolio costituito. Perché restano le Ferrovie, marginali ma essenziali per dire che non è proprio tutto in mano ai privati, per il resto benedetti e ossequiati dalla politica su ambedue le sponde. Solo nel 2003 Caronte e Tourist si fonderanno veramente ma al controllo della prima c’è già soltanto Elio ed è entrato anche un fondo inglese. Il fatto è che già negli anni Novanta le autorità di controllo hanno stigmatizzato il patto di cartello tra i due armatori. Matacena porta in dote anche un bel po’ di relazioni sia con la ‘ndrangheta reggina e sia con quella di Villa. Come in Cosa nostra, anche per la ’ndrangheta vige il principio che la giurisdizione sugli affari è del locale che geograficamente ha il controllo del luogo in cui si svolgono. Così i Rosmini di Reggio, devono includere con gli Imerti, i Campolo, gli Aquila e i Buda che di Nino Imerti sono cugini.

Così alle biglietterie calabresi arriva Bruno Campolo. Poi Campolo mette suo figlio Giuseppe a gestire la ristorazione con una azienda, la Caap, di cui è presidente del cda dal 2002 al 2020. La Caap è un acronimo elementare che raduna i partner dell’affare bar a bordo. Ci sono i Campolo e c’è Giuseppe Aquila, nipote di Bruno, che da barista diventa poi la mente politica della famiglia. La P, infine, sta per Passalaqua.

La Tourist ha un proprio servizio di ristorazione ma per non scontentare gli amici si stabilisce un patto: Tourist avrà il servizio su una nave, la Caap su un’altra e per la terza si farà un anno per uno. Ci perdono ma sono contenti ugualmente, farfuglierà in un interrogatorio Vincenzo Franza, figlio di Giuseppe, frattanto giunto a capo della Spa.

Raccontano i pentiti che ai boss delle ’ndrine è riservato il 35 per cento delle assunzioni della società e che questa quota venga poi suddivisa per sfere di influenza tra i maggiorenti delle cosche calabresi. Perché la Caronte-Tourist è una “gallina dalle uova d’oro”. E Amedeo Matacena junior, il discendente degli armatori datosi alla politica, ora a Dubai in esilio dorato da latitante, è un intoccabile per decreto di Pasquale Condello.

Quando le nubi cominciano ad addensarsi sulla società ecco che la Caronte-Tourist prova a rifarsi una verginità creando una sorta di antimafia interna. Chiama anche l’ex questore Santi Giuffrè, lo coopta nel cda e spera così di potere agitare la bandiera del superpoliziotto per fugare i sospetti. Ai pm di Reggio però non basta. E non bastano neppure le tardive quanto frettolose liquidazioni delle società collegate che iniziano un vorticoso giro di volture. L’operazione bonifica dovranno ora farla i giudici. A cui tocca stabilire anche quanto sia profondo il marcio.

L’OLIGOPOLIO SULLO STRETTO
L’affare traghetti, del resto, è il più grande business imprenditoriale legale tra Sicilia e Calabria. Oggi la Caronte-Tourist spa è una holding che nell’anno pre pandemia, il 2019, ha fatturato 200 milioni di euro con un utile a quota 15,7. L’anno precedente, il 2018, l’utile è stato di 27 milioni di euro. Un impero assoluto, che vede insieme diverse famiglie che contano da entrambe le sponde. La capogruppo è di proprietà di tre soci, in sostanza: la Tourist Ferry Boat della famiglia Franza, con una quota anche della famiglia di Francantonio Genovese, ex Pd, ex Forza Italia che guarda adesso all’Udc, già condannato in secondo grado per truffa per l’affaire formazione professionale in Sicilia; la Caronte della famiglia calabrese dei Matacena; e, dallo scorso anno, attraverso la controllata Ulisse, il fondo inglese Basalt Infrastructure, che ha in portafoglio investimenti per 2 miliardi di euro.


Rischi minimi e alta resa. Il gruppo, tra finanziamenti statali per il trasporto nello Stretto e finanziamenti della Regione Siciliana per i collegamenti con le Isole minori, riceve ogni anno circa 50 milioni. E non ha concorrenti, perché nel tempo ha anche acquisito il ramo Siremar e poi quelli di altre piccole compagnie locali.
Solo lo Stretto pesa 100 milioni di fatturato, i collegamenti con le isole minori 80 milioni di euro.
La Caronte-Tourist si spartisce il mercato in Sicilia con una sola altra società, quella della famiglia trapanese dei Morace, che ha invece il monopolio degli aliscafi. Il risultato è che da diversi anni alle gare bandite dalla Regione Sicilia, ad esempio, si presentino in due: Franza-Matacena-Genovese per le navi e Morace per gli aliscafi. A Trapani è in corso un processo, imputati gli amministratori del gruppo Morace, per le gare bandite dalla Regione nel 2016, durante il governo Crocetta. La Regione sta bandendo adesso nuove gare per 65 milioni. E dagli uffici si dicono quasi certi che gli operatori in campo saranno sempre gli stessi.

Su questo mercato blindato ha acceso i riflettori l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, dopo che ne ha lasciato la guida l’avvocato siciliano Giovanni Pitruzzella. Il suo successore facente funzioni, Gabriella Muscolo, la scorsa estate ha avviato una mega istruttoria nei confronti della Caronte-Tourist, fissando al 2021 il termine per la chiusura della pratica. Il presupposto è che «i prezzi praticati appaiono ingiustificatamente alti rispetto ai prezzi applicati su altre rotte, anche analoghe». E che le tariffe «risultano penalizzare particolarmente i consumatori che viaggiano da soli con autovettura al seguito rispetto all’ipotesi di più soggetti che effettuano la traversata con una medesima autovettura». Nel dettaglio, scrive l’Autorità, la Caronte-Tourist fa pagare un pass passeggero più auto 37 euro per 3,7 miglia nautiche, la Blue Ferries 31 euro per 8 miglia nautiche.

L’autorità ha raffrontato i costi in Sardegna per il traghettamento e sono nettamente inferiori. «Sembra potersi evidenziare l’applicazione da parte di Caronte-Tourist sulla rotta Messina-Villa San Giovanni, su cui detiene una posizione di monopolio, di prezzi significativamente superiori rispetto a quelli applicati da altri operatori»

Difficile immaginare che di questa torta di fondi pubblici e incassi la ‘ndrangheta si sia accontentata soltanto delle briciole. Caronte-Tourist non sembra preoccuparsi più di tanto: «Nell’apprezzare il chiaro distinguo – fatto dalla stessa Procura – tra la nostra società e i soggetti socialmente pericolosi che sarebbero stati involontariamente agevolati quali dipendenti della medesima non possiamo che ribadire fiducia assoluta nell’operato della magistratura».