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Che fine ha fatto la robba dei boss?” L’ Antimafia al lavoro su dossier.

Una domanda che stiamo ponendo anche noi dell’Associazione Caponnetto da anni :”Che fine ha fatto la robba dei boss?”  Con l’utilizzo di tali beni   si potrebbero soddisfare  le esigenze abitative di decine di migliaia di famiglie sfrattate  ed impossibilitate a pagare gli affitti ed anche ricavare i soldi per finanziare la Giustizia e le forze dell’ordine e renderle entrambe  più attive  ed incisive nella lotta alle mafie  levando anche di mezzo quello sconcio  dell’assegnazione a cooperative ed associazioni,spesso fasulle, che provoca tante critiche alla cosiddetta “antimafia” sociale.Così facendo,si opererebbe quella “bonifica” che indurrebbe tutti a chiarire le proprie posizioni ed a scegliere fra un’antimafia effettiva e disinteressata della DENUNCIA ed un’”antimafia” fasulla degli affari e del business. L’ Antimafia al lavoro su dossier.

L’Ora Quotidiano12 Febbraio 2015

Che fine ha fatto la “robba” dei boss?
L’ Antimafia al lavoro sui dossier

“Da più parti riceviamo denunce che rivelano la persistenza di molte ombre nella gestione dei beni confiscati alla mafia” ha spiegato ieri Nello Musumeci, presidente della commissione regionale, che sta analizzando l’utilizzo delle ricchezze sottratte a Cosa nostra

di Giuseppe Pipitone

12 febbraio 2015
Che fine ha fatto la “robba” dei boss? <br>L’ Antimafia al lavoro sui dossierPalermo è la capitale della ”robba” dei boss. Il quaranta per cento di tutti i beni confiscati a Cosa Nostra, infatti, si trova nel capoluogo siciliano. Ed è proprio da Palermo che arriverà il primo dossier con le anomalie sulla gestione degli immobili confiscati alla mafia. Un patrimonio imponente: più di diecimila immobili, mille e cinquecento aziende, più di tremila beni mobili. Numeri che fanno dell’Agenzia per i beni confiscati, creata nel 2009 per gestire “la robba dei boss”, la prima holding del mattone d’Italia. E probabilmente anche la più ricca: il valore dei beni confiscati alle mafie, infatti, si aggira intorno ai 25 miliardi di euro. Un vero tesoro, che però spesso non riesce ad essere restituito alla collettività. A Palermo, per esempio, sono solo 1.300 i beni assegnati su un totale di 3.478.

“Da più parti riceviamo, in audizione, denunce che rivelano la persistenza di molte ombre nella gestione dei beni confiscati alla mafia. Denunce che, dopo le trascrizioni, trasmetteremo alla magistratura e al ministero dell’Interno per le necessarie verifiche”, ha spiegato ieri Nello Musumeci, presidente della commissione regionale Antimafia, che sta lavorando ad un dossier sulla gestione dei beni confiscati. Proprio ieri la commissione Antimafia ha ascoltato la deposizione del prefetto Umberto Postiglione, che ha sostituito Giuseppe Caruso alla guida dell’Agenzia. “Insieme alla commissione Lavoro dell’Assemblea regionale siciliana – ha continuato Musumeci – stiamo elaborando una proposta di modifica della legge nazionale vigente  ponendo particolare attenzione due problemi: la tutela dei dipendenti di quelle aziende che spesso chiudono dopo la confisca; il patrimonio di edilizia abitativa da destinare, a nostro avviso, alle famiglie indigenti e alle Forze dell’ordine piuttosto che restare inutilizzato e in completo abbandono”.

L’emergenza principale è forse rappresentata dai dipendenti delle aziende sottratte a Cosa Nostra. La maggior parte delle società confiscate, infatti, finisce per fallire, e i dipendenti rimangono senza lavoro. Questo perché il codice antimafia recentemente approvato, che ha preso il nome del ministro Angelino Alfano, prevede la liquidazione di tutti i crediti non appena l’amministratore giudiziario prende possesso della società. “Significa che se questa norma venisse intesa in senso rigido, il tribunale deve procedere a liquidare il 70 per cento dell’impresa per pagare tutti i crediti: e quindi non resterebbe alcuna risorsa per continuare a far vivere l’azienda”, spiega il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gaetano Paci. Con il risultato che dopo la confisca gli ex dipendenti delle aziende di Cosa Nostra rimangono senza lavoro. “Con la mafia si lavora, con lo Stato no” gridavano negli anni ’80 gli operai delle prime aziende confiscate a Cosa Nostra. Oggi la situazione non sembra particolarmente migliorata. Un segnale poco incoraggiante,  pericolosissimo in una terra come la Sicilia che di segnali vive e si alimenta.