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- Laziomar, il “Don Francesco” a tutti i costi e la ‘ndrangheta al Molo Vespucci
Avviandoci a conclusione di una storia che appare davvero singolare, soprattutto ci chiediamo se non era il caso, in assenza di risorse per costruirne nuove imbarcazioni, che pure dovrebbero esserci considerato che la Laziomar privata percepisce tredici milioni di euro l’anno di finanziamento pubblico dalla Regione Lazio, lasciare il Don Francesco su altre rotte piuttosto che su quelle dell’arcipelago laziale dove tutti questi problemi sta creando e ha già creato.
Infine, andando alla base del problema, ovvero il Molo Vespucci, va detto che i lavori realizzati per la “sistemazione della banchina del porto ed interventi di adeguamento e messa in sicurezza della zona portuale”, in particolare un lotto di quei costosi lavori, sono sì state opere particolarmente sfortunate e apparentemente infinite ma anche oggetto di molti dubbi.
Nel 2011, infatti, furono affidati alla Icem di Minturno che nel novembre 2013 fu oggetto di un’interdittiva antimafia, provvedimento confermato nel dicembre 2014 perché, riportava “Il Messaggero”, “considerata in base a un’informativa dei carabinieri di Crotone vicina a società della ‘ndrangheta” da cui la revoca dei lavori per “il rifacimento del litorale di Minturno, la difesa del litorale del porto neroniano di Anzio e interventi per il dissesto idrogeologico a Baschi, in Umbria” ma non di quelli ottenuti a Formia al molo Vespucci e alla Darsena di Caposele.
Come del resto si legge anche nell’interrogazione parlamentare del 18 maggio 2016 presentata al Ministro dell’Interno Angelino Alfano dai senatori Simeoni, Vacciano, Maurizio Romani, Mineo, Bignami, Mastrangeli, Bencini, De Pietro, Molinari, Fucksia che già avevamo riportato e che qui riproponiamo.
“Atto n. 4-05827 – Pubblicato il 18 maggio 2016, nella seduta n. 628
Premesso che, secondo quanto risulta agli interroganti:
a seguito di procedura di gara, il Comune di Formia (Latina) procedeva a affidare alla società Icem Srl, quale ditta aggiudicatrice del bando, i lavori relativi al completamento delle opere riguardanti la banchina del porto, nonché altri interventi di adeguamento e messa in sicurezza della zona portuale, provvedendo altresì alla creazione di un punto di pronto soccorso; lavori prontamente eseguiti e conseguentemente liquidati come si evince dalla determinazione dirigenziale n. 26 del 5 maggio 2013;
a seguito di numerosi articoli apparsi, essenzialmente, sulla stampa locale e testate on line, si è avuto modo di apprendere che la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro si era interessata alla ditta perché avrebbe impiegato in subappalto mezzi e personale di imprese ritenute vicine alle cosche della ‘ndrangheta crotonese durante i lavori di completamento ed ammodernamento del porto di Caposele, Formia;
ancora, sul quotidiano on line “Il Caffe.tv”, edizione di Anzio e Nettuno, il 19 aprile 2014 sarebbe apparso un articolo dal titolo “Antimafia, la Regione revoca l’appalto a una ditta al lavoro al porto di Anzio”, ove veniva riportata la notizia secondo la quale «a seguito della comunicazione da parte della Prefettura di Roma agli uffici regionali della interdittiva antimafia nei confronti della società Icem Srl, con sede a Minturno in provincia di Latina, aggiudicataria di un appalto per l’affidamento dei lavori per l’antico Porto Neroniano di Anzio, la Direzione regionale Ambiente ha provveduto immediatamente alla predisposizione degli atti necessari alla rescissione del contratto e alla liquidazione dei costi per le opere già eseguite, così come previsto dalla legge in materia»;
orbene, quanto finora esposto non costituirebbe un caso isolato di affidamento da parte dell’amministrazione locale di appalti a ditte considerate contigue, se non appartenenti, ad ambienti della criminalità organizzata. Ed invero, anche un’altra ditta, la Costruzioni generali Cimorelli SpA, già affidataria di lavori dei sistemazione del lungomare di Gianola-Santo Janni, sempre a Formia, per un valore complessivo di 1.167.371,91 euro, sarebbe stata oggetto di indagini da parte della Procura di Campobasso, nonché del Corpo forestale dello Stato. Nell’ambito dell’operazione “Eldorado”, che nel 2008 ha portato a 10 rinvii a giudizio e 5 richieste di misure cautelari, sarebbe finito anche il titolare della ditta, Antonio Cimorelli, indicato anche quale responsabile dei lavori di messa in sicurezza degli argini del fiume Biferno e della diga del Liscione in Molise, il quale sarebbe accusato, insieme ad altri, del reato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e al falso, nonché al danno ambientale. Su Cimorelli, inoltre, peserebbe anche l’accusa di furto aggravato per aver venduto clandestinamente, secondo la ricostruzione del Corpo forestale, ad altre ditte tonnellate di materiale inerte di risulta. Infine, la Procura di Campobasso, nel motivare la richiesta di rinvio a giudizio dell’imprenditore intimava «L’azienda dell’imprenditore isernino Cimorelli che subappaltò i lavori di rifacimento degli argini del Biferno deve sospendere l’attività e la partecipazione a gare d’appalto»;
considerato che:
la peculiare penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto imprenditoriale del Paese ha reso necessario che l’ordinamento nazionale si dotasse di idonei strumenti volti a contrastarne l’infiltrazione, fornendo, altresì, alle pubbliche amministrazioni adeguate misure perché ne impediscano il coinvolgimento viepiù durante lo svolgimento e l’assegnazione di gare d’appalto e altri affidamenti;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998, “Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia”, prevedeva, precipuamente a tale scopo, che, per la stipula di contratti in misura eccedente un determinato valore, le pubbliche amministrazioni, nonché gli enti pubblici e altri soggetti indicati all’art. 1, dovessero previamente acquisire dalla Prefettura territorialmente competente le informazioni necessarie relativamente alle imprese interessate;
laddove dalle verifiche effettuate dal prefetto emergessero elementi tali da indurre a considerare le imprese interessate all’appalto suscettibili di infiltrazioni mafiose, le amministrazioni sarebbero tenute a non procedere alla stipula del contratto;
le disposizioni contenute nel regolamento, così come modificate e trasfuse nel capo II del decreto legislativo n. 159 del 2011, noto quale “codice antimafia”, identificano, invero, all’art. 84, comma 3, l’informativa antimafia anche “nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”;
l’art. 91 del codice antimafia stabilisce che il prefetto possa desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, oltre che dai provvedimenti di condanna anche non definitivi per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, anche da “concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata” (comma 6);
al comma 7, rinvia ad un apposito regolamento, da adottare con decreto del Ministro dell’interno, l’individuazione delle “diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa per le quali, in relazione allo specifico settore d’impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l’acquisizione della documentazione indipendentemente del valore del contratto, subcontratto, concessione, erogazione o provvedimento di cui all’articolo 67″;
considerato inoltre che:
il Tar Campania, con sentenza n. 10732/2003, rilevante ai fini di quanto esposto, afferma che il documento interdittivo «non deve, evidentemente, fondarsi su prove certe di infiltrazione se non di appartenenza dell’impresa all’organizzazione criminale, prove che, ove sussistenti, fonderebbero procedimenti penali a carico dei soggetti coinvolti ed altri provvedimenti (…), ma è sufficiente che essa ponga a proprio fondamento elementi volti a dimostrare collegamenti tra impresa e mondo criminale»;
nelle motivazioni il Tar Campania sottolinea altresì che tali elementi non debbano caratterizzarsi quali “meri sospetti”, bensì «tali da sorreggere una valutazione che, pur frutto di un apprezzamento latamente discrezionale, risulti non illogica, tale cioè da dimostrare con ragionevolezza il “pericolo” (non la certezza) dell’infiltrazione mafiosa»,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non intenda inviare una commissione di accesso, affinché sia appurata la correttezza di tutte le procedure amministrative adottate nel conferimento dell’appalto alla Icem Srl, nonché le motivazioni per le quali la ditta, già destinataria di interdittiva antimafia relativamente ai lavori di rifacimento del porto di Anzio (Roma), non sia stata interessata da alcun provvedimento prefettizio relativamente ai lavori di completamento e ammodernamento della darsena del porto di Formia;
se intenda, nell’ambito delle proprie attribuzioni, intraprendere qualsivoglia misura, al fine di impedire il reiterarsi di circostanze per le quali soggetti considerati contigui, se non addirittura appartenenti, ad ambienti malavitosi risultino aggiudicatarie di appalti pubblici”.