Cerca

CON UN NUGOLO DI EMENDAMENTI  AL MILLEPROROGHE STANNO TENTANDO DI  DEPOTENZIARE IL RUOLO DELLA CORTE DEI CONTI

Le mani della politica sulla Corte dei conti

08 FEBBRAIO 2020

Appello al premier Conte: diversi emendamenti al decreto Milleproroghe puntano a depotenziare il ruolo dei magistrati contabili

DI SERGIO RIZZO

ROMA – L’Italia è un Paese così litigioso che anche i conflitti tra istituzioni sono costanti e continui. Non capita però tutti i giorni che una intera magistratura alzi così compatta la voce con il governo, com’è avvenuto giovedì 6 febbraio. Quando al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è arrivata una lettera firmata da Luigi Caso, il presidente dell’associazione dei magistrati della Corte dei conti, che sia pure ben mascherata da un linguaggio formale e garbato trasuda indignazione.

In quelle due pagine si fa riferimento a ciò che sta accadendo con la conversione in legge del decreto Milleproroghe, dov’è apparso un nugolo di emendamenti di provenienza leghista e della destra. Proposte di modifica che non c’entrano un fico secco con la materia del provvedimento, cioè la proroga di qualche scadenza non rispettata, ma hanno il solo obiettivo di tagliare le unghie ai giudici contabili.

Ce n’è uno, per esempio, che propone di impedire la partecipazione dei magistrati della Corte alle commissioni tributarie. E un altro che prevede l’ingresso nei ruoli della magistratura contabile di 25 persone nominate dalla Conferenza delle Regioni senza concorsi né selezioni. Un modo della politica per interferire sulle decisioni della Corte dei conti, con l’evidente impronta del conflitto d’interessi, dato che quei giudici controllano anche i bilanci delle Regioni.

Ma non sarebbe nemmeno una novità particolare. Tentativi politici di limitare i poteri di chi deve vigilare sui conti pubblici spuntano nelle pieghe delle leggi a ogni occasione; anche se poi raramente vanno in porto. La politica, peraltro, ha voluto mettere pesantemente i piedi anche nell’organo di autogoverno dei giudici contabili. L’unico, fra tutte le magistrature, nel quale i membri laici nominati dai partiti hanno un peso identico a quello dei membri eletti dai consiglieri della Corte: quattro contro quattro.

Stavolta però c’è una novità non da poco che ha fatto infuriare i magistrati contabili. Uno di quegli emendamenti presentati da una nutrita pattuglia salviniana è stato fatto proprio dal governo. E non è proprio marginale. Oggi la competenza consultiva sulla finanza degli enti locali spetta alle sezioni regionali della Corte: l’emendamento stabilisce che quella funzione venga d’ora in poi affidata a un’unica sezione centrale, a Roma. In più assegna alle Regioni e ai Comuni la facoltà, e non l’obbligo, di sottoporre al controllo preventivo delle sezioni della Corte gli appalti e i contratti che oltrepassano le soglie comunitarie, nonché le varianti in corso d’opera di valore superiore al 10% dell’importo della gara.

Una cosa che nella lettera del 6 febbraio con la quale i magistrati chiedono un incontro urgente a Conte viene definita “del tutto asistematica” perché affida il potere di azionare i controlli a chi dev’essere controllato. Nella sostanza, è come abolire i controlli.

Centralizzare a Roma la competenza sulla finanza locale, dice la motivazione ufficiale, servirebbe a evitare interpretazioni diverse sulle stesse materie da parte delle sezioni regionali. E certo è un problema che può esistere, anche considerando certi pronunciamenti piuttosto curiosi, come quello di settembre della sezione Lombardia secondo cui i Comuni non possono affidare incarichi di progettazione di un’opera pubblica se non ci sono già tutte le risorse stanziate per realizzare la medesima opera. Con molte opere che non si fanno perché quando arrivano i soldi non ci sono i progetti.

Ma la soluzione di questo problema centralizzando la funzione, secondo i magistrati, è ben poca cosa rispetto alla grave conseguenza del depotenziamento delle strutture territoriali di controllo. Di più: la lettera ricorda a Conte che una legge del 1939, tuttora in vigore, stabilisce “che ogni qualvolta si voglia intervenire sulle attribuzioni della Corte dei conti”, bisogna acquisire il parere delle sezioni riunite della Corte medesima. “Si tratta – scrive Caso – di norma posta non già a tutela della Corte stessa ma finalizzata a conseguire il miglior risultato in termini di qualità ed efficacia della proposta normativa”. Cosa che a quanto pare nella vicenda in questione è stata invece accuratamente evitata.

fonte:www.repubblica.it