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Chiesti sei anni di reclusione per l’ex sindaco Girasole

Requisitoria del procuratore Curcio nell’appello del processo “Insula”.«Assoluzione in primo grado basata su un capo d’imputazione sbagliato. C’erano rapporti con la famiglia Arena». Invocate penetra 4 e 14 anni per gli altri imputati

10 dicembre 2018

CATANZARO «Una valutazione che non ha tenuto conto delle prove raccolte nel corso del primo grado». In due ore di requisitoria davanti alla Corte d’appello di Catanzaro, il procuratore Salvatore Curcio (a capo della Procura di Lamezia, applicato quale sostituto procuratore generale per il processo “Insula”), ha contestato punto per punto le ragioni della sentenza emessa a settembre 2015 dal Tribunale collegiale di Crotone che assolveva l’ex sindaco di Isola Capo Rizzuto, Carolina Girasole, dall’accusa di avere ottenuto sostegno elettorale dalla cosca Arena, grazie anche all’intercessione del marito Francesco Pugliese, nel corso delle elezioni amministrative del 2008.

LE RICHIESTE DI CONDANNA Il procuratore ha invocato 6 anni di reclusione e 1000 euro di multa per Carolina Girasole; 5 anni e 6 mesi e 1000 euro di multa per Francesco Pugliese; 5 anni e 1000 euro di multa per Domenico Battigaglia; 4anni e 1000 euro di multa per Demeco Antonio; 14 anni per Nicola Arena, classe ’37; 12 anni per Pasquale Arena; 4 anni e 1000 euro di multa per Antonio Calabretta; 4 anni e 1000 euro di multa per Antonio Guarino (ha partecipato al bando di gara facendo in modo che venisse aggiudicato a Demeco); 4 anni e 1000 euro di multa per Paolo Lentini classe ’69 (ha partecipante fittizio alla gara); 12 anni per Francesco Ponissa (accusato di usura e associazione mafiosa). Non doversi procedere nei confronti di Massimo Arena, deceduto.

«ERRORI GROSSOLANI»La sentenza, secondo l’accusa, è fondata su un capo di imputazione che non esiste. L’accusa più grave rivolta a Carolina Girasole è quella di scambio elettorale. Nel procedimento ne esistono due formulazioni. La prima (che presenta degli errori) è contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip nel novembre 2013.  La seconda – corretta – viene cristallizzata nel decreto di giudizio immediato. Le due formulazioni sono diverse: nella prima infatti sono riportati errori di trascrizione in una intercettazione.Nella seconda, quegli errori vengono emendati. I giudici di Crotone,presidente Edoardo d’Ambrosio, prendono in esame il primo capo d’imputazione (che contiene l’errore di trascrizione) e su questo fondano l’assoluzione.
Il Tribunale di Crotone, dunque, dopo un anno di dibattimento «cristallizza un capo di imputazione che non esiste e su quell’accusa fonda la sentenza», ha asserito il procuratore Curcio. Di più, secondo l’accusa, il capo di imputazione sbagliato viene valorizzato «all’estremo fino a farlo assurgere a caposaldo del proprio convincimento assolutorio». E questo nonostante l’errore fosse stato corretto in tempi rapidi e fissato nel decreto di giudizio immediato, l’unico del quale la Corte avrebbe dovuto tenere conto.

RAPPORTI TRA GIRASOLE-PUGLIESE E ARENA Ladifesa dell’ex sindaco, ha affermato il procuratore, è sempre stata quella di negare ostinatamente qualsiasi rapporto tra la sua persona e la famiglia Arena. «Questi rapporti esistevano – ha ribadito Curcio – poi coloriamoli e interpretiamoli come vogliamo ma questi rapporti esistevano». Esistevano quando negli anni passati Massimo Arena, per godere della semilibertà, come certificato dalla Guardia di finanza, ha lavorato per cinque mesi alle dipendenze della madre di Francesco Pugliese, marito della Girasole. Secondo l’accusa non è un caso che, in occasione delle amministrative del 2008, Pugliese si sia rivolto proprio a Massimo Arena per chiedere voti alla cosca. Secondo le indagini si sarebbero incontrati in un bar dove è avvenuta la richiesta. «Pugliese sapeva di vantare un credito da parte di Massimo Arena», ha sottolineato il procuratore.L’atteggiamento, in sostanza, si manifesta come cultura del“favore”, uno dei capisaldi della mentalità mafiosa. Cultura mafiosa del favore, ha spiegato Salvatore Curcio, «da sradicare prima di qualsiasi altro atto o manifestazione antimafia».
Senza dimenticare, è stato ribadito, «la carica simbolica dirompente»della regalìa. Del fatto che – ha riferito il procuratore nella requisitoria – il boss Nicola Arena, insieme al figlio Massimo, si sia recato personalmente a omaggiare di una cassa di finocchi l’allora sindaco Girasole. Un gesto di «riconoscenza» importante nel panorama rituale della ‘ndrangheta. A un «retroterra probatorio di tal fatta», ha affermato il procuratore, si sono aggiunte in seguito le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Giuseppe Giglio e Giuseppe Liperoti che hanno aggiunto un carico pesante all’accusa, sempre strenuamente negata, di vicinanza tra la famiglia Girasole e gli Arena. In particolare, Liperoti, genero del boss Grande Aracri di Cutro, racconta di come la concessionaria Ford del padre della Girasole fosse intoccabile perché vicina agli Arena. «Era così vicina agli Arena – prosegue Liperoti davanti al pm della Dda Domenico Guarascio – che nessuno di noi, anche cutresi, si permetteva di pretendere mazzette da Girasole o perpetrare danneggiamenti presso la concessionaria. Nel medesimo tempo le macchine che venivano comprate venivano sempre pagate». Pasquale Arena, detto Nasca, ha lavorato in questa concessionaria per molti anni, come hanno appurato le Fiamme gialle.E questa, secondo l’accusa «è una circostanza conclamata» che accorcia di molto quel solco chilometrico di distanza che l’imputata ha sempre dichiarato esservi tra sé e la famiglia Arena. Secondo Liperoti, poi, se Pasquale Arena doveva recarsi a Cutro «si fermava presso la concessionaria e, grazie all’aiuto di Girasole, cambiava macchina utilizzandone una nella disponibilità della famiglia Girasole. L’ausilio prestato da Girasole è continuato anche dopo la chiusura della concessionaria, anzi, proprio la chiusura dell’attività, ha reso i locali ideali per riunioni, incontri e scambi di macchine per entrare e uscire da Isola Capo Rizzuto senza farsi notare».

«SI È FATTO SCEMPIO DELLA LEGGE» Per quanto riguarda il bando di gara, che l’accusa definisce«preconfezionato», pur di consentire agli Arena di commercializzare il proprio prodotto (dalla cui vendita hanno ricavato, secondo le risultanze investigative, 750mila euro), «si è fatto scempio della legge», ha affermato Curcio. «Un caso di abuso d’ufficio da manuale», ha detto il procuratore. E il sindaco e l’allora assessore alle Politiche agricole, Domenico Battigaglia, «hanno sconfinato» in ruoli che non gli competevano. In sostanza il sindaco e l’assessore, anziché predisporre la frangizollatura (un’aratura profonda) dei terreni confiscati, predisponevano una bozza di gara(con l’aiuto di soggetti esterni), individuando prezzi a based’asta in modo del tutto arbitrario e inferiori rispetto ai prezzi correnti di mercato. Il tutto senza avviare alcuna istruttoria amministrativa «con una violazione macroscopica di quelli che sono i ruoli e i compiti di un assessore e un sindaco», ha rimarcato l’accusa. Il tutto veniva effettuato circa 20 giorni prima che la giunta adottasse, il 7 dicembre 2010, la delibera di indirizzo per indire una gara pubblica per portare a conclusione la produzione dei finocchi. Si è poi proceduto, secondo l’accusa, in tempi celerissimi – lavorando anche il giorno dell’Immacolata del 2010– fino a che Antonio Calabretta, responsabile del settore Patrimonio del Comune di Isola, in tempi record e senza fosse avviatala ben che minima attività istruttoria, adottava la delibera numero 975 del 9 dicembre 2010 con cui si determinava di affidare in concessione il servizio di raccolta dei finocchi e stabilendo un termine «assolutamente ristretto» per presentare le domande di partecipazione al bando: il 16 dicembre 2010. Ancora prima del bando gli investigatori intercettano Nicola e Massimo Arena che parlano con Antonio Demeco – per l’accusa un mero prestanome –  che si aggiudicherà la gara, dando istruzioni sui trattamenti da fare e su prezzi da adottare. «Ma il Tribunale di Crotone – sottolinea il procuratore Curcio – dimentica completamente questa parte della vicenda senza porsi il problema del perché gli Arena contattassero anzitempo il futuro vincitore della gara». Il magistrato su questo aspetto ignorato dai giudici crotonesi non esita a calcare la mano. Parla dell’adozione «di disposizioni in aperta violazione di legge che paradossalmente il Tribunale di Crotone non riscontra».

«LA COSCA ARENA NON ESISTE» In primo grado il tribunale di Crotone, il 22 settembre 2015, ha assolto l’ex sindaco e suo marito, Franco Pugliese, oltre ad assolvere dall’accusa di associazione mafiosa il boss Nicola Arena e i figli Pasquale e Massimo Arena e Antonio Demeco condannati, invece, per la sola turbativa d’asta a 3 anni e 6 mesi di carcere. «È la prima sentenza che nega l’esistenza della cosca Arena», afferma Curcio. Una cosca riconosciuta dal 1975 dai Tribunali di Catanzaro e Crotone,dalla Corte d’Assise del capoluogo, dalla Corte d’Assise d’appello di Catanzaro. E questo nonostante la condanna, passata ingiudicato, di Carlo Capizzano, assistente capo di Polizia, sempre nell’ambito del processo Insula, per aver informato gli Arena delle attività di indagine a loro carico. Condanna emessa in primo grado dal Tribunale di Crotone in composizione identica per due terzi de l collegio che ha assolto il boss e i suoi figli dall’associazione mafiosa. Al termine della requisitoria, prima di procedere alle richieste di pena, il procuratore Curcio ha voluto ricordare un giovane investigatore scomparso prematuramente, Thomas Gatto, un appuntato della Guardia di finanza che ha partecipato a numerose indagini nel crotonese, da Insula a Jonny alla maxi-inchiesta Stige.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

Fonte:https://www.corrieredellacalabria.it