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Considerazioni e programmi dell’Associazione Caponnetto per rendere più efficace la lotta alle mafie e far fronte alle carenze ed all’inadeguatezza dell’azione della politica e delle istituzioni

COLPE PER QUANTO RIGUARDA LA GRAVITA’ DELLA SITUAZIONE CRIMINALE IN PROVINCIA DI LATINA E NEL LAZIO:
QUELLA DI NON AVER DIFESO CON DETERMINAZIONE ESTREMA LE CONDIZIONI E LE RAGIONI DELLA LEGALITA’ E DI UNA MAGGIORE GIUSTIZIA DI FRONTE AD UN PROCESSO DI DEGRADO E DI SFILACCIAMENTO DELLE ISTITUZIONI.

Forse avremmo dovuto fare di più, inventarci qualcosa di nuovo, di più eclatante e determinato, di più innovativo, tale da indurre l’opinione pubblica, i media e gli apparati investigativi e giudiziari centrali ad accendere maggiormente i riflettori su una situazione che nei decenni è andata sempre più degradando.
Forse avremmo dovuto puntare la nostra maggiore attenzione, più che sulle attività dei clan che stavano invadendo il Basso Lazio, sulle non attività dei vecchi apparati investigativi e giudiziari che non hanno fatto appieno o non hanno fatto affatto quello che, invece, andava fatto.
Forse avremmo dovuto essere più attenti all’azione di contaminazione che le organizzazioni criminali andavano dispiegando nei confronti di pezzi di apparati pubblici e politici ed essere più inflessibili nelle nostre denunce.
E’, questa, una riflessione che proponiamo a tutti i nostri militanti ed amici perché per il presente e per l’avvenire si evitino gli eventuali errori, omissioni, carenze da noi fatti e si adottino tattiche e strategie più efficaci per contrastare le mafie.
Anche se, ormai, i danni sono stati fatti ed è estremamente difficile ridurre a dimensioni più accettabili, più umane e civili un “sistema” che e’ “il” sistema che regola la vita delle popolazioni della regione nella quale è
ubicata la Capitale del Paese e nella quale si concentrano tutti i grandi affari ed il Potere.
Avremmo potuto fare di più e meglio per bloccare un processo che con il tempo ha compromesso la vivibilità civile e democratica della regione piu’ importante del Paese?
Questa è la domanda che ci tormenta e che occupa i nostri pensieri a 15 anni dalla nascita dell’Associazione Caponnetto.
Ma credeteci – e questo non lo diciamo a nostra giustificazione -, noi abbiamo trovato sin dalla nostra nascita dei muri insormontabili dovuti soprattutto da una parte al nostro rifiuto di assoggettamento alla politica ed a queste istituzioni e dall’altra alla scelta da noi fatta di un modello di lotta alle mafie basato NON sugli slogan e sui “viva Falcone e Borsellino” (lasciamoli in pace nelle loro tombe e non macchiamone la memoria più di quanto non sia stata macchiata fino ad oggi) come fanno molti, per non dire i più, ma, soprattutto se non esclusivamente, su un’azione quotidiana di
“indagine” e di “denuncia”, nomi e cognomi di mafiosi, in particolare in giacca e cravatta, e di collaborazione operativa e affatto parolaia con le parti vive e capaci della magistratura inquirente e delle forze dell’ordine.
Per noi questa è l’antimafia che va fatta:
l’indagine, la denuncia e la proposta.
La proposta, per quanto attiene ai miglioramenti della legislazione in materia di lotta alle mafie ed alla corruzione, al superamento delle criticità e delle carenze, alla punizione dei comportamenti lesivi dell’immagine e del ruolo delle istituzioni democratiche.
Strategicamente abbiamo, tenendo conto dell’esiguità delle nostre forze determinata dalla gravosità e anche dalla pericolosità dell’impegno, che chiediamo ai nostri militanti, conseguente ad un lavoro in gran parte basato sulle “ricerche” e sulle “visure camerali” per individuare i mafiosi -, concentrato le nostre maggiori attenzioni sui punti della regione Lazio che ritenevamo i più “sensibili” ed aperti alle infiltrazioni mafiose:
il cassinate e il sud pontino, Ardea ed il litorale a sud della Capitale, Civitavecchia, il litorale a nord di Roma ed il Viterbese.
Inaspettatamente ci siamo trovati sotto il fuoco concentrico di varie parti politiche le quali evidentemente hanno reagito in tutti i modi ad una nostra “azione di disturbo degli “equilibri” che esse erano andate costruendo sin dai tempi del dopoguerra.
Quello che ci ha più sorpreso è stato il comportamento nei nostri confronti del PD e di SEL che sin dai tempi della “gestione Marrazzo” alla Regione Lazio, per non parlare di quella Zingaretti, hanno fatto del tutto per emarginare ed ostacolare l’Associazione Caponnetto, negandole perfino il diritto – riconoscendolo, invece, a sigle inconsistenti ed esistenti solo sulla carta – alla partecipazione ad organismi della medesima Regione preposti alla lotta alle mafie.
E, quando qualche volta si sono visti obbligati a convocarla a qualche riunione, come quelle che hanno riguardato, ad esempio, i “casi” del radicamento e delle attività mafiosi ad Ostia
ed a Civitavecchia, hanno tentato in tutti i modi di impedire ai suoi rappresentanti di parlare.
Un atteggiamento, insomma, di ostilità preconcetta ai nostri danni che la dice lunga sulla reale volontà di combattere nei fatti le mafie.
Si privilegia, così, un modello di antimafia esclusivamente parolaia ed inconcludente, benedetta dalla politica e dalle istituzioni e che non porti alcun contributo effettivo alla magistratura antimafia ed alle forze dell’ordine, che non intacca, pertanto, minimamente il processo di espansione e di radicamento delle mafie, non incidendo sulla qualità dell’impegno anche delle istituzioni competenti su questo versante in quanto non fa pervenire a queste quegli input e quelle sollecitazioni ad operare bene e con la maggiore efficacia.
E’ il cane che si morde la coda:
politica quanto meno distratta, se non in parte collusa come nei “casi” di Fondi (“inchieste “Damasco” e di Formia, inchiesta “Formia
Connection”) e, di conseguenza, istituzioni non zelanti attente ed attive (come nel caso del mancato scioglimento della vecchia amministrazione di Ardea).
Un’ostilità che ci è stata manifestata su più fronti ed in vari modi, accompagnata da massicci tentativi, per altro verso, di infiltrazione fra le nostre file non solo di soggetti che miravano a piegare la nostra Associazione ad interessi politici ed elettoralistici di una parte o dell’altra, ma addirittura di grossi nomi di famiglie camorristiche che mostravano un particolare interesse nei confronti della nostra Associazione evidentemente ritenuta da essi quella ” più pericolosa ” per il suo modo di fare antimafia basato non sulle chiacchiere ma sull’INDAGINE e sulla DENUNCIA, non generiche, ma con nomi e cognomi.
Le difficoltà cui ci siamo trovati di fronte nel nostro percorso sono state notevoli.
Eppure, malgrado ciò, possiamo vantare successi eccezionali che ci hanno meritato la citazione del nome dell’Associazione
Caponnetto anche in importanti atti giudiziari che hanno portato alla cattura di interi sodalizi criminali.
Decine sono state, inoltre, le segnalazioni da noi fatte e che hanno fornito importanti piste per azioni svolte e da svolgere.
Ma, insieme alle rose, ci sono anche le spine.
E queste sono costituite da insuccessi che provano quanto siano difficoltose le strade che noi percorriamo, oltre a quelle già indicate e che denotano quanto sia densa l’aria di ostilità che noi respiriamo.
Fra questi insuccessi noi registriamo – uno dei più eclatanti – il fallimento finora di dell’azione sviluppata sul territorio di Gaeta e del territorio circostante del sud pontino.
Gaeta non è una grande città, ma essa rappresenta, purttuttavia, uno dei più importanti snodi dei grandi affari e di fortissima attrazione delle mafie militari e politiche per la presenza di uno dei più importanti Porti del Mar Tirreno.
Il “pentito di camorra “Carmine Schiavone l’ha definita, insieme a tutto il sud
pontino, “provincia di Casale” per i fortissimi interessi che i Casalesi hanno su questo territorio.
Ed infatti, oltre alle presenze di soggetti molto sospetti di appartenenza soprattutto ai Casalesi ma anche ad altri clan e ‘ndrine massicciamente operanti in quasi tutti i settori economici – dal commercio alla ristorazione, dall’edilizia agli appalti ed i subappalti pubblici e privati, dalla portualità al trasporto dell’ortofrutta, dal settore alberghiero a quelli del tempo libero, del lattiero-caseario e via dicendo – si è andata costituendo un’area grigia in loco, indigena quindi, che legittima il sospetto di fortissime connivenze che magistratura, forze dell’ordine e Prefettura locali non hanno mai individuato e contrastato adeguatamente.
Apparati istituzionali scarsamente attivi e, a quanto è sembrato, anche scarsamente preparati, fatta qualche rarissima eccezione come quella, brevissima però, che ha riguardato la gestione del Prefetto Bruno
Frattasi subito trasferito da Latina al Ministero degli Interni.
Citiamo solamente due esempi che la dicono tutta sull’inadeguatezza degli apparati investigativi e giudiziari locali e che riguardano entrambi soprattutto Gaeta ma anche Fondi collegate entrambe da un’asse politico ed economico che si va vieppiù consolidando:
-il primo:
nella Relazione della Commissione di accesso al Comune di Fondi, Commissione costituita da alti funzionari ed Ufficiali delle tre forze dell’ordine oltre che da Vice Prefetti, sarebbero contenute, fra le altre, gravissime accuse nei confronti di un Dirigente di quel Comune che ricopre attualmente la carica di Sindaco di Gaeta.
Tale Relazione, inspiegabilmente “segretata”, è stata acquisita agli atti dei processi “Damasco” e, quindi, a conoscenza della Procura della Repubblica di Latina.
Orbene, dovere di questa era quello di dar vita ad un’indagine ed inizio ad un eventuale procedimento.
Accuse, si dice, molto serie, compresa quella di non aver chiesto i certificati antimafia ad imprese campane alle quali sono stati affidati lavori pubblici.
Invece, nulla è stato fatto e, a quanto risulta, sembra che il predetto Sindaco non sia stato chiamato da nessuno per fornire una qualsiasi spiegazione a tale suo comportamento.
Il secondo:
il Collaboratore di Giustizia Carmine Schiavone, fra le decine di dichiarazioni rilasciate a proposito dei traffici di rifiuti tossici che avrebbero interessato anche il Porto di Gaeta, ha fornito un elenco di targhe di camion che avrebbero trasportato tali rifiuti.
Dalla ricerca fatta presso gli Uffici competenti, sarebbe emerso che fra i proprietari di tali camion vi sarebbero cittadini di Itri e di altri comuni della
provincia di Latina che, peraltro, avrebbero fatto parte anche di un consorzio di autotrasportatori del Porto di Gaeta.
La logica avrebbe imposto la convocazione, ove le notizie fornite da Schiavone fossero risultate fondate, di queste persone per fornire spiegazioni in ordine all’identità dei committenti ed alle località in cui essi avrebbero trasportato questi rifiuti nocivi.
Anche per questo, invece, non ci sarebbe stata alcuna iniziativa da parte della magistratura e delle forze dell’ordine locali.
Questi sono l’ambiente ed il clima nei quali noi ci troviamo ad operare.
Noi ci siamo sforzati anche di indicare delle soluzioni al “problema Latina e Lazio” proponendo alcune idee – come quella della coodelega in base all’articolo 51 comma 3 bis del CPP della Procura Generale alle Procure territoriali in materia di reati associativi di natura mafiosa e di una seconda che prevede l’istituzione dei Comitati comunali contro la criminalità composti da magistrati, forze
dell’ordine ed associazioni antimafia EFFETTIVAMENTE presenti ed operanti sul territorio – per affrontare e risolvere il problema della ” QUALITA'” dell’azione di contrasto, ma nessun Comune del Lazio, a cominciare da quelli di Gaeta e Formia che inizialmente sembravano intenzionati ad istituirli, ci ha voluto dare ascolto.
Stiamo riprendendo in questo periodo il discorso sul “caso Fondi” perché riteniamo che su quel territorio sia stata scoperta solo la punta dell’iceberg e ci stiamo organizzando al meglio per affrontare quello della Campania e, sempre nell’ambito delle nostre possibilità, del Molise.
Ma, se altre persone volenterose ed oneste non si decideranno a venirci a dare una mano passando dalle lamentazioni ad un’antimafia operativa, pratica e senza blabla, considerata la mole del lavoro che c’è da fare e la scarsità dei mezzi e del personale a nostra disposizione (noi NON SIAMO FINANZIATI DA NESSUNO PERCHE’ NON VOGLIAMO ESSERE
CONDIZIONATI NE’ DA PARTITI E NE’ DA ISTITUZIONI), non potremo fare i miracoli.
Senza tenere conto del fatto che, essendo noi un’Associazione nazionale, dobbiamo, prima o poi, cominciare a dedicarci anche ad altre parti d’Italia, oltre alle regioni che curiamo ora!