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Civitavecchia sulla rotta dei traffici illeciti di rifiuti in Cina

I rifiuti tossici italiani trasformati in “materie prime” in Cina

 
I rifiuti italiani sono arrivati anche in Cina. Migliaia di tonnellate di materiali di scarto pericolosi di aziende e industrie italiane sono stati venduti come materie prime plastiche e acciaio in Oriente e smaltiti illegalmente nella foresta della Repubblica Popolare Cinese.
Con documentazione falsa, centinaia di container carichi di plastica non trattata e rifiuti pericolosi, sono partiti dal porto calabrese di Gioia Tauro, diretti a Hong Kong. Da qui, sono stati portati e scaricati nel nord della Cina dove una parte della merce è stata trasformata in “materia prima” (da riutilizzare nella fabbricazione di giocattoli, piatti e bicchieri) e una parte abbandonata.
Il traffico illecito di rifiuti dall´Italia all´Oriente è stato scoperto nel 2005, dai carabinieri del Noe di Reggio Calabria ma i gli arresti per i responsabili sono arrivati solamente tre giorni fa, con l´ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale del riesame di Salerno.
Dal 2004, undici imprenditori di Napoli, Roma, Gioia Tauro, Salerno e Bari, titolari di società di lavorazione di materie plastiche e cartone, raccoglievano i rifiuti dalle aziende presenti nel territorio italiano e invece di trattarli li spedivano in Cina. Un´operazione che gli permetteva di evitare le onerose spese per il normale recupero dei rifiuti e di non pagare l ´Iva. Per poter imbarcare le balle e i sacchi di rifiuti nei container ed eludere i controlli, li trasformavano in materia prima secondaria, falsificando i documenti doganali.
L´organizzazione era riuscita a creare aziende, apparentemente legali, presentando false dichiarazioni alle amministrazioni provinciali per l´iscrizione all´Albo delle ditte specializzate. Queste aziende erano in grado di cedere, ricevere e trasportare gli ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi attraverso l´Europa, Asia e l´Africa. Secondo le stime dei carabinieri, in poco più di un anno di indagini, sono partite dal porto di Gioia Tauro 2.648 tonnellate di rifiuti per un giro di affari illecito stimato in quasi 400 mila euro. Nonostante vi fossero le richieste di materie prime plastiche anche dai Paesi europei, Hong Kong e la Cina, rimanevano le destinazioni preferite dal sodalizio criminale italiano. In Oriente sono arrivati dall´Italia, assieme alle materie plastiche contaminate anche sostanze corrosive, legnami, capi d´abbigliamento, materiale elettrico, scatole in alluminio, ferro e migliaia di contatori Enel. Ad occuparsi della lavorazione e dello smaltimento dei rifiuti, in laboratori improvvisati in mezzo alla foresta, centinaia di cinesi schiavizzati da società commerciali che acquistavano i carichi italiani. Le donne avevano il compito di salire sulle montagne di rifiuti per smistare e separare la plastica da riutilizzare dal resto della merce pericolosa. Gli uomini, invece, si occupavano dei processi di trasformazione degli scarti in plastica riutilizzabile che veniva confezionata e venduta nuovamente in Italia e in Europa. I militari dell´Arma, diretti dal capitano Paolo Minutoli, hanno ricostruito anche il percorso dei rifiuti in territorio italiano prima di essere imbarcati; Dai porti di Livorno, Genova, Civitavecchia, Venezia e Bari, con piccole navi mercantili, arrivavano sulle banchine di quello di Salerno. Nello scalo campano i rifiuti venivano stivati e sottoposti ad una prima “lavorazione” che gli faceva perdere le caratteristiche originarie di rifiuti per diventare “materia prima”. Poi venivano trasportati in quello di Gioia Tauro, ultima destinazione prima di lasciare l´Italia.
Nell´organizzazione ormai ramificata sul territorio italiano, anche due cinesi. Il loro compito era quello di raccordo con società orientali che operavano nel settore della lavorazione della plastica. Enzo e Yu, il primo legato ad un´azienda di Bari e ad una di Boscoreale, in provincia di Napoli, il secondo invece a due società romane, avevano il compito di individuare i rifiuti che potevano essere trasportati in Cina e di organizzarne la consegna. Erano sempre loro che stabilivano quale doveva essere il quantitativo che l´organizzazione italiana doveva riuscire a raccogliere presso le varie ditte, quest´ultime ignare di quale fosse la destinazione finale della merce di scarto, e soprattutto in quanto tempo. Attraverso uno spedizioniere doganale di Napoli, infine, i rifiuti venivano spediti alla Golden Fame Limited e alla Sinostar Corporation di Hong Kong che li acquistavano per poi rivenderli alla Heng Feng Plastic Factory e ad altre società sconosciute della Cina. Alcuni degli imprenditori arrestati avevano precedenti penali legati allo smaltimento di rifiuti altri invece, erano incensurati. Ma gli stessi investigatori non escludono che dietro al traffico internazionale di rifiuti pericolosi con Hong Kong e la Cina ci sia la criminalità organizzata: legami forti con la camorra e l´ndrangheta.
(da “Panorama”)