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«Ci siamo fidati di lui perché è un poliziotto e fa parte della squadra mobile di Napoli,

di Mary Liguori

«Ci siamo fidati di lui perché è un poliziotto e fa parte della squadra mobile di Napoli, e ora ci ritroviamo a scoprire che i soldi che abbiamo dato li perderemo per sempre». Procura di Napoli Nord, agli atti il verbale di denuncia di una coppia di coniugi di Casal di Principe. Il poliziotto di cui parlano è Oscar Vesevo. Circa due mesi fa, a Palazzo di Giustizia di Aversa, si è presentata la coppia che sostiene di essere stata truffata dall’agente accusato di aver rubato e rivenduto la pen drive di Zagaria.

Secondo il loro racconto, il poliziotto si sarebbe fatto consegnare un assegno di circa 60mila euro per una casa che si trova a Serapo. «Ci ha mostrato delle carte, sembravano autentiche, e ci siamo fidati». La coppia ha consegnato copia degli assegni e altri documenti. La loro non è una denuncia isolata. Altre quattro persone hanno riferito storie simili a quella dei coniugi di Casal di Principe. Vicende tutte da verificare, assieme ad altri racconti sui quali la procura ha in corso accertamenti allo stato ancora in fase embrionale. E che non è detto che riguardino Oscar Vesevo, forse un altro poliziotto o presunto tale. Sul caso c’è massimo riserbo, ma trapelano notizie inquietanti.

Nell’Agroaversano, sin dal 2012, ovvero dal periodo successivo l’arresto di Michele Zagaria, c’è chi parla di un sedicente agente di polizia che avrebbe in più occasioni minacciato degli imprenditori. Ricatti, da quanto riferiscono fonti investigative, finalizzati ad ottenere denaro dietro la promessa di chiudere un occhio rispetto a situazioni poco legali o comunque perseguibili.
L’ultimo caso ha avuto per protagonista un parente di Gaetano Balivo, l’imprenditore arrestato nel dicembre scorso nell’ambito dell’inchiesta Jambo. L’uomo, a sua volta indagato in un procedimento molto recente, ha riferito che un poliziotto si è presentato un giorno presso la sua azienda e gli ha detto che su di lui c’erano degli accertamenti da parte della Dda. Gettato l’amo, il poliziotto gli avrebbe poi detto di stare tranquillo, «io so che sei onesto», e avrebbe contattato al telefono un magistrato. «Dotto’, allora lo archiviamo». Una messinscena, probabilmente, finalizzata solo a ottenere soldi. E infatti, ha poi riferito l’imprenditore, che possiede una rivendita di ceramiche, una settimana dopo il poliziotto sarebbe tornato a battere cassa. Alcune migliaia di euro. Indagini in corso, dunque, per dare un nome all’agente o presunto tale. Verifiche che stabiliscano se la storia che ha raccontato l’imprenditore è vera. Indagano i carabinieri. Acquisiti anche dei documenti. Carte che recano l’intestazione falsificata della procura. Erano, probabilmente, atti prodotti ad arte per ricattare le vittime. Ma non è tutto. Perché accanto alle carte false, sarebbero circolati anche atti sotto segreto istruttorio. Documenti che solo un esponente della polizia giudiziaria poteva maneggiare e quindi eventualmente divulgare. I misteri delle inchieste sui Casalesi a volte si intrecciano, in particolare quella che ha per protagonista l’imprenditore di Parete imparentato con Gaetano Balivo, uno dei fondatori del Jambo, arrestato nell’omonima inchiesta insieme all’ex sindaco di Trentola Ducenta, Michele Griffo. La notte dell’operazione, nel dicembre scorso, Balivo, Griffo e altri due indagati scapparono poco prima che arrivassero polizia e carabinieri e furono irreperibili per una decina di giorni. La procura aprì un’inchiesta per una fuga di notizie. Qualcuno, insomma, avrebbe avvisato gli indagati per consentir loro di tagliare la corda prima che scattassero le manette. Non si ha notizia di sviluppi eventuali dell’inchiesta, ma le storie relative ad un presunto poliziotto che avrebbe fatto circolare carte riservate per estorcere soldi a ricchi imprenditori in odore di camorra potrebbero essere collegate. Ipotesi, al momento, null’altro, sulle quali lavora il pool antimafia diretto dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli.