I boss, la mafia, gli affari: il Romanzo Criminale di Ostia è una storia vera
Viaggio nella città-municipio sul mare, dopo le dimissioni del minisindaco. Il malaffare nella Las Vegas alla vaccinara
di MASSIMO LUGLI
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Tutto qui? È veramente questo il vero volto del mare di Roma, balzato nuovamente alla ribalta dopo le dimissioni del minisindaco Andrea Tassone che, secondo molti, si prepara a tornare anche lui, tanto per non smentire questa continua altalena di corsi e ricorsi? Dodici chilometri di litorale punteggiati da 73 stabilimenti, di cui una cinquantina, i più noti, gestiti da un pool di sette, otto famiglie d’imprenditori, un gioiello in rovina di razionalismo fascista, una popolazione di 195 mila abitanti che arrivano a 250 contando i quartieri satellite sparpagliati tra la Colombo e la via del Mare, una splendida pineta che negli anni 70 fu impietosamente battezzata “il mattatoio della mala” visto che i bravi ragazzi della Magliana si facevano un punto d’onore di bruciare i cadaveri dei morti ammazzati tra la boscaglia e le piante d’alto fusto. L’elenco delle esecuzioni, degli attentati, delle sparatorie meriterebbe un sequel di Romanzo Criminale, da Paolo Frau a Baficchio e Sorcanera, al secolo Giovanni Galeoni e Francesco Antonini, freddati a colpi di pistola il 22 novembre 2011 da un egiziano, Namer Saber Anna, arrestato dalla mobile molto tempo dopo. Commissariato e gruppo dei carabinieri fanno quello che possono su un territorio sterminato e difficile. E non a caso polizia e carabinieri spediscono in riva al mare i loro uomini migliori. Nicolò D’Angelo, oggi questore di Roma, e Mario Parente, attualmente comandante del Ros, tanto per citarne due a caso.
“Baficchio e Sorcanera mi venivano a trovare in municipio, quando ero presidente, nel ’92” ricorda Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi, con la sua solita aria imperturbabile da eterno contestatore, che da queste parti vive da sempre, anche ora che fa la spola con Taranto. “Facevano gli sbruffoni, mi minacciavano e poi mi sfottevano: “Ma che te sei spaventato? Namo a prende n’caffè…” La volta dopo li feci mettere alla porta”. A Bonelli, come a tanti altri, la poltrona del municipio (allora XIII) ha lasciato ricordi aspri: prima gli bruciarono la macchina e poi, visto che non bastava, anche la casa. Un incendio a cui scampò per un soffio rifugiandosi in terrazzo. “Un mese dopo, quando avevo appena ristrutturato, si presentarono i vigili urbani, si misero a controllare l’altezza del controsoffitto col metro e quando non trovarono irregolarità se ne andarono ingrugnati. Due mesi dopo tornarono con un altro pretesto”.
Quello della benzina e del cerino, del resto, è sempre stato uno dei metodi di intimidazione più usati da queste parti, anche adesso che le calibro 9 tacciono da un po’. Pochi giorni fa è toccato al pub “Quore matto” (si, con la “Q”) gestito da un’associazione anticriminalità. “Se anche è stata una bravata ha comunque una valenza politica” dice, mesto, il presidente Giovanni Zannola.
Una bella passeggiata sul lungomare, sotto il sole che ormai si è liberato da questa luna invadente, è uno scorcio di ricordi e assurdità. Ecco “Il capanno”, lo stabilimento gestito in passato da un militante del Pci di quelli duri e puri, passato a un personaggio in odor di usura dove qualcuno, tanto per creare il panico, fece ritrovare un ordigno esplosivo in piena stazione balneare. Ecco il palazzo del nuoto, con la piscina olimpionica costata un patrimonio ma costruita, per un piccolo errore, mezzo metro più corta rispetto alle dimensioni regolamentari e dove, quindi, ci si può allenare ma non gareggiare. Ecco l’isola pedonale che non piace a nessuno, ingolfa di traffico le strade parallele, solleva proteste corali di cittadini e negozianti e, giù giù, fino al Faber Beach, stabilimento di lusso sequestrato, dissequestrato e sequestrato di nuovo per intrallazzi della solita trimurti malavitosa. Per non parlare del Waterfront, sogno di Alemanno raccontato a tinte fosche da Giancarlo De Cataldo, la Las Vegas alla vaccinara che dovrebbe regalare uno smalto internazionale a un litorale di vocazione popolare, dove i poveri ma belli del dopoguerra venivano in Vespa o col trenino (rimasto, praticamente, nelle identiche condizioni di allora ma appena un po’ più pericoloso, almeno di sera). Nomi e dinastie di imprenditori eterni, i fratelli Papagni, Mauro Balini, zio di Vittorio, l’uomo che praticamente inventò Berlusconi quando gli fece balenare l’idea che le tv private potevano diventare, col tempo, un affare stratosferico (copyright Enrico Deaglio).
È questo il vero volto di Ostia, una palude di malavita, malaffare, malcostume, una sabbia mobile che invischia tutto e da cui non si riesce a districarsi? No, l’altra faccia della medaglia, come nel diagramma dello ying e dello yang, esiste e probabilmente sarebbe la più visibile con un minimo di coraggio e di determinazione. “Abbiamo edifici e strade come via Paolo Orlandini, via Capitan Casella e piazza della stazione del lido che qualunque grande nome dell’urbanistica sarebbe felice di trasformare in gioielli architettonici”, elenca Pietro Morelli, archivio vivente, l’uomo che fece scoppiare la Tangentopoli del lido. “A Ostia antica c’è la sinagoga più grande del mondo, l’unica
orientata verso Gerusalemme, all’estero sarebbe un’attrazione internazionale, qui non la conosce nessuno. Abbiamo un mare sempre più pulito e un numero di reati predatori in calo”. La parola magica, quella che cambierebbe veramente tutto, sarebbe autonomia ma i due referendum, dell’89 e del 99 sono stati un flop e nessuno ha voglia di riprovarci. Eppure Fiumicino, staccato da mamma Roma, prospera. Qui tutto resta com’è. Tutto ritorna. Perfino i film.