L’Espresso, Venerdì 15 Luglio 2016
Cosa nostra e ‘ndrangheta? “Una Cosa sola”
Le riunioni comuni per progettare le stragi del ’92. Il no dei calabresi al bagno di sangue. E la nuova saldatura nel dopo Riina. Così due organizzazioni hanno modellato negli anni una joint venut che oggi fa paura
DI GIOVANNI TIZIAN
Mentre la politica immaginava il mega ponte sullo Stretto, le mafie che dominano le rispettive sponde ne avevano già realizzato uno, assai solido e resistente alle bufere. Nell’inchiesta “Mammasantissima” coordinata dalla procura antimafia diReggio Calabria che ha svelato la cupola dei membri invisibili della ‘ndrangheta c’è anche questo: lo strettissimo rapporto tra mafiosi siciliani e calabresi.
La ricostruzione dei pm attraverso le dichiarazioni di numerosi pentiti è un tuffo nell’oceano di misteri e alleanze che permetteranno di rileggere anche fatti drammatici avvenuti nel Paese. Come gli anni delle stragi, per esempio, e le successive trattative.
Giuseppe Costa è uno dei collaboratori che ha raccontato questi legami per molto tempo rimasti avvolti nel silenzio. E che in molti non volevano neppure vedere: «Come ho già riferito in altri interrogatori, i legami fra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta erano strettissimi. Non so in concreto per quanto tempo, nè con quali risultati operativi, ma, sicuramente, si arrivò, anche a progettare e poi a dare forma (parliamo del periodo immediatamente successivo alle stragi di Falcone e Borsellino) ad una super-struttura che comprendeva le due organizzazioni: la c.d. Cosa Nuova. Si trattava di una sorta di organizzazione mafiosa di vertice che ricomprendeva sia gli elementi di spessore e di peso di Cosa Nostra che quelli della ‘Ndrangheta. Ciò avrebbe consentito uno scambio di favori ancora più intenso e continuo fra siciliani e calabresi. Ma non solo: Cosa Nuova serviva anche ad inserire in modo più organico nel tessuto del crimine organizzato siciliano e calabrese, persone insospettabili, collegamenti con entità politiche, istituzionali e massoniche…Tenga presente che, come pure ho già spiegato, io ero legato alla cosca dei Piromalli, che, a loro volta, insieme ai De Stefano, erano la famiglia storicamente più legata a Salvatore Riina e a Cosa Nostra. Con riferimento ai rapporti fra Massoneria e mondo criminale voglio precisare anche che a me era noto, in quanto ‘ndranghetista e in quanto me lo aveva detto personalmente Giuseppe Piromalli nel corso di una comune detenzione nel carcere di Palmi, che si trattava di rapporti molto intensi specie in Calabria. Più in Calabria che in Sicilia… Un esempio concreto delle sinergie fra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta è costituito sicuramente dall’omicidio del giudice Scopelliti».
Anche pentiti siciliani hanno riferito di queste relazione tra le mafie divise solo dallo Stretto. Gioacchino Pennino – uomo d’onore, politico e massone – racconta di una joint venture ecomica e culturale tra le organizzazioni: «Mio zio mi confidò di essere stato da latitante, negli anni 60’, ospite del clan Nuvoletta nel napoletano. La cosa non deve sorprendere in quanto Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita, sono da sempre unite fra loro. Sarebbe meglio dire sono una “cosa sola”. Da lì mio zio, come mi raccontò, si recava in Calabria dove, mi disse, che aveva messo insieme massoni, ‘Ndrangheta, servizi segreti, politici per fare affari e gestire il potere. Una sorta di comitato d’affari perenne e stabile. In seguito, essendone molto amico, pochi mesi prima della sua morte, nel 1980-81, mi trovai a parlare con Stefano Bontate. Nel corso di questo incontro Bontate( boss della mafia palermitana ndr) mi disse che avrebbe avuto molto piacere se lo avessi aiutato a continuare “quel progetto di tuo zio” (il comitato d’affari fra criminali, massoni e servizi) non solo in Calabria, dove si era consolidato, ma anche in Sicilia dove il progetto era ancora in fase embrionale. Io con molta diplomazia riuscii a svicolare e a declinare l’invito. Non volevo assumere questo ruolo e non mi interessava farlo».
C’è poi un aspetto, forse il più inquietante, in questa storia di malacarne e notabili insospettabili. Lo rivela l’ex autista di Leoluca Bagarella, braccio destro di Riina, ai magistrati. L’uomo dei Corleonesi rivela «l’esistenza di una struttura “riservata” all’interno di ‘ndrangheta e Cosa Nostra, destinata a gestirne le relazioni e gli affari di maggior rilievo». Il leader del club dei “riservati” siciliani sarebbe stato proprio Bagarella. Era lui, dunque, a dialogare con i mammasantissima al di là dello Stretto.
E sarebbero stati proprio questi due “club” esclusivi a organizzare le riunioni in Calabria per progettare la stagione stragista. O meglio: Cosa nostra voleva tirare dentro anche la ‘ndrangheta. Ma l’unico dei boss calabresi che aveva dato la disponibilità era stato Franco Coco Trovato, capo indiscusso di Milano ma legato a doppio filo con il potere criminale reggino.
Ma se per le bombe il gotha della ‘ndrangheta ha fatto un passo indietro, per il post-stragi – è questa l’ipotesi su cui la procura di Reggio lavora da tempo – la storia ha preso una piega diversa. Perché è dopo gli omicidi eccellenti che ‘ndrangheta e Cosa nostra, ora in versione sommersa, ritrovano obiettivi comuni. Impunità e business. Un unico grande sistema criminale mafioso. Dove le differenze si assottigliano. Con l’obiettivo di spartirsi il Paese. E non solo.