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Colpe di Stato: quando Cutolo parlò all’Espresso

L’Espresso

Colpe di Stato: quando Cutolo parlò all’Espresso

Il 10 dicembre 1989 rivelò: «Senza il mio intervento, oggi Cirillo non ci sarebbe più». Per la prima volta il capo della Nuova camorra spiegò quale era stato il suo ruolo nella trattativa per la liberazione dell’esponente democristiano rapito dalle Br

di Sandro Acciari e Roberto Chiodi

18 FEBBRAIO 2021

Un bel vagone di sabbia è sceso sul caso Cirillo. Il più grave scandalo politico dei cosiddetti anni di piombo, descritto nelle migliaia di atti processuali raccolti dal giudice Carlo Alemi, si è chiuso con una sentenza che assolve tutti. La trattativa della primavera dell’81 tra Brigate rosse, camorra e uomini dei servizi segreti. Il pesante, ripetuto intervento di esponenti nazionali della Democrazia cristiana. Le contropartite, le immunità giudiziarie, garantite, gli appalti assegnati e spartiti. Un’carcere di massima sicurezza divenuto un porto di mare per terroristi, camorristi latitanti, ufficiali dei servizi di sicurezza: tutti che entravano e uscivano, falsificando i registri, in coda per farsi ricevere dal boss incontrastato, Raffaele Cutolo, capo della Nuova camorra organizzata.

E le morti, tante e strane, di testimoni veri o potenziali. Tutto questo, per i giudici del tribunale di Napoli e per il pubblico ministero non e mai accaduto. Per loro, non ci sono responsabili. Tranne uno, Raffaele Cutolo, condannato per estorsione. A lui, al boss della camorra che di questa vicenda conosce tutti i segreti, ”L’Espresso” ha chiesto di parlarne per la prima volta dopo la conclusione del processo Cirillo.

Allora, signor Cutolo, in tutto il caso Cirillo c’è un solo responsabile: lei. Si attendeva un simile verdetto?

«Una sentenza cosi ambigua la prevedevo da tempo. Ormai sono anni che mi trascino le  catene di tanti altri, quindi è giusto che venga condannato solo io, così continuerò a trascinarle. Lo Stato è salvo. In fin dei conti, io mi  sono limitato a comportarmi come fece il mi padrino Vito Genovese, che fu chiamato in aiuto dallo Stato, e come fece Lucky Luciano per lo sbarco in Sicilia degli americani. Senza presunzioni, ho contribuito anch’io a salvare le istituzioni».

Lei continua a ritenersi il salvatore di Cirillo?

«Senza il mio autorevole intervento, oggi il dottor Cirillo non ci sarebbe più. Le Brigate rosse, con tutto il rispetto, non potevano permettersi il lusso di negarmi la cortesia».

Il suo legale, avvocato Antonio Della Pia, ha detto in aula che l’attuale ministro dell’Interno Antonio Gava, era a conoscenza della trattativa tra Br, camorra, servizi segreti e uomini politici della Democrazia cristiana. Lei è della stessa opinione?

«Se il mio legale ha detto questo, si vede che l’ha capito leggendo le carte processuali. Io posso solo dire che il ministro Gava non l’ho mai conosciuto, anche se è uno dei rari uomini politici che stimo e rispetto moltissimo»

Chi venne nel carcere di Ascoli a chiedere aiuto per Cirillo?

«In quella occasione mi hanno fatto incontrare con i più disparati personaggi, autorevoli e non. Non basterebbe un’intera intervista per citarli tutti…»

Quali furono i termini della trattativa per salvare Cirillo. Cosa le fu promesso?

«Non ci fu alcuna trattativa, almeno da parte mia. Io feci un gesto umanitario. Anche perché tanti amici, tra cui Enzo Casillo (un altro camorrista, successivamente assassinato, ndr.) ci tenevamo moltissimo alla salvezza di Cirillo. Per aver salvato questa vita, dallo Stato ho ricevuto in cambio sei anni di duro, inumano, isolamento, in una cella-stalla nel carcere dell’Asinara».

A proposito di Casillo, chi lo ha ucciso?

«La morte del mio amico Casillo è stato un maledetto incidente. Però credo che se non si fosse invischiato nella vicenda-trattativa Cirillo, oggi il mio carissimo Enzo sarebbe ancora vivo».

In questa storia sono stati fatti i nomi di alcuni esponenti politici democristiani: oltre a Gava, Enzo Scotti, Patriarca, Flaminio Piccoli. Lei cosa può dire in proposito?

«Di Gava vi ho detto. Scotti mi è sempre stato antipatico. Patriarca è un uomo onesto e quindi non poteva avere rapporti con me che venivo tacciato di essere il capo della Nuova camorra organizzata. Piccoli l’ho visto e sentito in aula. La sua deposizione mi ha fatto ridere non poco. Lui che era il segretario della Democrazia cristiana, il più grosso partito italiano e che doveva combattere Cutolo e la camorra, ha avuto la faccia tosta di affermare che nel 1981 non sapeva che esisteva Cutolo e la camorra. E il presidente Pasquale Casotti, beato lui, gli ha creduto! Ecco, questo è soltanto un esempio di come si è svolto il processo Cirillo e di come viene amministrata la giustizia».

Ma lei che prove ha della sua versione? Ci sono persone che possono testimoniare?

«Le prove le ho. Sono in mani sicure. Vi sono anche testimoni e resteranno segreti. Uno di questi era Raffaele Vaino, quello che mi fece il telegramma in cui mi riferiva che Cirillo sarebbe stato liberato otto giorni dopo, come puntualmente avvenne. Vaiano è stuto ucciso, cosa strana, proprio il giorno in cui io avevo deposto in aula».

Torniamo a Flaminio Piccoli, all’epoca segretario Dc. Si è molto parlato  (ma non è stato mai trovato) di un biglietto di ringraziamento che Piccoli le avrebbe fatto avere. Storia vera?

«lo non ho mai detto che il biglietto, tuttora in mio possesso, fosse di Piccoli. Posso soltanto dire che mi fu consegnato (con tante altre cose, nastri, qualche foto, l’interrogatorio di Cirillo da parte delle Br, altri documenti) dal mio amico Enzo Casillo. Sul suddetto biglietto, scritto a mano, mi si ringraziava per il mio concreto interessamento. Il biglietto, intestato alla segreteria della Dc, era firmato Flaminio Piccoli. Però non posso dire se l’ha scritto o non l’ha scritto Piccoli».

È stato detto che lei in passato ha svolto il ruolo di grande elettore di alcuni uomini politici. È vero?

«Purtroppo è la verità, anche se non ho mai avuto simpatie per i signori politici che sanno vendere soltanto speranze a chili alla povera gente. Negli anni ’78-79 feci prendere un mare di voti a politici tuttora importanti. Per onestà devo dire che proprio in quegli anni Gava perse quasi centomila voti e li prese un altro politico campano. Tutto quanto vado affermando era registrato su nastro, perché il mio telefono era sotto controllo. Però il procuratore capo Francesco Cedrangolo [successivamente deceduto, ndr.] ritenne opportuno far bruciare il tutto. Forse perché era più interessato al maxi-blitz contro Tortora e altri innocenti (ma vi erano anche tanti colpevoli, intendiamoci). Maxi-blitz che è tutt’ora una pagina sporca della magistratura napoletana».

A Napoli e in tutta la Campania, è in corso una guerra tra bande di camorra che ha fatto più di duecento morti. Lei cosa pensa stia succedendo?

«Non vi posso rispondere concretamente, anche perché sono anni che ho detto basta con il mio passato, senza rinnegarlo. I fattori di questa guerra sono molteplici: la disoccupazione, la miseria, le responsabilità dei governanti, la droga che ha annebbiato le menti. Tutti dovrebbero capire che continuando ad ammazzarsi, fratelli contro fratelli, non si fa altro che il gioco dei politici corrotti».

Da “esperto” di fatti della camorra non darebbe un consiglio al ministro dell’Interno?

«Io ormai sono in pensione. Comunque, sono convinto che l’onorevole Gava è davvero l’uomo giusto al posto giusto».

Teme per la sua incolumità?

«Io ho sempre detto che un uomo che ha paura, muore mille volte al giorno. Non ho mai avuto paura e non ne ho. Un vero uomo deve sapere innanzitutto morire. Altrimenti non è degno di vivere».

L’intervista finisce qui. Un racconto, quello di Cutolo, fatto di molti ammiccamenti, tante reticenze, alcune certezze: trattativa ci fu, (Cutolo nega di avervi partecipato, ma ammette che il suo braccio destro Casillo morì proprio per aver gestito l’operazione) e Cirillo fu salvato grazie al suo intervento, sollecitato da personaggi «autorevoli e non». La sentenza? Inattendibile. E i segreti che restano? In mani sicure: «Sto scrivendo un libro», dice beffardo il boss, con l’immancabile sorrisetto sulle labbra.