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Circeo Connection, le cosche campane e calabresi conquistano la costa laziale.

Da “Fazzonia” al caso Izzi-Del Balzo

Latina: Il mercato ortofrutticolo di Fondi. Disco-mafia non sente la crisi. Nella notte di Ferragosto, tra l’una e le due, decine di ventenni si alternano pigiati in coda all’ingresso della Bussola di San Felice Circeo.

Massicci buttafuori in completo nero selezionano le ragazze più provocanti, i maschi devono scucire 20 euro. “È l’unica discoteca della riviera che resta aperta anche d’inverno ed è la più frequentata da noi che viviamo in questa zona”, spiega Francesca, 28 anni, in fila con un’amica accanto alle mura bianche del ristorante-bar-discoteca affacciato sulla spiaggia. Tra i giovani e giovanissimi venuti qui a ballare, nessuno sospetta che il vero padrone di questo e di molti altri locali sia un un presunto boss mafioso.

Le inchieste della magistratura stanno ricostruendo uno scenario che anche i villeggianti della Roma bene ora cominciano a notare. Da Sabaudia al Circeo, da Sperlonga a Gaeta, la costa laziale è terra di conquista. Ristoranti, bar, società turistiche, agricoltura ed edilizia sono in mano alle cosche. Un’infiltrazione che continua da anni, ma che solo qualche fatto di cronaca, spesso senza alcun legame con il crimine organizzato come il furto nella residenza estiva di Walter Veltroni, riesce a portare alla ribalta nazionale. Da più di vent’anni le indagini e i processi registrano continue infiltrazioni di Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta nel Basso Lazio. Ora una nuova inchiesta della Procura di Roma fotografa l’attualità: decine di imprese che, in questo momento, sono controllate da una cosca emergente. Una rete creata con la violenza. E con nuove complicità politiche.

Solo i più informati albergatori del Circeo sanno chi sia il vero padrone della Bussola: lo chiamano, sotto voce, ‘l’Egiziano’. In realtà è di origine siriana, ma è come se fosse calabrese, perché in Italia è diventato milionario imparentandosi con il più potente clan di Rosarno.

L’Egiziano è socio di due presunti mafiosi italiani. I tre boss hanno cementato il loro patto di sangue con tre matrimoni incrociati. Da mesi i carabinieri di Latina indagano su storie di usura, agguati, bombe incendiarie, edilizia selvaggia, soldi sporchi e traffici di droga. Radicandosi negli affari, i boss avrebbero allargato l’alleanza a politici e imprenditori insospettabili. La Bussola è il nuovo emblema di questa infiltrazione.

Anche in questo caso l’assalto criminale ha seguito uno schema costante: usura e fuoco. Due dei vecchi proprietari sono costretti a vendere, e persino a rinunciare ai loro crediti, quando un incendio devasta la discoteca. Il terzo socio, pressato dai prestiti a usura, deve piegarsi, come scrivono i carabinieri, al “metodo mafioso di acquisizione e sfruttamento delle attività”: ora è diventato “solo un prestanome del capoclan Hassan Bouzan”. Cioè del cosiddetto Egiziano, considerato “il vero proprietario” di un’intera catena di night, ristoranti e locali come “il bar Trieste di Terracina”. I suoi familiari acquisiti si chiamano Aldo Trani e Carmelo Tripodo: sono “entrambi pregiudicati e sorvegliati speciali”. Ognuno cura il suo settore. Tripodo, che è calabrese, gestisce imprese di pulizia e sta “minacciando i concorrenti per acquisire il monopolio dei trasporti nell’Agro pontino”, dove già controlla ditte importanti come la Economica Traslochi. L’inchiesta è in gran parte ancora segreta. I magistrati hanno svelato solo un troncone minore: gli atti necessari a far arrestare per usura quattro imprenditori di Fondi, il paese dell’entroterra dove ha sede il Mof, uno dei più grandi mercati ortofrutticoli del Centro-sud. E proprio attorno al Mof si salda la nuova alleanza tra mafiosi e politici laziali.

All’alba i capannoni del mercato all’ingrosso brulicano di commercianti, scaricatori e trasportatori. Da qui passa quasi tutta la frutta e la verdura che viene venduta a Roma o nei supermercati del Centro-nord. E a selezionare chi può lavorare al Mof, secondo le indagini, è la mafia. Attraverso uno specifico sotto-clan, aperto anche ai politici. Già indagati per associazione mafiosa sono un consigliere regionale di Forza Italia, Romolo Del Balzo, che è anche presidente del consiglio comunale di Minturno, e l’assessore ai Lavori pubblici di Fondi (ora dimissionario) Riccardo Izzi, doppiamente insospettabile perché appartiene a una delle famiglie più ricche della provincia. Suo padre Mario è il proprietario del Gruppo Izzi, che controlla 94 supermercati tra Campania e Lazio. I due politici hanno raccolto voti alle elezioni nazionali per il senatore Claudio Fazzone, il numero uno di Forza Italia a Latina, che non è indagato. Fondi però resta il suo paese, tanto che l’opposizione ironizza: “Benvenuti a Fazzonia”. E il senatore si sarebbe mostrato molto preoccupato per le ripercussioni politiche dell’inchiesta.

Per riassumere quasi due anni di intercettazioni, infatti, il pm Diana De Martino e il procuratore aggiunto Italo Ormanni arrivano a scrivere che “i politici Izzi e Del Balzo si sono associati allo scopo di favorire un’associazione di stampo camorristico attraverso un continuo e costante scambio di favori”. L’accusa ipotizza un cartello affaristico-elettorale fra tre clan intrecciati: i boss della riviera che hanno parenti nella ‘ndrangheta; una seconda cosca specializzata nell’usura e legata ai camorristi casertani; e il sottoclan con i politici, accusati di favorire gli uni e gli altri in cambio di voti e altri vantaggi. Secondo magistrati e carabinieri, “Izzi e Del Balzo sono al centro di una vasta rete clientelare finalizzata a pilotare assunzioni, speculazioni edilizie, appalti e finanziamenti pubblici nell’interesse dei clan mafiosi”. Calabresi e casalesi chiedono di approvare lottizzazioni, sanare abusi, sbloccare fondi comunali, ammettere o escludere grossisti dal Mof. E i due politici provvedono, secondo l’accusa, girando gli ordini ai ragionieri del Comune e perfino al comandante della polizia municipale, che obbediscono. Intanto i boss continuano a investire nel cemento e a impadronirsi di aziende ortofrutticole. Con gli attentati o con l’usura. I tassi accertati del “dieci per cento al mese” a poco a poco trasformano le vittime in complici: decine di imprenditori strangolati dai prestiti, ricattati, terrorizzati, ridotti all’omertà.

Sotto inchiesta c’è una rete mafiosa “certamente operante a Fondi, Terracina, San Felice Circeo, Formia e Gaeta”. Nel 2003 era stato commissariato per mafia il Comune di Nettuno. Ora la prefettura sta ispezionando proprio Fondi. Il prefetto di Latina, Bruno Frattasi, lancia un allarme generale: “Da più di vent’anni questa provincia è al centro di massicci fenomeni di riciclaggio di capitali illeciti, che è necessario fronteggiare con grande decisione. I soldi sporchi alterano la concorrenza e strangolano le imprese pulite. Dobbiamo evitare che la moneta cattiva continui a scacciare quella buona”.

A impressionare i dirigenti dell’associazione Caponnetto e di Libera è “il silenzio della politica dopo vent’anni di arresti e confische: ne parlano solo i giornalisti di ‘Latina Oggi’, ma sindaci e giunte continuano a dire che qui la mafia non esiste”. Eppure su tutto litorale tira una brutta aria. A Sabaudia i carabinieri si chiedono chi sia “il vero proprietario” di una lottizzazione trasformata in una baraccopoli per “almeno 500 clandestini indiani” sfruttati in agricoltura. Altro mistero: nonostante i comprovati interessi di Cosa nostra nei maxi-porti turistici, la Provincia di Latina, guidata dal forzista Armando Cusani, ha pagato con fondi pubblici un progetto-choc: demolire il famoso Ponte Rosso, che collega al mare l’incantevole lago di Paola, “per renderlo fruibile ai maxi-yacht”. Qui nessuno parla di mafia, ma l’ex sindaco di An, Salvatore Schintu, prende le distanze: “È una follia. C’è il rischio di distruggere l’equilibrio ambientale del lago e minare per sempre il futuro di Sabaudia”.

Con o senza boss, tutta la costa è attaccata dal cemento. A Sperlonga la giunta forzista ha varato una maxi-lottizzazione che ha portato in questo comune-gioiello circa mille nuovi abitanti, quasi tutti casertani. Il capogruppo dell’opposizione, Nicola Reale (Idv), denuncia: “L’edificazione è stata monopolizzata da imprese campane. E ora il nostro comune è diventato omertoso. Per denunciare torti, i cittadini ci chiedono appuntamenti nell’entroterra”. L’ingegner Benito Di Fazio, consigliere dell’Udc all’opposizione, conosce i prezzi e si domanda da dove arrivino tanti soldi: “Per i pochi lotti di edilizia pubblica, gli sperlongani hanno comprato a meno di 250 mila euro. Il valore di mercato non supera i 400 mila. Eppure molti dei nuovi arrivati hanno versato fino a 750 mila euro senza fiatare”. Nessuno dei due si espone a nominare l’hotel più ricco e chiacchierato: “Abbiamo subito intimidazioni. Qui abbiamo paura”.

(tratto da www.telefree.it)