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Combattere laa mafia che comanda

SONO ANNI CHE CI ANDIAMO SGOLANDO PER FAR COMPRENDERE A TUTTI CHE LA VERA MAFIA, I CERVELLI, QUELLA CHE COMANDA E DECIDE TUTTO STA A ROMA E NON NELLE PERIFERIE DEL PAESE E QUINDI CONCENTRARE SULLA CAPITALE E NELLA CAPITALE OGNI SFORZO PER AIUTARE FORZE DELL’ORDINE E MAGISTRATURA INQUIRENTE NELL’AZIONE DI CONTRASTO. CON IL CONVEGNO DA NOI ORGANIZZATO DUE ANNI FA  CON  LA COLLABORAZIONE DEL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE E L’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI NELL’AULA MAGNA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, CONVEGNO DURATO DUE  GIORNI,AVEVAMO IN ANIMO DI  FAR LEVA SELLA SENSIBILITA’ DELLE POPOLAZIONI ROMANE E LAZIALI AL FINE DELLA CREAZIONE DI UNA FORTE PATTUGLIA DI AMICI ED AMICHE CHE, ROMPENDO UNA TRADIZIONE DI UN MODELLO  DI ANTIMAFIA ESCLUSIVAMENTE RETORICA, FOSSE IN GRADO DI IMPORRE UNA SVOLTA TRASFORMANDOLA IN OPERATIVA,QUELLA DEI COSIDDETTI “ZAPPATORI “,QUELLI CIOE’ CHE SCAVANO,INDIVIDUANO NOMI E FENOMENI DI MAFIOSI E DI MAFIOSITA’, PER POI DENUNCIARLI E FORNIRE COSI’ AGLI  ORGANI ISTITUZIONALI PREPOSTI  PISTE INVESTIGATIVE VALIDE,IL NOSTRO SOGNO,QUELLO CHE INSEGUIAMO DA QUANDO SIAMO NATI E CHE NON  RIUSCIAMO,NOSTRO MALGRADO, A REALIZZARE APPIENO A CAUSA, DA UNA PARTE, DI CARENZA DI SENSO CIVICO E DELLO STATO DA PARTE DELLA MAGGIORANZA DELLA GENTE E , DALL’ALTRA, DI UN MALINTESO SENSO DELLA POLITICA VISTA DA ALTRI COME ASSORBENTE DI TUTTI GLI ASPETTI DELLA VITA DEL PAESE E QUINDI PRIORITARIA , CONDIZIONANTE  ED ESCLUSIVA  RISPETTO A TUTTI.UN GROSSO ERRORE IN QUANTO,COME APPENA IN PARTE HA RIVELATO L’INCHIESTA “MAFIA CAPITALE-  E RIPETIAMO,APPENA IN PICCOLA PARTE – E’ PROPRIO NELLA POLITICA ROMANA – O ALMENO IN UNA PARTE DI ESSA  – CHE SI SONO SCOPERTI I GERMI DEL MALAFFARE E DELLA MAFIA. ANDIAMO COMUNQUE AVANTI CERCANDO DI FARE IL POSSIBILE PER NON TRADIRE GLI IMPEGNI ASSUNTI CON LA NOSTRA COSCIENZA DI CITTADINI CHE VOGLIONO BENE AL PAESE E CHE VOGLIONO FINO IN FONDO BATTERSI PER LA SUA LIBERAZIONE DALLA SCHIAVITU’ MAFIOSA,NELLA SPERANZA CHE PRIMA O POI DI FAR BRECCIA NELLA COSCIENZA DI TUTTE LE PERSONE PERBENE.

 

Nell’omicidio di Cinecittà la mala romana perde una torre. Roma è una scacchiera che brucia

di Alessandro Ambrosini

La dinamica dell’agguato e dell’esecuzione in via Lemonia è abbastanza chiara. Tolti alcuni particolari che giustamente non escono dalla Questura. Se, notizia di oggi, gli investigatori propendono per un commando di tre persone: il killer, il guidatore della moto e un palo, il movente è ancora racchiuso tra scenari che si potranno scoprire sul medio lungo termine. O forse rimarranno tra i misteri dei sette colli. Ci sono omicidi a Roma che non hanno un perché certo, ma solo scenari probabili. L’agguato a Flavio Simmi è forse il più simile per clamore, con tutte le differenze del caso.

Gli scenari (che non sono certezze o verità assolute, ma sono frutto di logica, conoscenza dei fenomeni criminali romani e fonti di strada) di questa partita a scacchi, finita nel peggiore dei modi, sono fondamentalmente tre. L’abbiamo detto a poche ore dal fatto. Oggi però possiamo aggiungere qualche riflessione in più.

Scenario 1

Il re di Roma sud è sotto attacco. Il clan di Michele Senese, detto ‘o pazzo, sebbene il boss sia in carcere da anni, è vivo e attivo. Non ha mai smesso di restare egemone nelle sue piazze storiche. Non è mai stato un problema per il boss comandare dai vari Opg in cui è stato rinchiuso per una pazzia che non è mai esistita. Il suo clan, sul territorio è temutissimo e conta su un discreto numero di affiliati, sia uomini sia donne. A gestirlo il fratello Angelo Senese, personaggio di caratura e di esperienza. Proprio l’amicizia con il fratello di ‘o pazzo diede la possibilità a Fabrizio Piscitelli di diventare il loro passparteut per entrare in quella parte di Roma Nord (non in tutta) con il beneplacito di Massimo Carminati, l’equilibratore. La presenza degli “afragolesi” non è mai stata rumorosa a Ponte Milvio perché sempre filtrata dal leader laziale. La piazza di spaccio “dei lucchetti” è una piazza importante, tra le decine che ci sono a Roma. E’ una piazza ricca e averla in esclusiva, da anni, è sempre stato un fiore all’occhiello, oltre che un bancomat. E’ però Cinecittà il vero centro di tutto, sia per gli “affari” sia per la base del clan. Un potere (nello spaccio) quello dei Senese, che da anni dividevano con i “vicini” Casamonica. Clan sinto le cui “teste” sono al 41 bis, risultando indeboliti da arresti e clamore mediatico (momentaneamente). Eppure tutto inizia e finisce nella vita, soprattutto nell’ambito criminale. Finisce l’egemonia, finisce la pax criminale, finiscono i garanti per vecchiaia o perché in carcere. E nessuno è inattaccabile a Roma, soprattutto chi da decenni la comanda in modo esclusivo. Le organizzazioni criminali sono fluide. Conquistano il territorio, lo difendono, lo stabilizzano e poi lo perdono. C’è chi dura mesi e chi dura anni, come i Senese. Clan camorrista che, sebbene a Roma da decenni, subisce l’influenza indiretta di ciò che succede in Campania. Prova dell’attacco al “Re pazzo” il fatto che, oltre alla “torre” Piscitelli, siano due gli uomini che sono stati attinti a colpi d’arma da fuoco negli ultimi mesi, Mauro Gizzi e Maurizio Salvucci. Fortunatamente solo gambizzati in quel caso, ma sempre in territorio amico. E i confini contano nella criminalità organizzata. Chi potrebbe attaccare uno dei clan storici della capitale? La mafia albanese, stanca di essere solo usata per “lavori sporchi” o per raccogliere solo i soldi frutto del traffico di stupefacenti e non dello spaccio? Nuovi clan di camorra napoletani che stanno risalendo la costa tirrenica per sbarcare a Roma e iniziare a dettar legge nell’entroterra? O la ‘ndrangheta che muove i propri pedoni con circospezione ma quando lo fa è una sentenza? Magari per togliere le fette del traffico di stupefacenti a napoletani e albanesi e avere il predominio assoluto sulla Capitale?

Scenario 2

Piscitelli, la “torre”, doveva e poteva cadere. Quando la “strada” parla, devi prendere le informazioni, dividerle in due e poi dividerle ancora. Alla fine avrai una base di verità. E questa verità parla di debiti, questa verità parla di “scazzi” per picchetti non pagati a chi aveva vinto, parla di un uomo che si stava comportando oltre le sue reali possibilità. Con quattro o cinque “fedeli” di scorta sempre presenti, con il sentore che qualcosa potesse succedere. Forse, Fabrizio Piscitelli, pensava di avere ancora tempo per risolvere i suoi problemi proprio in virtù del fatto di essere una torre e non un pedone qualsiasi. Forse l’ha fatto con qualcuno che non voleva e poteva aspettare, qualcuno a cui nemmeno il clan Senese poteva opporsi alla morte della “torre”.  Qualcuno che si è presentato al referente del clan e ha detto chiaro è tondo ciò che doveva succedere. Non chiedendo una sorta di permesso, ma imponendo una decisione. A costo di vedere rallentare gli “affari. Un messaggio, con la sua morte, che doveva arrivare ai suoi uomini, in tutte le sue zone.

E chi l’ha architettato, ha pensato a tutto: all’esca dell’incontro con qualcuno che conosceva bene o molto bene, all’uomo che ha avvertito l’arrivo della vittima sul luogo prestabilito, alla zona amica (a due chilometri da dove abita Angelo Senese) che l’ha fatto arrivare senza scorta, senza coperture. Al modus operandi dell’assassinio, con un killer professionista. Non con un Tmax che ti affianca e ti spara a ripetizione con una calibro 9 mentre rientri o esci da casa. No, doveva essere una morte di fattura pregevole, con un modo fine (per quanto possa essere fine un omicidio), doveva essere una firma, doveva essere un‘esecuzione con un colpo sparato alle spalle, non doveva essere la morte di un pedone qualsiasi. Il messaggio che doveva imporre l’ordine davanti al caos di una città, senza più “equilibrio criminale”.

Scenario 3

Piscitelli voleva uscire dal “gioco”. Voleva dismettere il suo vestito da “torre” e continuare con una vita normale fatta di famiglia, merchandising e stadio. Voleva ripartire con i soldi dissequestrati. Non voleva più vivere nell’ansia di finire sull’asfalto crivellato di proiettili, non voleva più mettere a rischio di ritorsioni qualcuno della sua famiglia, non voleva farsi ammanettare davanti alle sue figlie. Semplicemente voleva andare in “pensione”. Cosa che un “pedone” può fare, che un “cavallo” può fare. Ma non una “torre”, soprattutto se quella “torre” conosce tutta la scacchiera o ha un ruolo insostituibile all’interno della partita.

Quando vuoi giocare queste partite, sai quali sono i rischi: o in galera o in un cappotto di legno. Piscitelli questo lo sapeva bene. Lo sapeva talmente bene che cercava di non mischiare più la vita tra i clan con quella di Diabolik, il leader degli Irriducibili e della Curva Nord laziale. Due nomi per la stessa persona, due uomini con una faccia sola ma con il cuore diviso a metà tra business e passione. Martedì non verrà seppellito Fabrizio Piscitelli, verrà seppellito Diabolik e tutta l’epopea ultras che si è portato addosso per anni. Un funerale che non racconterà niente dell’omicidio, ma dirà tutto di quel ragazzo a cavalcioni di una ringhiera armato solo della sua sciarpa biancoazzurra.

fonte:https://nottecriminale.news/