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Connessione fra vicende Fastweb/Mokbel, Mambro/Fioravanti ed eversione nera /’ndrangheta/banda della Magliana?

ROMA – Un minimo comune multiplo, una pista, un interrogativo o forse solo una delle tante coincidenze della cronaca italiana. E ancora due nomi, una “coppia”, una storia che affonda le radici negli ultimi trent’anni di misteri irrisolti, di stragi di Stato ed eversione politica legata a pezzi deviati delle istituzioni.

Se qualcosa lega le due più complesse vicende di cronaca delle ultime settimane, lo scandalo Telecom Italia Sparkle – Fastweb e il brutale assassinio del penalista palermitano Enzo Fragalà, il collante non può che essere rintracciato nell’eversione nera, di oggi e di ieri. Collante “giornalistico”, almeno per il momento. Ma pur sempre di assonanza si tratta.

Da una parte un tale Gennaro Mokbel, ora in carcere, con amicizie altisonanti e simpatie naziste, presunto responsabile del riciclaggio di ingentissimi capitali illegali “provenienti da una serie di operazioni commerciali fittizie di acquisto e vendita di servizi di interconnessione telefonica internazionale”. Un faccendiere o un capo banda, gli inquirenti continuano a scavare senza sosta nella vita del  personaggio, che si vanta al telefono di aver messo di tasca propria più di un milione di euro per la liberazione di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, i due pluriergastolani, fondatori dei Nuclei Armati Rivoluzionari, responsabili della Strage di Bologna.

Dall’altra uno stimato avvocato penalista, Fragalà, ma anche un politico di navigata esperienza, che nelle file dell’Msi, di Alleanza nazionale e infine del Pdl, dedica gran parte della sua attività parlamentare e forense ai “processi politici”, in primo luogo a quelli che approdano alle condanne di Fioravanti e Mambro. Enzo Fragalà, convinto “innocentista” ed esponente di primo piano della naufragata commissione parlamentare Mitrokhin, viene aggredito fatalmente nella sua Palermo. Un brutale pestaggio realizzato nelle stesse ore in cui scattano le operazioni di polizia che fanno scoppiare il bubbone della  “truffa carosello”, del senatore Di Girolamo, dei legami con ‘Ndrangheta e neofascismo coltivati da Mokbel.

Gli amici Giusva e Francesca

Quest’ultimo ha alle spalle una lunga militanza politica e, secondo gli  inquirenti, è in contatto, «sia per telefono che di persona» con Francesca Mambro («indicata come la Dark») e Giusva Fioravanti «anche con rilevanti sostegni economici». Un legame che sembra trovare una prima conferma nelle intercettazioni telefoniche di Mokbel, quando parlando con Carmine Fasciani, boss di Ostia, si vanta dicendo che i due della ‘coppia nera’: “Li ho tirati fuori tutti io …tutti con i soldi mia, lo sai quanto mi so’ costati?….un milione e due…un milione e due…”.
Fioravanti nega tutto con poche e semplici parole: “Non è vero e penso che i nostri avvocati, che non hanno preso una, lira si offenderebbero al solo pensiero”. L’ex terrorista traccia poi un profilo del personaggio in questione, prendendone di fatto le distanze. Quel Mokbel, afferma Fioravanti, non è altro che un “mascalzoncello di quartiere”. Se per il gip di Roma è il “capo indiscusso dell’organizzazione criminale” coinvolta nell’inchiesta del maxi-reciclaggio, Giusva lo ricorda invece come “un ragazzino sbandato, avvezzo alla violenza e alle droghe: un capellone con idee anarchiche fino a 20 anni, poi estremista di destra, che si autodefiniva naziskin, un ragazzetto nato negli anni ’60 nella zona di Piazza Bologna da una famiglia piccolo borghese, uno che militò nella ‘gioventù nera’ romana” al principio degli anni di piombo. Uno da cui stare alla larga, insomma.

Ma sempre secondo la ricostruzione degli inquirenti, non bisogna andare invece troppo lontano nel tempo per rintracciare le prove del rapporto di amicizia che lega la coppia Mambro-Fioravanti e quella Mokbel-Ricci (Giorgia Ricci è la moglie di Mokbel).

Sarebbero, infatti, decine le telefonate intercettate recentemente tra le due famiglie. Per esempio il 3 luglio 2007 Giorgia Ricci riceve una telefonata dalla Mambro, che chiede informazioni sul tesseramento per l’adesione ad Alleanza federalista (una sorta di Lega del Sud), il progetto politico di Mokbel. Mambro: “Ma i miei parenti li volete?”. Ricci: “Perché no”. Poi il 1 ottobre 2007, a movimento già lanciato, Giusva fa anche da consulente politico al telefono con la Ricci: devi dire «a Gennaro di prendere una rubrica fissa su un giornale vero, tipo l’Opinione [diretto da Arturo Diaconale ndr.], anche se piccolo, perché le cose devono uscire anche per iscritto». Mambro, invece, si dilunga a parlare di un articolo da scrivere sul nuovo partito. La Ricci le dice di sottolineare il carattere federalista del movimento, ma Francesca  la stoppa: «Io non lo faccio il discorso sul federalismo perché se tu gli cominci a parlare del federalismo subito fanno un discorso… federalismo uguale Bossi».

La massoneria nel caso Mokbel

Qui nascono già i primi interrogativi. Innanzitutto sulle ragioni che spingono Fioravanti a prendere – oggi – le distanze da quel Mokbel (“mascalzoncello di quartiere”) che, invece, stando alle intercettazioni ed alle parole degli inquirenti, sembra essere un amico di vecchia data. Un amico cui Giusva consiglia di prendere una rubrica fissa in un giornale “tipo l’Opinione”, la testata ‘cavouriana’ diretta da Diaconale che da sempre dedica ampio spazio al dibattito sulla/della massoneria italiana. Massoneria che, nella vicenda Mokbel viene citata più volte, a partire da quella telefonata del 25 luglio 2007, quando Gennaro dice ad un amico: «Alle 4 e mezzo aspetto un 33˚ grado». In gergo massonico è il più alto.

Dunque politica, istituzioni, società fittizie e non, eversione fascista e massoneria, oltre che i soliti servizi segreti deviati. Ma nella vicenda Mokbel c’è anche dell’altro, c’è la malavita organizzata calabrese ed i rapporti con personaggi della storica mala romana: la famosa banda della Magliana.

Ed è proprio quell’Antonio D’Inzillo, arrestato nel 1994 con l’amico Mokbel (un sms del 14 maggio 2005 inviato da una cabina telefonica pubblica alla moglie Ricci, dice: «Mokbel finanzia in Africa la latitanza di A. D’Inzillo»), ex appartenente della “bandaccia” e anche lui immerso fino al collo nelle scorribande dell’estrema destra capitolina, che ci serve da “aggancio” per l’altra vicenda: il misterioso omicidio Fragalà.

Il pestaggio per eliminare i “traditori”

Dalla storia di D’Inzillo, responsabile tra l’altro dell’eliminazione del boss Enrico De Pedis, detto “Renatino”, D’Inzillo ancora oggi ricercato nonostante la presunta morte in latitanza, estraiamo un frammento di vita. Uno stralcio di passato che richiama alla mente la più stretta attualità.

Arrestato a soli sedici anni (è il 1979) per il coinvolgimento nell’omicidio, per altro sfociato in un tragico equivoco, dell’avvocato “traditore” Giorgio Arcangeli, in questura D’Inzillo scoppia a piangere e vuota il sacco. Anche in questa vicenda, Giusva Fioravanti è un protagonista di primo piano. La settimana prima di quel 17 dicembre 1979, in cui a morire è un innocente Antonio Leandri, scambiato per l’avvocato, D’Inzillo e Bruno Mariani (altro esponente dell’estrema destra capitolina) avevano aspettato per più di un’ora Giorgio Arcangeli in strada, con l’obiettivo di pestarlo, salvo il fatto che poi i piani erano cambiati.

‘Pestaggio’, una modalità di eliminazione dei “traditori” che poco si confà alle pratiche mafiose.

Di brutale ‘pestaggio’, forse con un bastone di legno, muore dopo tre giorni di agonia il consigliere comunale e noto avvocato palermitano Enzo Fragalà. Lui, da sempre esponente della destra parlamentare, nel 1994 diventa deputato alla Camera, così come nel ’96 e nel 2001, sempre nei banchi di Alleanza Nazionale. Poi nel 2006 la mancata ricandidatura e il declassamento nel 2007 a semplice consigliere comunale a Palermo con il Pdl, forse anche a causa del naufragio di quella commissione Mitrokhin di cui Fragalà è uno dei principali animatori.

Il ruolo dell’avvocato nella commissione Mitrokhin

Come avvocato difende da sempre i “camerati” finiti nelle maglie della giustizia per le stragi e gli attentati degli anni di piombo, tra i quali quel Carlo Cicuttini, condannato per la strage di Peteano. Ma soprattutto concentra la sua attività politico-forense nel dimostrare l’innocenza della ‘coppia nera’ in merito alla strage di Bologna. Tornano, dunque, in ballo ancora una volta Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Attorno a questa strage, come era già avvenuto per la Strage di piazza Fontana nel 1969, si sviluppano affermazioni, controaffermazioni, piste vere e false. Fragalà ha una sua “verità” sulla tragedia e si batte per la riapertura del processo per i due ex Nar.

Lo fa nell’ambito della commissione Mitrokhin, in cui lui è capogruppo di Alleanza Nazionale, e lo fa in Aula con numerose interpellanze e atti. Il tutto si chiude nel nulla e Mambro e Fioravanti torneranno liberi, ma da colpevoli. Fragalà tornerà, invece, nella sua città, lasciando Montecitorio per la sala consiliare di Palermo.

Il penalista viene, dunque, pestato a morte da un uomo incappucciato. Dell’eversione nera, di cui Fragalà si è occupato lungamente, si torna a parlare proprio in quelle stesse ore, in relazione ad un tale Mokbel, presunto riciclatore di grandi fortune e contiguo da sempre agli ambienti neofascisti.

Mokbel si vanta al telefono di aver liberato gli amici Giusva e Francesca. Fragalà non c’era riuscito.

Tommaso Vaccaro

(Tratto da Dazebao)