Fosse stato un fatto episodico, uno potrebbe pensare che l’assenza di tutti gli amministratori pubblici e dei responsabili politici dei vari partiti al Convegno antimafia di Formia possa essere considerato imputabile alla qualità di basso profilo del ceto politico pontino e, quindi, al disinteresse rispetto ai grandi problemi del territorio.
Ma, trovandoci, invece, di fronte ad un comportamento costante e consolidato, il sospetto di trovarci davanti a qualcosa di più grosso ed inquietante si rafforza sempre di più ed appare sempre più che fondato.
La presenza al Convegno di Formia è stata massiccia ed ha superato le 200-250 presenze, ma si è trattato di persone giunte in gran parte da fuori della provincia di Latina ed anche da fuori del Lazio, alcune addirittura da Milano.
Gli unici amministratori pubblici della provincia di Latina presenti sono stati:
2 consiglieri comunali di Fondi, 1 di Sperlonga, 1 di Formia, 1 di Terracina, tutti di opposizione e, comunque, vicini all’Associazione Caponnetto e, qualcuno di essi, iscritto.
Punto.
Sindaci, assessori, consiglieri provinciali e regionali, parlamentari, segretari politici di tutti gli schieramenti, di destra, di centro, di sinistra, tutti assenti.
Gravissima l’assenza totale del sindaco e degli amministratori di Formia, la città ospitante.
Gravissima, soprattutto, l’assenza totale degli esponenti del centrosinistra di Formia e di Gaeta, la città, quest’ultima, che dista da Formia appena 6 chilometri.
Un’assenza che già abbiamo registrato in precedenti occasioni e che, quindi, appare drammaticamente sistematica.
Indifferenza dovuta ad ignoranza?
Ad insensibilità rispetto ai problemi veri del territorio?
O a che altro?
La constatazione di tale comportamento apre interrogativi inquietanti.
Noi possiamo essere fieri dei risultati del nostro modo di fare antimafia e di aver colpito il cuore dei problemi.
Siamo riusciti a svestire il re ed a metterlo nudo davanti all’opinione pubblica.
Rifiutando sin dalla nostra nascita di fare dell’antimafia un esercizio accademico (“ l’antimafia delle commemorazione e della retorica”, alla quale abbiamo contrapposto quella “ dell’investigazione e della denuncia”) abbiamo messo la gente di fronte ai FATTI, diradando le cortine fumogene che impediscono di vedere la realtà.
Le analisi sociologiche, le ricostruzioni storiche, le anamnesi ognuno se le fa per conto suo o, comunque, le riserva a momenti di confronto culturale che, pur importanti, non possono rappresentare l’azione prioritaria ed esclusiva di un’associazione di attacco qual è la nostra.
L’”antimafia dei fatti”, che scava, indaga, denuncia, nomi e cognomi, in costante collaborazione con le forze dell’ordine e la magistratura inquirente.
Questo siamo stati, questo siamo e questo vogliamo sempre più essere.
OPERATIVI.
Non del parolai che dicono di voler fare antimafia solo per utilizzare l’antimafia per fini politici o magari anche per business (quanti “consulenti”, ”esperti” lautamente pagati dalle Commissioni delle Regioni, delle Province ecc. ecc.!).
Si parla di Borsellino a spron battuto ed in ogni occasione, ma questi signori non ricordano mai quello che egli disse in un convegno a Venezia durante il quale denunciò a chiare note che è UN ERRORE IMPERDONABILE PENSARE DI SCONFIGGERE LE MAFIE ACCOLLANDO TUTTO IL PESO DELLA LOTTA AD ESSE SULLE SOLE SPALLE DI MAGISTRATURA E FORZE DELL’ORDINE.
Fare antimafia significa soprattutto individuare i mafiosi, uno per uno, e denunciarli per neutralizzarli.
Fare antimafia significa scovare e colpire soprattutto politici e servitori dello Stato corrotti e collusi con i mafiosi o essi stessi mafiosi.
Organici o contigui, il che è lo stesso!
L’ostilità, quindi, nei nostri confronti, la rabbia che ribolle in tutti coloro che hanno gli scheletri negli armadi e che, quindi, preferirebbero che anche noi ci limitassimo a fare un’antimafia parolaia e che non possa colpirli direttamente, sono evidenti e potrebbe essere questa la causa, o, comunque, una delle cause principali della fuga sistematica dai nostri convegni.
Come, inoltre, altra causa di tale fuga potrebbe essere la presenza continua e quasi esclusiva, fra i relatori – è questa la tipicità dei nostri incontri-, di magistrati, esponenti delle forze dell’ordine e giornalisti d’inchiesta, di persone, cioè, che conoscono a fondo fatti… e persone.
Comunque la si voglia analizzare, l’assenza di tutta questa gente appartenente ai mondi della politica e delle istituzioni ci pone di fronte ad una realtà inquietante:
A QUESTA GENTE PIACE UN’ANTIMAFIA FATTA DI PAROLE MA NON QUELLA DEI FATTI, DELL’INDAGINE E DELLA DENUNCIA!!!
Fuggono, latitano.
Perché?
E’ quanto ognuno di noi si deve impegnare da oggi in avanti a scoprire, se vogliamo effettivamente combattere le mafie.
I mafiosi più pericolosi non sono tanto quelli noti e stranoti da 40-50 anni, attenzionati e superattenzionati, ma, soprattutto, quelli non noti, i “colletti bianchi”, quella “borghesia mafiosa” che passa per gente perbene, il sindaco, l’assessore, il consigliere, il direttore di banca, il funzionario di polizia, qualche magistrato, il deputato, il senatore, gli insospettabili insomma.
A rifletterci bene – e qui si rivela il basso profilo mentale e culturale di tante di queste persone – il comportamento di costoro rappresenta una vera e propria ammissione di colpevolezza, una sorta di professione di fede e di appartenenza, perché chi è contro l’antimafia vera è oggettivamente o soggettivamente un mafioso.
E’ su costoro, quindi, che bisogna accendere i riflettori.
Uno per uno, perché la mafia è proprio in quella “area grigia”, zuccherosa, della società pontina che fa da sponda ed alimenta l’organizzazione criminale.
Quando noi diciamo che i mafiosi non sono solamente quelli che “ vengono da fuori”, ma anche, se non soprattutto, persone che sono nate e cresciute in provincia di Latina e nel Lazio.
Le più pericolose perché sono quelle che… ricoprono posti e, forse, ruoli importanti.
Le inchieste giudiziari fatte finora in provincia di Latina –la “Formia Connection” di Formia e le “Damasco” di Fondi –hanno messo a nudo già alcuni soggetti politici.
Altri ancora ce ne sono nei vari archivi di polizia.
E’ necessario che magistrati solerti e volenterosi rileggano bene le carte e riconducano il tutto ad un unicum.
Su altro ancora bisogna indagare.
Tanto altro, se vogliamo effettivamente combattere le mafie.
Noi siamo sempre pronti a collaborare, come chiedeva appunto Paolo Borsellino.