’Espresso, 18 settembre 2020
Comuni sciolti al voto tra giunte in mano alla mafia e i miliardi del Recovery fund
Una su cinque delle 1200 giunte locali da rinnovare era commissariata dal Viminale. Ventuno erano infiltrate dal crimine organizzato. Mentre infuria la battaglia fra chi vuole una revisione della legge e chi denuncia gli interventi pilotati dai professionisti dell’Antimafia
DI GIANFRANCESCO TURANO
Nell’appuntamento elettorale del 20 e 21 settembre, dominato dal referendum e dalle sei nuove giunte regionali, passa quasi inosservata la vicenda dei ventuno comuni che tornano al voto dopo essere stati sciolti per infiltrazioni del crimine organizzato. Eppure intorno a queste amministrazioni, e a quelle che resteranno più a lungo in mano ai commissari, è in corso una battaglia fra riformisti e riduzionisti che ha sullo sfondo l’altro grande evento dell’autunno: l’inizio della trattativa sul piano di investimenti del Recovery Fund.
Molti Comuni, l’anello di base della democrazia, erano in crisi finanziaria prima del virus e molti, soprattutto al Sud, saranno chiamati a gestire un fiume di denaro messo a disposizione dall’Unione europea e, dopo anni di difficoltà anche nell’uso dei fondi europei ordinari. Sapranno farlo? E con quali delle garanzie antimafia che l’Ue giustamente richiede? Ed è sufficiente mandare a casa giunta e consiglieri quando il potere criminale può produrre metastasi nel tessuto, quasi inamovibile, di funzionari e dirigenti?
Sul fronte riformista, c’è chi pensa ad aggiornare una legge che compirà trent’anni nel 2021 e che ha mostrato più di un caso di cattivo funzionamento. Sullo schieramento opposto dei riduzionisti, molti attaccano uno strumento che sposta il potere del popolo in mano ai prefetti e sembrano sottovalutare l’impatto distruttivo delle mafie sulla volontà democratica.
Buona fede o mala fede, il problema esiste. Ad aprile, nel pieno della chiusura da virus che i nemici degli scioglimenti hanno usato gridando alla diserzione del commissario in remoto, il presidente della commissione antimafia siciliana Claudio Fava ha parlato di «uso disinvolto degli scioglimenti dei Comuni per mafia» e ha rievocato il sistema Montante, l’ex leader regionale degli industriali che dai primi di luglio affronta il processo di appello dopo una condanna in primo grado a quattordici anni per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.
EPIDEMIA CONTRO MALE ENDEMICO
I commissariamenti per infiltrazioni del crimine organizzato sono una minoranza. I motivi di scioglimento, previsti dalla legge del 1991, sono undici e vanno dalla morte del sindaco alla sfiducia alla giunta, dalle irregolarità elettorali alle dimissioni di consiglieri fino ai problemi di bilancio.
Su 1183 amministrazioni comunali al rinnovo nel terzo fine settimana di settembre, il 19,5 per cento (231) è commissariato. Altri quaranta Comuni in mano all’amministrazione prefettizia non andranno al voto per un complesso di 271 scioglimenti sull’intera rete nazionale, fatta da 7903 Comuni.
Pur minoritario, lo scioglimento per mafia rimane il caso traumatico per eccellenza, quello che mette in discussione l’esistenza della democrazia nelle zone, non necessariamente al Sud, dove il crimine diventa potere legislativo e gli eletti burattini.
Neppure il Covid-19 ha fermato l’ondata di commissariamenti. Nel 2020 i prefetti hanno mandato a casa quattro amministrazioni calabresi (S. Eufemia di Aspromonte, Cutro, Pizzo, Amantea), due siciliane (Partinico, Maniace), una nella città metropolitana di Napoli (S. Antimo), una nel leccese (Scorrano). La nona giunta si trova nell’unico Comune del centro-nord al momento sciolto per infiltrazioni criminali. Saint-Pierre, pochi chilometri a ovest di Aosta, è il quinto stop imputabile alla ’ndrangheta sui nove ordinati quest’anno dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.
Secondo i dati che Openpolis aggiorna mensilmente dal Viminale e dalle Camere con la collaborazione di Giulio Marotta, la ’ndrangheta è attualmente responsabile di 19 scioglimenti contro i 13 della Sicilia, gli otto della Puglia, i sei della Campania e Scanzano Jonico in Basilicata. A questo elenco vanno aggiunte due aziende sanitarie (Reggio e Catanzaro). Lo stesso provvedimento è toccato all’Asl 1 di Napoli a fine maggio.
Anche la serie storica non lascia dubbi su quale sia l’organizzazione più pervasiva. Su 349 scioglimenti per mafia la Calabria primeggia con 123, davanti alla Campania (110) e alla Sicilia (84). La provincia più infiltrata è Reggio con 555 mila abitanti e 70 scioglimenti incluso quello del capoluogo, seguita da Napoli che ha oltre tre milioni di abitanti, Caserta (900 mila residenti) e Palermo che ha una popolazione della sola area urbana maggiore dell’intera area metropolitana della città sullo Stretto. Il massimo di commissariamenti (34) risale al 1993, quasi il doppio dell’anno scorso (19).
Dal 1991, il primo anno di applicazione della legge, undici regioni italiane hanno conosciuto almeno uno scioglimento per infiltrazioni criminali. Nel Lazio è capitato a Nettuno, in provincia di Roma. In Piemonte a Bardonecchia, Leinì, Rivarolo. In Lombardia a Sedriano (Milano), in Liguria a Lavagna nell’area metropolitana di Genova.
LA MAFIA ESISTE PERÒ AL NORD
Il record assoluto di scioglimenti spetta a Corato ma nessuno dei quattro commissariamenti del centro barese è dovuto alla criminalità al contrario di quanto accade con il record di tre interruzioni che tocca a dieci comuni calabresi (Lamezia Terme, Briatico, Limbadi, San Ferdinando, Gioia Tauro, Taurianova, Roccaforte del Greco, Melito Porto Salvo, Africo e Platì) più uno siciliano (Misilmeri) che ha un’amministrazione regolare dal 2014 guidata dal centrosinistra di Rosalia Stadarelli.
Molte di queste località andranno alle urne in autunno. Alcune escono da lunghi periodi di amministrazione prefettizia. È il caso di Platì, il comune dell’Aspromonte che con San Luca (due stop per ’ndrangheta) e con il santuario di Polsi chiude un triangolo ad altissima densità mafiosa.
A Platì, che l’anno scorso si è vista prorogare di sei mesi la gestione commissariale con decreto di Matteo Salvini, si candidano Pietro Marra e Rosario Sergi, già eletto quattro anni fa contro Ilaria Mittiga, figlia di un sindaco missino, Francesco, arrestato per mafia nel 2003, prosciolto e risarcito. Nel 2016 Platì aveva visto il fallimento del progetto di Matteo Renzi che alla Leopolda, da segretario nazionale, aveva lanciato la candidatura Anna Rita Leonardi contro il muro di indifferenza dei ras locali. Il comune aspromontano ha un record di dieci anni consecutivi (2006-2016) in mano ai commissari e anche la giunta Sergi è durata meno di due anni, fino alle dimissioni in blocco di mezzo consiglio comunale.
Il funzionamento disuguale degli scioglimenti ha aperto la strada al discorso riduzionista. Quattro anni fa l’ex sindaco e attuale candidato Sergi dichiarò: «A Platì esiste la mafia, come a Roma, come a Milano e come in altre città».
Che le organizzazioni criminali puntino al giro d’affari delle metropoli è un’ovvietà. Che si possa paragonare il livello di penetrazione esistente nelle aree dominate dalle mafie con quello di Roma o di New York è un ragionamento che rischia di scivolare nel negazionismo: se la mafia è dovunque, bisogna commissariare tutti.
L’ASSE CUTRO-BRESCELLO
Fra gli scioglimenti del 2020 c’è Cutro, il comune in provincia di Crotone noto per le imprese criminali dei Grande Aracri e per il suo gemellaggio con Brescello, il paese del reggiano dove centinaia di cutresi sono emigrati. L’ex ministro ed ex sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, è stato redarguito nel verdetto del processo “Aemilia” per il suo viaggio elettorale nel paese che sovrasta lo Jonio insieme ad altri due candidati (Fabio Filippi e Antonella Spaggiari).
Cutro è stata sciolta all’inizio di agosto e affidata al prefetto in pensione Domenico Mannino in seguito all’operazione “Thomas”, guidata dalla Dda di Catanzaro, contemporaneamente a S. Eufemia, investita dall’operazione Eyphemos della Dda reggina che ha portato all’arresto del sindaco Domenico Creazzo per voto di scambio con le cosche.
A Cutro è collegato indirettamente un altro evento di cronaca. Pochi giorni fa a Reggio Emilia gli eredi di Ignazio Salvo, esattore di Cosa nostra, hanno chiesto il commissariamento giudiziario per la loro Lg costruzioni finita in lista nera proprio per i suoi rapporti con uomini del clan Grande Aracri di Cutro.
Il commissariamento giudiziario è una sorta di male minore rispetto all’interdittiva antimafia disposta dal prefetto, una delle misure di contrasto alle infiltrazioni più contestata da alcuni circuiti imprenditoriali. Il decreto legislativo sulle interdittive del 2011, il cosiddetto Codice antimafia, che rischiava a volte di uccidere l’impresa penalizzando lavoratori e creditori, si è dotato di uno strumento introdotto nel 2017. Con l’articolo 34 bis, è possibile affidare l’azienda a un commissario indicato dall’autorità giudiziaria in modo da proseguire le attività di gestione senza toccare l’assetto della proprietà nel presupposto che l’infiltrazione sia occasionale.
BUROCRAZIA CRIMINALE
Maria Laura Tortorella, candidata a sindaco alle elezioni di Reggio Calabria, ha una lunga esperienza sul campo. Laureata in economia ha lavorato anni nelle terne prefettizie a partire da Rizziconi, sulla Piana di Gioia Tauro.
«Il commissariamento», dice, «è uno strumento validissimo che però richiede competenza e amore per il territorio. È giusto essere aperti alle riforme, come si è fatto per le interdittive che a volte sono state male utilizzate ma spesso hanno riaccompagnato le imprese alla normalità. Va sempre ricordato che un’impresa criminale toglie spazio a un’impresa sana».
Il tema è quello della macchina amministrativa che, una volta infiltrata, risulta difficile da sanificare anche per il sindaco più motivato. Rizziconi è finita sui giornali nazionali a novembre del 2011 quando la Nazionale guidata da Cesare Prandelli ha tenuto un allenamento su un campo sottratto al patrimonio della ’ndrangheta. Nell’ottobre di cinque anni dopo il comune della Piana è stato di nuovo sciolto su provvedimento del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, fino all’autunno 2018 quando è stato eletto Alessandro Giovinazzo, ex presidente del consiglio comunale sciolto nel 2016.
Nella parte centrale della Calabria è complicata la situazione di Pizzo. Il comune era guidato fino a dicembre 2019 da Gianluca Callipo, solo lontano parente di Filippo, industriale del tonno e candidato perdente del centrosinistra alle regionali di gennaio. Il 19 dicembre 2019 l’inchiesta Rinascita Scott, guidata dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, che l’ha definita «la più grande operazione antimafia dopo il maxiprocesso di Palermo», ha portato Callipo agli arresti seguiti da dimissioni e commissariamento.
Dopo che la Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza di arresto di Callipo, dopo Ferragosto un quartetto di ex consiglieri e assessori si è rivolto al Tar del Lazio per ottenere la revoca del provvedimento prefettizio. Anche per Scanzano (Matera) il Tar ha accolto il ricorso dell’ex sindaco Raffaello Ripoli e ha chiesto al Viminale di integrare i documenti coperti da omissis.
L’intervento dei tribunali amministrativi si è già verificato al Nord. Lo scioglimento di Ventimiglia è stato annullato nel 2016 e il sindaco forzista Gaetano Scullino, molto vicino a Claudio Scajola, è stato assolto dalle accuse di mafia ed è tornato in carica un anno fa. Nel 2013 il Consiglio di Stato aveva cancellato il commissariamento per mafia deciso per un altro comune ligure, Bordighera. In totale, in Italia ci sono state 25 revoche su 349 provvedimenti, il 7 per cento.
IL GIALLO DI RACALMUTO
La ricerca di una revolving door fra politici collusi e amministratori ha portato a frizioni nella maggioranza di governo. Su Briatico, comune del vibonese arrivato al terzo scioglimento per infiltrazioni criminali, il presidente grillino della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra ha presentato lo scorso 23 giugno un’interrogazione al ministro Lamorgese. Secondo Morra, i commissari avrebbero considerato l’assunzione come dirigente dell’ex sindaco Andrea Niglia, condannato in primo grado a due anni per corruzione aggravata dal metodo mafioso. A luglio il caso si è sgonfiato perché il posto da dirigente era già stato assegnato a un’altra persona e non a Niglia.
Il braccio di ferro fra le istituzioni è continuato in Sicilia sulla scia della denuncia di Fava. Un anno e mezzo dopo lo scioglimento del comune di Scicli per mafia il sindaco Franco Susino (Pd), processato per concorso esterno, è stato assolto dal tribunale di Ragusa. Oggi ai più strenui difensori di Susino, oltre al Pd, si è aggiunto Salvo Sallemi, responsabile provinciale di Fdi, che da destra chiede una revisione della normativa e punta il mirino sulla vicenda, a suo dire analoga, che ha colpito l’amministrazione di Vittoria.
Il caso Scicli ha avuto strascichi. Il 21 aprile il senatore Davide Faraone, ex coordinatore regionale democrat passato con Italia viva, ha presentato un’interrogazione che, oltre alla cittadina del ragusano, mette in dubbio la legittimità dei commissariamenti di due comuni agrigentini. Uno è Siculiana, il paese da dove è partita l’avventura internazionale della cosca Caruana-Cuntrera. L’altro è Racalmuto dove il prossimo 8 gennaio si celebreranno i cento anni dalla nascita di uno dei più grandi scrittori europei del Novecento, Leonardo Sciascia, che ha spiegato all’Italia la mafia e, a chi ha voluto starlo a sentire, l’antimafia.