L’incanto dei santi e la contesa su San Giovanni. Le storie di Sant’Angelo di Gerocarne, Stefanaconi, Sant’Onofrio. Quando il boss disse: «Non mi toccate la festa». Mentre il prete che voleva ripristinare le regole fu guardato dai fedeli come un eretico
di Pietro Comito 10 aprile 2023
«Non gliel’avete spiegato al prete come si fa la processione?», gridò tronfio alla folla il boss Fortunato Patania. Quindi, il capobastone con tono minaccioso aggiunse: «Non mi toccate la festa altrimenti ve la facciamo pagare…». Beh, forse non disse testualmente così, ma questa era la sintesi, sufficientemente efficace, che un parroco coraggioso, don Angelo Salvatore Facciolo, fece ai carabinieri. Il prete appena arrivato – dopo anni in cui a Sant’Angelo di Gerocarne, nelle Preserre vibonesi, era la malavita a comandare feste religiose e processioni – si mostrò risoluto nel restituire la pietà popolare ed i suoi santi ai fedeli, attraverso la costituzione di un comitato festa.
“L’eretico” nel paese del clan
Quando per la prima volta, durante la santa messa, don Angelo disse che tutto, da lì in avanti, si sarebbe dovuto svolgere «secondo giuste regole», dai banchi fu guardato con stupore e perplessità, quasi fosse lui quello sbagliato. Il giorno dopo trovo l’auto, parcheggiata davanti alla chiesa, con tutti e quattro gli pneumatici squarciati. Un avvertimento, il primo, a lui che per far svolgere le processioni intendeva dare le necessarie comunicazioni alle autorità di Pubblica sicurezza; a lui che voleva pagare l’occupazione del suolo pubblico e, pensate un po’, la Siae… L’eretico, nel paese dei Patania, si scoprì, dunque, essere prete: così nessuno aderì al comitato festa per le processioni, la cui organizzazione restava, pertanto, prerogativa esclusiva del capomafia. I carabinieri sapevano tutto o, quantomeno, avevano forti sospetti che le cose da quelle parti funzionassero così. Per questo vollero sentire anche il parroco, dopo che accadde qualcosa che avrebbe segnato uno spartiacque temporale e sociale.
Quella del 2011 fu l’ultima estate di Fortunato Patania, che il 18 settembre verrà ammazzato dalla pistola impugnata da un killer destinato a divenire un poderoso collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato, all’epilogo di una missione di morte ordita dal clan dei Piscopisani. I militari dell’Arma, che indagavano sulla catena di omicidi correlati alla faida innescatasi nel Vibonese, s’introdussero così in meandri fino ad allora inesplorati: il controllo mafioso delle manifestazioni religiose. Le più importanti tra tutte? Quelle pasquali.
“Romanzo criminale”
I Patania, infatti, erano i padroni di tutta Sant’Angelo di Gerocarne, ma anche di “mezza” Stefanaconi, ovvero il paese che negli anni ’90 i giornali italiani chiamarono «la Corleone calabrese» nel quale da lustri avevano trasferito greggi e affari. E qui, a Stefanaconi, l’incanto delle statue dei santi in occasione dei riti della Pasqua era il momento in cui i boss del luogo misuravano il loro potere. Centrale, l’Affruntata, che si svolge la Domenica di Resurrezione.
I carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia, nell’indagine “Romanzo criminale”, la spiegano così: «L’Affruntata, che in dialetto calabrese vuole significare “incontro”, è una rappresentazione religiosa che si tiene nei comuni delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e nella parte meridionale della provincia di Catanzaro, nel periodo di Pasqua. La stessa, di carattere prettamente popolare, ha origini pagane. La manifestazione – è scritto nell’informativa architrave dell’indagine che metterà in ginocchio il clan Patania – si svolge per le strade e nelle piazze dei comuni, dove tre statue, raffiguranti Maria Addolorata, Gesù e San Giovanni vengono trasportate a spalla, da quattro portatori per statua, per simboleggiare l’incontro dopo la resurrezione di Cristo. La statua di San Giovanni fa la spola tra le altre due, per tre o cinque volte, con passo sempre più veloce e come messaggero della resurrezione di Cristo. All’ultimo passaggio, queste si incontrano correndo davanti a Gesù, San Giovanni da una parte e l’Addolorata dall’altra. All’incontro, il velo nero del lutto viene tolto dalla statua di Maria, lasciando visibile un vestito di festa». Tutto ciò davanti a centinaia, a volte anche migliaia di fedeli.
L’incanto dei santi
E poi, ecco che l’Arma spiega come e perché la ‘ndrangheta, a Stefanaconi e non solo, almeno a quel tempo, controllava l’evento religioso: «Per decidere chi porterà le statue nel corso della rappresentazione, si utilizza, di norma, un sistema d’asta, detto incanto, che si svolge nei giorni precedenti la festa o durante lo svolgimento della stessa. Tale procedura viene attuata anche nel comune di Stefanaconi.
È noto che le famiglie facenti parte del circuito della criminalità organizzata, che storicamente riconducono il proprio operato ad un connubio tra simbologie religiose e pagane, cerchino molto spesso di accaparrarsi l’organizzazione e la gestione di cerimonie religiose, anche con lo scopo di ostentare il proprio potere mafioso sulla comunità di riferimento. A tale regola non fanno eccezione i componenti della ’ndrina qui investigata». Scrivono sempre i carabinieri: «Per quanto riguarda, in particolare, la cerimonia dell’Affruntata, occorre aggiungere che nella simbologia mafiosa, assume particolare rilevanza l’accaparrarsi il ruolo di portatori della statua raffigurante San Giovanni, simboleggiante la detenzione del potere mafioso sul paese».
La collaboratrice e i filmati
A corroborare tale disegno, le dichiarazioni di una collaboratrice di giustizia, Loredana Patania, che dopo l’omicidio del marito ed un agguato dal quale salvò la pelle, rivelò i segreti di famiglia alla Procura antimafia di Catanzaro: «Mio zio Fortunato Patania, fino alla sua morte – metteva a verbale l’1 marzo 2013 – ha sempre finanziato tale processione, nel senso che versava ai confratelli della parrocchia, la somma necessaria all’organizzazione della suddetta processione, nonché dei festeggiamenti, quando i soldi raccolti, durante la processione, non erano sufficienti. Inoltre, esponenti del gruppo Franzè, nonché della cosca “Patania” hanno sempre portato i santi, nel corso della suddetta processione.
In particolare, le nuove leve della cosca Patania dovevano, obbligatoriamente, portare San Giovanni, il quale non poteva essere trasportato da soggetti estranei alla cosca». A riscontro di quanto riferito dalla collaboratrice di giustizia e dettagliato nella loro informativa, i carabinieri acquisiscono agli atti dell’indagine anche alcuni filmati amatoriali realizzati in occasione dei riti della Pasqua del 2009 e del 2010. Nel 2009, quindi, è provata la presenza di Saverio Patania, figlio del capocosca, durante l’incanto delle statue e, quindi, nel giorno dell’Affruntata, alla guida dei portantini (nessuno tra questi indicati dai carabinieri come coinvolti in vicende di mafia, ndr) di San Giovanni. «L’anno successivo – annotano però, poi, i militari della Benemerita – anche Patania Nazzareno, come il fratello Saverio, ha partecipato attivamente alla manifestazione con il ruolo di portatore della statua di San Giovanni».
Il boss e “il bastone della guida”
Gli esiti di questa indagine, indusse, negli anni successivi il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal prefetto di Vibo Valentia Giovanni Bruno, ad adottare una misura senza precedenti, ovvero il commissariamento per mafia delle processioni pasquali. Accadde a Stefanaconi, ma ebbe una eco ancora più vasta la decisione assunta su Sant’Onofrio, feudo di un clan decisamente più potente, quello dei Bonavota, con proiezioni nel centro, nel nord Italia ma anche all’estero. Il clan guidato dai fratelli Pasquale e Domenico Bonavota, che deve il suo blasone ‘ndranghetista al prestigio criminale acquisito dal patriarca, Vincenzo Bonavota. La manifestazione religiosa si svolge in un luogo simbolo, piazza Umberto I, nel 1991 teatro di uno degli episodi più cruenti nella storia del crimine organizzato calabrese, ovvero la strage dell’Epifania. Di Vincenzo Bonavota, un mammasantissima che godeva del “rispetto” delle alte sfere del Crimine di Polsi e perfino dello stesso clan Mancuso che avversava, esistono rare foto. La più importante, lo ritrae con indosso il saio della confraternita e il “bastone della guida” che fa da battistrada alla statua di San Giovanni, scattata la Domenica di Resurrezione, a margine dell’Affruntata.