Oltre che parlare di… traffici del passato remoto perché
non parlare anche di quelli di pale eoliche che ci sono stati
in entrata ed uscita fra il 2009 ed il 2011?
Abbiamo chiesto agli organi competenti di indagare
sull’intenso traffico che c’è stato in entrata ed uscita dal
Porto di Gaeta fra il 2009 ed il 2011 e sugli autori.
Sembra che il materiale scaricato sia stato portato per lo più
verso il Molise e il sospetto che dietro tale traffico possa
esserci stata anche Cosa Nostra scaturisce dalla notizia che
circolava all’epoca circa l’interesse di questa al settore delle
energie alternative.
Attendiamo di conoscere l’esito degli accertamenti che
abbiamo richiesto.
Carmine Schiavone, il pentito dei casalesi, individua nel porto di Gaeta uno dei luoghi di
partenza delle navi dei veleni per la Somalia. Alcuni degli strani traffici che avvenivano nel
porto gaetano li racconta il signor “Gianni”, nome ovviamente fittizio, ad Andrea Palladino,
giornalista del quotidiano “Il Manifesto”. Uno scenario inquietante in cui pare proprio che
nessuno si salvi, visto che il traffico è andato avanti come se niente fosse e forse continua
(!!??). D’altronde molti in questi anni hanno fatto finta che i camorristi venissero dalle
nostre parti in vacanza e non per profitto.
Il Manifesto, Domenica 3 Novembre 2013
Rottami ferrosi spediti verso l’Africa e la Turchia. E le rivelazioni di Schiavone
Quei traffici strani nel porto di Gaeta
II pentito dei casalesi individua nello scalo laziale uno dei luoghi di partenza delle navi per
la Somalia
di Andrea Palladino
E chi si dimentica quell’epoca, quando a Gaeta vedevi girare imprenditori con le valigette
piene di timbri della repubblica somala e una montagna di autorizzazioni e permessi
arrivati da Mogadiscio». Gianni – identità fittizia – spiega che non è il caso di fare il suo
nome. È uno dei tanti lavoratori del principale porto del sud pontino, indicato da Carmine
Schiavone come punto di partenza di una nave carica di rifiuti nucleari, affondata tra
Salerno e Paola. «Diretta in Somalia», ha puntualizzato l’ex cassiere dei casalesi al
manifesto.
Parlare di Somalia a Gaeta vuol dire tornare con la mente all’ultima intervista di Ilaria Alpi.
Cercava notizie sulla Shifco, la giornalista del Tg3, cinque giorni prima di essere uccisa a
Mogadiscio. Era una compagnia italo-somala che aveva, proprio a Gaeta, la sua base. Qui
attraccavano i pescherecci d’altura e la nave madre, la XXI Oktobaar. Ufficialmente il
rapporto tra Gaeta e la Shifco era nato nel 1993, un anno prima della morte di Ilaria Alpi.
La società verme monitorata a lungo sia dalla Procura di Roma che dalla commissione
d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uscendone senza conseguenze. Il
nome della società italo-somala entrò nel rapporto del gruppo di monitoraggio sul disarmo
delle Nazioni unite, che la indicava come una delle compagnie coinvolte – nel 1992 – nel
traffico di armi verso la Somalia. Notizie mai approfondite dalle autorità italiane.
Oggi quel legame tra il porto di Gaeta e il Como d’Africa riemerge nel racconto di Carmine
Schiavone. Il triangolo tra Formia, Gaeta e la provincia di Prosinone era saldamente
controllato dai tanti soldati di mafia arrivati da Casal di Principe, ha raccontato fin dai
primi colloqui investigativi del 1993. Un controllo che fino al 1988 girava attorno alla
famiglia Bardelli-no, per poi passare agli Schiavone dopo l’omicidio del capo clan Antonio.
A rappresentare gli interessi del clan nella zona da quel momento fu Gennaro De Angelis,
titolare di concessionarie a Cassino e Formia.
Nei registri compilati dalle Capitanerie di Porto della Calabria non risultano affondamenti
compatibili con il racconto di Carmine Schiavone. È un punto di partenza che però non
contraddice – secondo i racconti raccolti dal manifesto – il ricordo dell’ex boss di Casal di
Principe: «Se hanno fatto affondare una nave – racconta Gianni, profondo conoscitore
della marineria di Gaeta – di certo non ne troverai traccia. Ti dico una cosa: i pescherecci
che andavano in Somalia erano a Gaeta già negli anni ’80». Questo tipo di navi di altura
molto spesso sfuggono ai registri dei Lloyds di Londra. E’ sicuro, ad esempio, che nel
marzo 1994 uno dei pescherecci della Shifco si trovasse – sequestrato dai pirati – nella
zona di Bosaso, nel nord della Somalia. Eppure non c’è nessuna indicazione nei Lloyds
register. Consultando poi gli atti liberi della commissione Scalia non appare nessun
approfondimento realizzato dal parlamento rispetto all’affondamento raccontato da
Schiavone. Dunque rintracciare il nome della nave, i proprietari e le circostanze del
presunto naufragio per confermare la deposizione dell’allora collaboratore di giustizia non
sarà semplice.
Non è la prima volta che la zona compresa tra i porti di Gaeta e Formia si lega ai traffici di
rifiuti. L’ex comandante della polizia provinciale di Latina ha ricordato in diverse occasioni
di aver rintracciato un attracco di una delle navi dei veleni – la Karin B – in quella zona,
come ha raccontato il manifesto nel 2009. Secondo le informazioni preliminari, che furono
raccolte in quella occasione, sarebbero stati scaricati dei fusti, poi portati, probabilmente,
nella discarica di Borgo Montello. Anche in questo caso i fascicoli vennero chiusi senza
nessun riscontro, finendo nell’archivio della Procura di Latina.
Nel porto di Gaeta, intanto, cresce una piccola collina nera. Rottami ferrosi, da un anno
raccolti e spediti verso il nord Africa e la Turchia. A febbraio l’agenzia delle dogane e la
Guardia di finanza sequestrarono il tutto, ipotizzando un traffico illecito di rifiuti. Dopo
qualche mese, i rottami tornarono alle società di brokeraggio, dissequestrati. «Fascicolo
chiuso», assicurano i gestori del porto. Tutto regolare, dunque. «Qui da sempre funziona
così, nessuno parla, ufficialmente non accade mai nulla». Gianni scuote la testa e sorride. E
per un attimo ricorda lo sguardo intenso e ormai rassegnato dei giovani somali, gente che
ai veleni italiani ormai ha fatto l’abitudine.