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Clan Casamonica-Spada: per la Cassazione sono «un’associazione mafiosa»

Il Mattino, 24 Aprile 2019

Clan Casamonica-Spada: per la Cassazione sono «un’associazione mafiosa»

Ennesima conferma, dalla Cassazione, della mafiosità del clan Casamomica-Spada, attivo in diverse zone della capitale e composto da persone dai ruoli interscambiabili animate dallo stesso fine delinquenziale. Tra gli affiliati, rilevano gli ‘ermellinì nelle motivazioni fresche di deposito e relative alla convalida di diciotto arresti nell’udienza svoltasi alla Terza sezione penale lo scorso nove gennaio, c’è «un solido vincolo familiare», sono persone «interscambiabili nei ruoli e accomunati dal fine comune di commettere svariati reati». Gestiscono insieme anche il grosso business dello spaccio di droga.

Nel verdetto 17851, l’Alta corte sottolinea come ormai sono numerosi i collaboratori di giustizia, oltre alle vittime di estorsioni e usura, che hanno «concordemente ricostruito l’organizzazione del sodalizio criminoso e hanno identificato i ruoli svolti da ciascun componente, segnalando talvolta lo svolgimento di una mansione specifica e immutata (si pensi a Casamonica Giuseppe, vertice del sodalizio), talaltra alla interscambiabilità delle funzioni svolte dai singoli». Ad esempio, per la riscossione dei prestiti a usura, per intimidire, per entrare «nella base logistica del clan». Gli ‘ermellinì spiegano che le dichiarazioni dei collaboratori sia quelle delle vittime dell’associazione di stampo mafioso, «sono state ampiamente riscontrate da plurimi atti di indagine», e da «svariate intercettazioni telefoniche».

Da questi elementi – scrivono i supremi giudici – «emerge chiaramente che tutti gli indagati erano parte di un nucleo associativo familiare fortemente radicato nel territorio romano e ben noto alla popolazione, godevano di una base logistica comune all’interno della quale tenevano le armi e la sostanza stupefacente e nei pressi della quale le varie persone offese erano state convocate da diversi membri dell’associazione, disponevano di una cassa comune, svolgevano la propria attività con metodo fortemente intimidatorio, ponevano in essere condotte di aiuto e di reciproca sostituzione e recuperavano le somme di denaro conseguenti al reato di estorsione o di traffico di sostanze stupefacenti nell’interesse del sodalizio». I singoli «sodali», spiega ancora la Cassazione, «ricevevano precise istruzioni criminali dai vertici del clan» e si riferisce all’episodio in cui il boss Giuseppe Casamonica, detenuto, «dava istruzioni al figlio Guerrino e alla moglie Katia Tolli, che attendevano il colloquio in carcere per istruire a loro volta gli altri membri dell’associazione».

Sulla ‘fortezzà nel vicolo di Porta Furba tra le rovine dell’acquedotto romano, si è accertato «che vi era un notevole andirivieni di soggetti, tra cui Pasquale Casamonica e Ottavio Spada, che prelevavano la droga per portarla all’esterno e smerciarla a clienti nuovi o abituali, i quali si recavano indifferentemente da tutti i venditori, proprio perchè questi ultimi agivano in comune come emissari del clan». I supremi giudici aggiungono che è «ingente il quantitativo di droga commercializzato» dai Casamonica che lo acquistavano dalla ‘ndrangheta, trattando con Domenico Strangio. «Non meno rilevante, il ruolo delle ‘vedettè che avevano il compito preciso di allertare l’intero vicinato in caso di arrivo delle forze dell’ordine o di soggetti estranei alla famiglia».